Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9465 del 21/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 21/04/2010), n.9465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32308/2006 proposto da:

AGROSELE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BALDUINA 66, presso lo studio

dell’avvocato SPAGNUOLO GIUSEPPE, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore avv.to

S.G.P., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

MARITATO LELIO, SGROI ANTONINO, CORETTI ANTONIETTA, CORRERA’

FABRIZIO, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1809/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 30/11/2005 r.g.n. 733/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 12.6.2001 al Tribunale di Salerno la società Agrosele s.r.l. proponeva opposizione alla cartella esattoriale notificata il 29.5.2001 con la quale la s.p.a. ETR, concessionaria per la riscossione, le aveva intimato il pagamento della somma di L. 143.554.845 per contributi previdenziali, dovuti all’INPS per il periodo luglio 1995/aprile 1997, sanzioni e somme aggiuntive. Nella specie l’Inps aveva agito per il recupero degli sgravi contributivi cui la società assumeva di aver diritto a norma della L. n. 1089 del 1968, per la sua asserita natura industriale, negata dall’ente previdenziale.

Nella resistenza dell’Inps, il Tribunale di Salerno rigettava l’opposizione. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza n. 733 del 2 luglio 2004, rigettava l’appello proposto dalla società.

Con ricorso depositato il 6 settembre 2004 la s.r.l. Agrosele proponeva istanza di revocazione di quest’ultima sentenza per il motivo di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, assumendo che la decisione era fondata sulla errata supposizione che l’appellante avrebbe confessato ìobbligazione contributiva mediante l’invio dei modelli DM/10, mentre era chiaro che i predetti modelli non contenevano alcuna confessione di debito e che dagli stessi modelli risultava che i contributi denunciati erano stati pagati.

L’Inps, in proprio e quale mandatario della SCCI s.p.a., si costituiva chiedendo il rigetto del ricorso. La Corte di Appello con sentenza n. 1809 del 30 novembre 2005 rigettava il ricorso sul rilievo che l’errore lamentato dalla ricorrente non costituiva un errore di percezione dei fatti di causa, bensì un errore di valutazione, involgendo il giudizio circa l’idoneità dei modelli DM/10 a fondare la pretesa azionata dall’Inps, di cui le parti avevano discusso nel corso del giudizio e che la Corte aveva valutato nel suo provvedimento.

Per la cassazione di tale sentenza la s.r.l. Agrosele ha proposto ricorso fondato su due motivi. L’Inps ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione di varie norme del codice di rito (artt. 416, 436, 113, 115, 116, 399 e 400 c.p.c.), la società contesta alla Corte di Appello di non aver rilevato che l’Inps si era costituito tardivamente nel giudizio di revocazione, sicchè era decaduto dal diritto di proporre eccezioni e depositare documenti, con la conseguenza che non potendo la Corte esaminare la documentazione oggetto del denunciato errore di fatto, la domanda di revocazione doveva essere accolta.

Con il secondo motivo di ricorso, denunciando violazione di vari articoli del codice di rito (artt. 395, 113, 115, 116 e 112 c.p.c.) e vizi di motivazione, la società sostiene che la Corte di Appello è incorsa in errore di fatto laddove ha ritenuto che i modelli DM/10 prodotti in giudizio, dai quali risulta l’autodichiarazione dei contributi dovuti e la prova dell’avvenuto adempimento, costituissero riconoscimento del debito contributivo posto dall’Inps a fondamento della cartella di pagamento, benchè da detti modelli non risultasse affatto il riconoscimento di un maggior debito rispetto a quanto dichiarato ed emergesse l’avvenuto pagamento dei contributi.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

In primo luogo va rilevato che l’attuale ricorrente non ha precisato in quale scritto difensivo o verbale di causa del giudizio di revocazione abbia eccepito la intervenuta decadenza dell’Inps dal proporre eccezioni e depositare documenti in conseguenza della sua tardiva costituzione nel predetto giudizio, nulla risultando dalla sentenza impugnata; ne consegue che ogni nullità dipendente dalla eventuale valutazione da parte del giudice di appello di eccezioni e prove non ritualmente prodotte è sanata a norma dell’art. 157 c.p.c., trattandosi di nullità relativa.

In secondo luogo si rileva che nel giudizio di revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, grava sulla parte che agisce in revocazione l’onere di provare l’errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudice a quo, e quindi l’onere di produrre tutta la documentazione che ritiene necessaria a sorreggere la domanda, mentre il convenuto, se costituito, può limitarsi a chiedere il rigetto dell’istanza avversaria. Nella specie, dunque, è del tutto irrilevante che l’Inps si sia costituito tardivamente, non avendo il convenuto alcun onere probatorio da soddisfare.

Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato.

La soc. Agrosele, a conclusione del ricorso, ha così precisato il quesito di diritto sottoposto a questa Corte: “Il giudice adito in sede di revocazione di sentenza emessa in grado di appello è tenuto ad accertare se il fatto costituente errore, così come denunciato dalla parte, sia stato oggetto di dibattito con riferimento specifico al documento di cui si afferma l’erronea percezione, ai fini del riconoscimento del debito a carico dell’obbligato che assume di avere integralmente soddisfatto l’obbligazione contenuta nell’atto esaminato dal giudice. L’esistenza del debito contributivo, nascente dall’invio delle denunce mensili di autodichiarazione da parte dei datori di lavoro, mediante i mod. DM/10, deve ritenersi esaurita con l’avvenuto adempimento rilevabile dal medesimo documento con l’attestazione dell’istituto bancario che ha riscosso la somma. L’errore di fatto che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consiste nell’erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto, fa cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita (nel caso concreto, il giudice ha ritenuto che i mod. DM/10 contenessero il riconoscimento del debito contributivo, posto a fondamento della cartella di pagamento da parte dell’ente previdenziale, nonostante che essi risultassero integralmente pagati)”.

In buona sostanza la società, a sostegno della domanda di revocazione, ha portato le seguenti argomentazioni: a) il giudice di merito è incorso in errore di fatto laddove ha ritenuto che i modelli DM/10 presentati dal datore di lavoro contenessero il riconoscimento del debito contributivo per il quale è stata emessa la cartella di pagamento opposta, nonostante che i contributi indicati come dovuti nei suddetti modelli risultassero regolarmente pagati: b) l’esame e la valutazione dei modelli DM/10, prodotti solo in appello all’udienza di discussione, ed il valore di riconoscimento di debito attribuito a tali modelli, non hanno formato oggetto di dibattito tra le parti.

Entrambe le proposizioni non sono idonee a sorreggere la domanda di revocazione.

Dalla stessa esposizione del ricorso in revocazione si ricava che il giudice di appello ha preso in esame i mod. DM/10 e li ha valutati, reputandoli prove idonee a dimostrare la fondatezza della pretesa contributiva azionata dall’Inps con l’iscrizione a ruolo, non incorrendo in alcun errore di percezione quanto all’avvenuto pagamento, atteso che il pagamento attestato dai medesimi documenti concerneva il debito contributivo ridotto degli sgravi cui la società assumeva di aver diritto, mentre l’iscrizione a ruolo riguardava gli importi pretesi dall’Istituto senza riduzione per sgravi e che erano stati già indicati nei modelli rettificativi inviati dall’ente all’azienda. In pari tempo il giudice di appello ha espresso un giudizio laddove ha ravvisato nelle dichiarazioni contenute nei DM/10 il valore di confessione relativamente alla totalità dei contributi dovuti, ancorchè il dichiarante ne avesse ridotto l’importo attraverso la deduzione dello sgravio. Il preteso errore di percezione è pertanto insussistente.

Parimenti non condivisibile è la seconda argomentazione. La sentenza qui impugnata ha precisato che “una delle questioni affrontate dalla Corte è stata proprio quella della esistenza o meno di una ricognizione di debito e della configurabilità o meno della stessa nel contenuto delle denunce mensili inviate con i più volte menzionati mod. DM/10. In proposito, dopo aver dato atto che l’INPS aveva documentato il credito con un richiamo ai modelli rettificativi, la Corte, in considerazione del carattere non decisivo di tale produzione, ha disposto l’acquisizione di copia conforme dei modelli DM/10 al fine di verificare se, alla luce dell’insegnamento della S.C., agli stessi si potesse attribuire natura confessoria per effetto della contestuale richiesta in essa contenuta di riconoscimento degli sgravi portati in deduzione”. Dagli accertamenti in fatto compiuti da giudice della revocazione risulta, dunque, che la questione dei valore contessono o meno delle dichiarazioni contenute nei modelli DM/10 ha costituito un punto controverso tra le parti nel giudizio di appello.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Cassazione l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocabilità delle sentenze deve consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai documenti della causa, vale a dire quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto del quale è supposta l’esistenza o l’inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, restando invece escluso che l’errore possa riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, o l’interpretazione e la valutazione dei fatti data dalla Corte, o le argomentazioni logico-giuridiche che ne sorreggono la decisione, o pretesi vizi motivazionali della sentenza impugnata (cfr. tra le tante Cass. n. 2713/2007, n. 9396/2006, n. 2485/2006).

A questi principi, dai quali il Collegio non ha motivo di discostarsi, si è correttamente attenuta la Corte di Appello nel respingere la domanda di revocazione proposta dalla società, sicchè le censure proposte dall’attuale ricorrente non sono meritevoli di accoglimento.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore dell’Inps, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 15,00, per esborsi ed in Euro duemila per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2010

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