Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9466 del 21/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 21/04/2010), n.9466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32309/2006 proposto da:

AGROSELE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 66, presso lo

studio dell’avvocato SPAGNUOLO GIUSEPPE, che la rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore avv.to

S.G.P., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

MARITATO LELIO, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, CORETTI

ANTONIETTA, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

E.T.R. S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1807/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 30/11/2005 r.g.n. 1884/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 22.01.2001 al Tribunale di Salerno la società Agrosele s.r.l. proponeva opposizione alla cartella esattoriale notificata il 22.12.2000 con la quale la s.p.a. ETR, concessionaria per la riscossione, le aveva intimato il pagamento della somma di L. 46.067.110 per contributi previdenziali dovuti all’INPS per il periodo febbraio/dicembre 1997, sanzioni e somme aggiuntive, ad integrazione di quanto già pagato. L’opponente rilevava di aver regolarmente presentato i modelli DM/10 e di aver provveduto all’integrale pagamento dei contributi denunciati.

L’Inps si costituiva e chiedeva il rigetto dell’opposizione richiamando a fondamento della sua pretesa note di rettifica relative al periodo febbraio/dicembre 1997, emesse per differenze di aliquota applicabile alle retribuzioni imponibili e sgravi non riconosciuti.

Il Tribunale, con sentenza n. 5251 del 27.03.2003, rigettava l’opposizione.

L’appello proposto dalla società veniva respinto dalla Corte di Appello di Salerno con sentenza depositata il 30.11.2005.

La Corte osservava che il credito dell’Inps non derivava da denunce mensili inevase ma era rappresentato da differenze di aliquota e da sgravi non spettanti conseguenti ad un errato computo del carico contributivo per effetto di un erroneo inquadramento.

Rilevava che la società appellante, benchè inquadrata nel settore terziario, riteneva di aver diritto agli sgravi contributivi previsti per le imprese industriali operanti nel Mezzogiorno dalla L. n. 1089 del 1968, e quindi, con i modelli DM/10, aveva quantificato la contribuzione dovuta portando in detrazione gli sgravi previsti dalla L. n. 1089 del 1968. Per contro l’Inps sosteneva che la società andava inquadrata nel settore terziario e pertanto era soggetta alle aliquote proprie di tale settore e non aveva diritto agli sgravi di cui alla L. n. 1089 del 1968.

Riteneva infine che l’Inps aveva adempiuto all’onere probatorio ad esso incombente di fornire la prova del credito vantato avendo prodotto la situazione contabile analitica della società e i modelli rettificativi dei DM/10 presentati dal datore di lavoro.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso fondato su tre motivi. L’Inps ha resistito con controricorso. ETR s.p.a. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione di varie norme del codice di rito (artt. 416, 113, 115 e 116 c.p.c.) la società contesta alla Corte di Appello di non aver rilevato che l’Inps si era costituito tardivamente nel giudizio di primo grado, sicchè era decaduto dal diritto di proporre eccezioni e depositare documenti, con la conseguenza che non potendo la Corte esaminare la documentazione prodotta dall’Istituto, in particolare i modelli rettificativi e la situazione contabile analitica della società, l’opposizione doveva essere accolta avendo l’appellante provato di aver presentato regolarmente i modelli DM/10 e di aver provveduto al pagamento dei contributi denunciati.

Con il secondo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., e vizi di motivazione, la società censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che il credito dell’Inps da cui deriva la cartella opposta non deriva da denunce mensili inevase, ma da differenze di aliquote e da sgravi non spettanti conseguenti ad un errato computo del carico contributivo per effetto di un erroneo inquadramento. Secondo la ricorrente in tal modo il giudice dei gravame avrebbe modificato la domanda originaria dell’Inps contenuta nella cartella di pagamento opposta, che fa riferimento solo a modelli DM/10 rettificativi rispetto alle autodichiarazioni della società. I giudice di appello sarebbe quindi incorso nel vizio di extrapetizione quando ha preso in esame l’inquadramento della società in settore diverso da quello disposto dall’ente previdenziale, nonchè quando ha preso in esame le aliquote applicabili e la spettanza degli sgravi contributivi, poichè nella domanda originaria non si faceva riferimento ad alcuno di tali problemi, che non hanno formato oggetto di discussione tra le parti.

Con il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c., e vizi di motivazione, la società contesta alla Corte di Appello di non aver considerato che sull’Inps, attore in senso sostanziale, gravava l’onere di provare l’esatto inquadramento dell’appellante, le aliquote applicabili e la non spettanza degli sgravi; contesta altresì al giudice di appello di non aver considerato che l’Inps, decaduta dal diritto di sollevare eccezioni e di produrre prove a sostegno della sua pretesa per essersi costituita tardivamente nel giudizio di primo grado, tale prova non aveva offerto e che la documentazione tardivamente prodotta non era utilizzabile in giudizio.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile perchè la questione con esso proposta è nuova. Infatti dalla sentenza impugnata non risulta che la questione della decadenza dell’Inps dal diritto di produrre documenti e chiedere prove, a seguito della sua tardiva costituzione nel giudizio di primo grado, sia stata proposta al giudice di appello. La sentenza trascura completamente la questione, nè l’attuale ricorrente ha precisato in quale verbale di causa o atto difensivo del giudizio di appello abbia eccepito la decadenza. Va quindi ribadito che nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto che postulino indagini e accertamenti di fatto e che non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (cfr. tra le tante, Cass. n. 15950/2004, n. 15422/2005, n. 230/2006, n. 20518/2008).

L’inammissibilità del primo motivo comporta, di conseguenza, il rigetto del terzo motivo poichè l’esame da parte del Tribunale delle prove e della documentazione prodotta dall’Inps in primo grado, ancorchè tardivamente, non può essere disatteso in questa sede in ragione di una decadenza non tempestivamente contestata.

Il secondo motivo di ricorso è infondato.

In primo luogo perchè non si rinviene alcuna violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Dallo stesso ricorso si ricava, infatti, che nella cartella di pagamento opposta l’Inps ha fatto riferimento a modelli DM/10 rettificativi rispetto alle autodichiarazioni della società, per ciascuno degli 8 mesi considerati nell’anno 1997. Il giudice del gravame, ne respingere l’appello della società, ha rilevato che “a fondamento della pretesa l’Istituto richiama i c.d. modelli rettificativi, ossia atti di provenienza dei propri uffici che evidenziano le differenze contributive a debito dei datori di lavoro nascenti da errori o inesattezze contenute nelle denunce mensili”. In altro passo della motivazione la Corte territoriale precisa che “il credito di cui alla cartella opposta non deriva da denunce mensili inevase, ma è rappresentato da differenze di aliquote e da sgravi non spettanti”.

Dunque il giudice di appello non ha operato alcun mutamento della domanda dell’Inps, nè ha provveduto ad un diverso inquadramento dell’azienda senza domanda di parte, ma ha correttamente rilevato che la pretesa dell’Istituto era fondata sul mancato riconoscimento degli sgravi contributivi pretesi dalla società sul presupposto di svolgere una attività industriale, benchè inquadrata nel settore terziario.

Quanto alla prova del credito, va ricordato che sull’Inps, attore in senso sostanziale, gravava l’onere di provare di aver ricevuto nel periodo considerato contributi inferiori a quelli dovuti in ragione dell’inquadramento dell’azienda. Spettava invece alla società, convenuta in senso sostanziale, che affermava di aver diritto agli sgravi di cui alla L. n. 1089 del 1968, di dare la prova dei fatti costitutivi di tale diritto (vedi Cass. n. 977/2002), parzialmente estintivi della pretesa dell’ente, prova che non risulta essere stata fornita.

La Corte territoriale ha ritenuto che la pretesa dell’Inps era sufficientemente provata dalla produzione dei modelli di rettifica e della situazione contabile analitica della società. Tale valutazione delle prove acquisite, per essere congruamente motivata, non è suscettibile di riesame in sede di legittimità.

In definitiva, il ricorso deve essere respinto con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento in favore dell’Inps delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Nulla per le spese per la s.p.a. ETR, che non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Inps delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10,00 per esborsi ed in Euro duemila per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2010

 

 

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