Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9467 del 21/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 21/04/2010), n.9467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

TA.AN., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BELSIANA 71, presso lo studio dell’avvocato DELL’ERBA GIUSEPPE,

rappresentata e difesa dall’avvocato DE DONNO ORONZO, giusta mandato

a margine del controricorso;

– R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI

BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAGLIARELLO

ANGELO, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

T.D.;

– intimato –

sul ricorso 33416-2006 proposto da:

T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DON MINZONI

9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta mandato a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 703/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/10/2005 r.g.n. 729/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per: inammissibilità per T. E

R., rigetto per gli altri.

 

Fatto

Con separati ricorsi al Tribunale, giudice del lavoro, di Milano, regolarmente notificati, gli odierni resistenti T.D., Ta.An. e R.S., assunti dalla società Poste Italiane s.p.a. con contratti a tempo determinato, lamentavano l’illegittimità della apposizione del termine.

In particolare T.D. risultava assunto con contratto di lavoro a tempo determinato dal 19 giugno al 18 settembre 2002 “per far fronte agli incrementi di attività o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo, connesse alla gestione degli adempimenti ICI che non possono essere soddisfatte con il normale organico”.

Ta.An. risultava assunta con contratto di lavoro a tempo determinato dal 15 maggio al 14 agosto 2002 “per far fronte agli incrementi di attività o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo, connesse alla gestione degli adempimenti ICI che non possono essere soddisfatte con il normale organico”.

R.S. risultava assunta con contratto di lavoro a tempo determinato dal 13 giugno al 31 agosto 2001 “per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002.

Chiedevano pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai predetti rapporti di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione degli stessi in contratti a tempo indeterminato, con condanna della società alla riassunzione in servizio ed alla corresponsione delle retribuzioni non corrisposte.

Con separate sentenze il Tribunale adito accoglieva le domande e dichiarava la natura a tempo indeterminato dei rapporti in questione, condannando la società convenuta al ripristino dei rapporti ed al pagamento in favore dei ricorrenti della retribuzione, con accessori.

Avverso tali sentenza proponeva appello la società Poste Italiane s.p.a. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e rilevando la effettiva sussistenza, nel periodo in cui i lavoratori erano stati assunti con i predetti contratti a termine, delle esigenze indicate nella causale della assunzione.

La Corte di Appello di Milano, proceduto alla riunione delle cause, con sentenza in data 14.6.2005, rigettava le impugnazioni proposte.

In particolare la Corte territoriale rilevava che i contratti stipulati con il T. e con la Ta. erano privi di qualsiasi nesso con l’attività relativa al pagamento dell’ICI; mentre il contratto stipulato con la R., per la genericità delle motivazioni addotte, non consentiva alcuna controllabilità nel merito delle ragioni per le quali la lavoratrice avrebbe dovuto essere legittimamente assunta con contratto a termine.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la società Poste Italiane s.p.a. con quattro motivi di impugnazione.

Resistono con controricorso i lavoratori intimati; il T. ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato.

La società ricorrente depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c., dei due ricorsi perchè proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo di gravame, relativo alla lavoratrice R. S., la società ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Rileva in particolare che la lavoratrice suddetta era stata assunta, per come risultava dalla causale del relativo contratto a tempo determinato, anche per le esigenze relative “all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”, ed in relazione a tale profilo la sentenza impugnata aveva omesso qualsiasi motivazione.

Col secondo motivo di gravame, relativo pur esso alla lavoratrice predetta, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 25 del CCNL 11.1.2001; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la causale del contratto in questione si sarebbe risolta in una proposizione del tutto generica in quanto priva di alcun riferimento alle specifiche esigenze che avevano determinato l’assunzione della lavoratrice; ed invero l’art. 25 del CCNL del 2001 era assolutamente coerente con la previsione di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva attribuito sul punto una delega in bianco in ordine alle ulteriori ipotesi di contratto a termine rispetto a quelle legislativamente previste, ritenendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti.

Col terzo motivo di gravame, relativo ai lavoratori T. e Ta., la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 1362 c.c.; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo P della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Rileva in particolare che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto la illegittimità dell’apposizione del termine sotto il profilo della mancanza di prova della effettiva adibizione dei lavoratori in questione agli adempimenti ICI, atteso che l’assunzione degli stessi era stata operata per far fronte, complessivamente, all’incremento di attività concernente tutto l’ufficio in concomitanza con i suddetti adempimenti ICI, ma senza alcuna previsione circa la concreta assegnazione degli stessi alla lavorazione dei bollettini ICI. Col quarto motivo di gravame, relativo a tutti i dipendenti in questione, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e segg. c.c., artt. 2019, 2099 e 2697 c.c., nonchè della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Rileva in particolare che erroneamente la Corte territoriale aveva condannato la società al pagamento di tutte le retribuzioni dalla data delle pretesa messa in mora, incorrendo in tal modo nella palese violazione dei principi e delle norme di legge sulla corrispettività delle prestazioni, avendo la giurisprudenza evidenziato che in caso di trasformazione in unico rapporto a tempo indeterminato di più contratti a termine, gli intervalli non lavorati fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile ad effettuarla, non implicano diritto alla retribuzione.

Con il ricorso incidentale condizionato il T. lamenta violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., e dell’art. 112 c.p.c.; nonchè omessa motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5).

Rileva in particolare che la Corte territoriale aveva omesso di valutare le motivazioni con le quali il giudice di primo grado aveva ritenuto l’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto stipulato per gli adempimenti connessi al pagamento dell’ICI, posto che il primo giudice aveva altresì rilevato che l’arco temporale contemplato nel contratto in questione andava oltre i termini previsti per i suddetti adempimenti ICI. Posto ciò, rileva il Collegio che in corso di causa sono stati depositati verbali di conciliazione in sede sindacale concernenti la controversia fra Poste Italiane ed i lavoratori T.D. e R.S.; dai suddetti verbali di conciliazione, debitamente sottoscritti dai lavoratori interessati, oltre che dal rappresentante delle Poste Italiane s.p.a., risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge.

Ad avviso del Collegio i suddetti verbali di conciliazione si palesano idonei a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso della società Poste Italiane nei confronti dei lavoratori sopra indicati e del ricorso incidentale del T. nei confronti della società datoriale, in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. SU. 29 novembre 2006 n. 25278).

In definitiva il ricorso della società nei confronti dei predetti dipendenti ed il ricorso incidentale del T. devono essere dichiarati inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse;

tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente tra le stesse le spese del giudizio di cassazione.

Il giudizio prosegue pertanto esclusivamente nei confronti di Ta.An..

Il ricorso proposto nei confronti della predetta è infondato.

Se pure è infatti vero che il relativo contratto di lavoro non faceva riferimento alla adibizione della lavoratrice assunta a tempo alla effettiva lavorazione dei bollettini ICI, cionondimeno incombeva alla parte datoriale l’onere di fornire la prova del collegamento della disposta assunzione con l’incremento di attività connesso agli adempimenti ICI; e pertanto la società avrebbe dovuto provare l’esistenza del nesso causale fra l’assunzione della dipendente predetta e gli adempimenti in questione, con riferimento in particolare alla impossibilità di soddisfare le consequenziali esigenze con il normale organico in servizio nell’unità operativa interessata, anche con riferimento all’arco temporale interessato.

Non può pertanto condividersi l’assunto di parte ricorrente secondo cui il nesso causale sarebbe stato evidenziato dal fatto notorio e pacifico dell’incremento di attività determinato dalla gestione degli adempimenti ICI, richiedendosi invece la prova non già dell’incremento di lavoro, bensì delle specifiche necessità con riferimento alla specifica unità produttiva, al personale in servizio, alla durata temporale di siffatta necessità.

Alla stregua di quanto sopra il ricorso sul punto non può trovare accoglimento, apparendo corretta la sia pur sintetica motivazione della Corte d’appello sotto il profilo che “le deduzioni della società hanno riguardato solo fatti generali, privi di qualsiasi nesso con l’attività relativa al pagamento dell’ICI e men che meno nell’unità di adibizione del ricorrente”.

Del pari infondato è il quarto motivo di gravame.

Osserva il Collegio che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 14381 dell’8.10.2002, hanno precisato che, nell’ipotesi di “illegittima apposizione del termine ad un contratto di lavoro, al dipendente che cessi l’esecuzione della prestazione lavorativa per attuazione di fatto del termine nudo, non spetta la retribuzione finchè non provveda ad offrire la prestazione medesima, determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro”. Sulla base di questo enunciato, deve affermarsi il diritto alla retribuzione, pur in assenza di prestazione lavorativa per fatto addebitabile al datore di lavoro, allorchè il dipendente abbia formalmente posto a disposizione del datore di lavoro la propria prestazione lavorativa.

Ed invero, se pur l’illiceità del termine apposto al contratto non determina il sorgere del diritto alla retribuzione, tale diritto sorge, anche in assenza della prestazione, a seguito dell’offerta della prestazione stessa, quale espressa disponibilità a rientrare al lavoro.

E poichè il ricorso giudiziale, con la richiesta di condanna della società datoriale alla riammissione in servizio della parte istante sulla base della pretesa illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, reca in sè la disponibilità a protrarre con il contratto la relativa esecuzione, il detto ricorso contiene l’offerta della prestazione stessa e quindi la espressa disponibilità a rientrare al lavoro.

Il gravame proposto nei confronti della Ta. va pertanto rigettato, dovendosi altresì rilevare che il cd. “Collegato lavoro” del 3.3.2010, cui fa riferimento la ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., non risulta in realtà pubblicato. Nessuna pronuncia va adottata in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità non risultando a questo Collegio la presenza di procura speciale, ai sensi dell’art. 365 c.p.c., in favore del difensore.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso principale nei confronti di T.D. e R.S., nonchè il ricorso incidentale del Tosi, e compensa fra gli stessi e la società Poste Italiane s.p.a. le spese processuali. Rigetta il ricorso nei confronti di Ta.An.; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2010

 

 

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