Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9464 del 28/04/2011

Cassazione civile sez. II, 28/04/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 28/04/2011), n.9464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A. e G.G., rappresentati e

difesi, in forza di procura speciale per atto notaio Domenico Polito

di Borgomanero del 28.6.2005 repertorio n. 180011, dall’Avv.to

Giromini Beatrice del foro di Novara e dall’Avv.to Camici Giammaria

del foro Roma ed elettivamente domiciliati presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Monte Zebio, n. 30;

– ricorrenti –

contro

GA.Ma. e N., nella qualità di eredi di

Ga.An., rappresentati e difesi dall’Avv.to Cornacchia

Ugo del foro di Novara e dall’Avv.to Perilli Maria Antonietta del

foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del

controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di

quest’ultima in Roma, via della Conciliazione, n. 44;

– controricorrenti –

avverso a sentenza della Corte di Appello di Torino n. 429/2005

depositata il 14 marzo 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to Carla Silvestri (con delega dell’Avv.to Maria

Antonietta Perilli), per parte controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 21 maggio 1991 S. A. e G.G. evocavano, dinanzi alla Pretura di Novara – sezione distaccata di Borgomanero, GA.An. esponendo di essere comproprietari di un fabbricato sito in (OMISSIS), e, sul retro dello stesso, verso nord, di una piccola porzione di terreno, della larghezza di circa mt. 1,50, precisando di avere sempre utilizzato, per accedere e recedere da tale striscia di terreno, il passaggio pedonale esistente nel terreno di GA.An., espressamente menzionato nell’atto di compravendita del 24.10.1969, intervenuto tra F. S. e B.P., quest’ultimo dante causa degli attori. Aggiungevano che da qualche tempo il GA. aveva ostruito il passaggio con cumuli di materiali e una rete metallica rendendo impossibile l’accesso al terreno di loro proprietà. Tanto premesso, chiedevano la condanna del convenuto a reintegrarli nell’esercizio del diritto di passo pedonale ed in subordine, essendo il lotto un fondo intercluso, chiedevano la costituzione di servitù coattiva di passaggio; in ogni caso, condannarsi il convenuto al risarcimento dei danni. Alla causa veniva riunito altro giudizio instaurato dai medesimi attori nei confronti di B. P., il quale rimaneva contumace, per sentirlo dichiarare tenuto a prestare in loro favore le garanzie del caso e a tenerli indenni dalle pretese del GA., oltre a risarcirli dei danni subiti.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del convenuto GA., il giudizio veniva interrotto per decesso di quest’ultimo. Gli attori riassumevano il giudizio solo nei confronti degli eredi del GA., Ma. e GA.Ne., limitandosi a riproporre la domanda di costituzione della servitù coattiva di passaggio ed il Tribunale adito (già Pretore), espletata istruttoria, accoglieva la domanda attorea, costituendo sul terreno di proprietà dei convenuti servitù coattiva di passaggio in favore del fondo degli attori.

In virtù di rituale appello interposto da GA.Ma. e Ne., con il quale lamentavano l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure per avere costituito una servitù coattiva al di fuori dei casi previsti dalla legge, senza prevedere un’indennità, contestando la decisione anche quanto alla determinazione delle spese processuali, la Corte di appello di Torino, nella resistenza degli appellati, che proponevano appello incidentale per la rifusione delle spese di c.t.u., accoglieva il gravame e rigettava la domanda attorea.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale precisava che l’androne dell’edificio di proprietà degli appellati (sito sul mapp 773) aveva accesso dalla via pubblica attraverso il passaggio pedonale e carraio sito tra i fondi 558 e 561, su cui incideva il diritto di passaggio a favore degli appellati e degli stessi appellanti, dando il passaggio accesso ai cortile comune ai fabbricati appartenenti ai GA. e ai coniugi S. – G.. Ciò posto, il fondo di cui si asseriva l’interclusione era un “reliquato di terreno” della superficie di non oltre 20 mq, sito tra il fabbricato di proprietà degli appellanti ed altra proprietà, e non si trattava di un fondo autonomo, ma di una porzione del maggiore fondo distinto in catasto al foglio 16 mapp. 763 (unico essendo anche il mappale), che era privo di ogni possibilità di godimento e sfruttamento diverso da quello derivante dall’essere a servizio dello stabile adiacente, occupante la maggior parte del fondo. Concludeva, pertanto, che spettava ai coniugi S. – G., proprietari del fondo, già dotato di adeguato collegamento con la via pubblica, realizzare le opere necessarie per rendere accessibile ai pedoni anche la striscia di terreno in questione, eliminando l’ostacolo artificiale a suo tempo realizzato da coloro che avevano costruito l’edificio occupante la maggiore parte del fondo (con apertura di una porta sul retro del fabbricato).

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Torino hanno proposto ricorso per cassazione i coniugi S. – G., che risulta articolato su un unico motivo, al quale hanno resistito con controricorso i GA.. Hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c., i controricorrenti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo i ricorrenti deducono la violazione ed erronea applicazione dell’art. 1051 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare, il giudice dei gravame avrebbe errato nel ritenere che il fondo per il quale si chiede l’imposizione di servitù coattiva di passaggio sia semplicemente una porzione del maggiore fondo dei ricorrenti e non un fondo autonomo, facendone discendere la non applicabilità alla specie dell’art. 1051 c.c. Invero il mappale 763 si comporrebbe di due aree tra loro del tutto separate (da tempo immemorabile) dal fabbricato: un sedime antistante il caseggiato ed un sedime ad esso retrostante, a nulla rilevando l’unicità del numero di mappale. Inoltre la motivazione sarebbe illogica e contraddittoria perchè il fondo in questione, che secondo il giudice del gravame sarebbe a servizio dello stabile di abitazione, non ha alcuna comunicazione e/o possibilità di accesso con il medesimo fabbricato. L’avere asserito che l’apertura di una porta dal fabbricato dei ricorrenti risolverebbe la comunicazione del fondo con il fabbricato, soluzione peraltro data senza alcuna indicazione del c.t.u., non terrebbe conto dello stato dei luoghi, trattandosi di caseggiato di oltre centocinquanta anni che forma un corpo unico con quello dei GA., peraltro con realizzazione di una porta che non è mai esistita. Infine il giudice del gravame non avrebbe considerato che l’interclusione non è stata creata con la costruzione del fabbricato (nè tanto meno dai ricorrenti), ma come risulterebbe dalla mappa, si sarebbe creata in epoca successiva alla realizzazione dell’edificio, con il frazionamento di un appezzamento più ampio.

Premesso che non può essere condivisa la deduzione degli intimati secondo cui il motivo di ricorso sarebbe inammissibile, perchè volto ad introdurre un terzo grado del giudizio di merito, essendo evidente che con le plurime censure i coniugi S. – G. hanno specificamente indicato le carenze nell’iter argomentativo del giudice distrettuale e che sostanzialmente si incentrano sulla mancata configurazione dei caratteri dell’interclusione della parte di fondo retrostante lo stabile di loro proprietà.

In sostanza i ricorrenti sostengono che, contrariamente all’assunto del giudice di appello, lo stato dei luoghi è caratterizzato da una situazione oggettiva di soggezione tra i due fondi di rispettiva proprietà delle parti – appartenenti ab origine al medesimo proprietario – consentendo l’accesso pedonale alla parte retrostante de loro fondo dalla pubblica via, quale unica possibilità di accesso.

La censura è infondata.

La corte territoriale ha escluso l’asservimento di un fondo all’altro, rilevando che l’androne dell’edificio di proprietà dei S. – G. ha accesso dalla via pubblica attraverso il passaggio pedonale e carraio sito fra i fondi 558 e 561 e che lo stesso passaggio da anche accesso al cortile comune ai fabbricati appartenenti ai G. ed ai ricorrenti, da cui poi inizia l’ulteriore passaggio fino alla porzione di terreno retrostante l’edificio dei ricorrenti; in particolare la corte distrettuale ha affermato che il fondo preteso intercluso altro non sarebbe che un modesto reliquato di terreno (di superficie non superiore a 20 metri quadrati), non avente le caratteristiche di un fondo autonomo, bensì di porzione del maggiore fondo di proprietà dei ricorrenti, e ciò non solo perchè parte di un’unica particella catastale, ma soprattutto perchè privo di possibilità di godimento e sfruttamento diverso da quello derivante dall’essere a servizio dello stabile adiacente (degli stessi ricorrenti), che occupa la maggior parte del fondo. Pertanto il convincimento espresso dalla sentenza impugnata è frutto di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede, in ordine alla insussistenza di una situazione di subordinazione o di servizio che integri il contenuto proprio della servitù evocata dai ricorrenti.

Del resto qualora a causa della divisione materiale di un fondo operata dal proprietario di esso, come assunto dai ricorrenti (secondo cui i terreni sarebbero stati in origine di un unico proprietario), allorchè una parte del fondo sia priva di accesso alla pubblica via, mentre altra parte del fondo mantenga il collegamento alla via pubblica, non si è in presenza di una situazione di interclusione, suscettibile di dare luogo alla costituzione di una servitù coattiva di passaggio, poichè all’interclusione di fatto può porre fine l’unico proprietario del fondo ripristinando il collegamento alla pubblica via in favore della parte interclusa attraverso la parte che gode di un accesso all’esterno (v. Cass. 10 gennaio 2003 n. 177).

Le situazioni che autorizzano la richiesta del passaggio coattivo sono quelle in primo luogo previste dall’art. 1051 c.c., comma 1, ossia l’interclusione del fondo dominante, da intendersi quale assenza sulla via pubblica di un’uscita che permetta normali collegamenti e spostamenti e la necessità che il passaggio serva per la coltivazione ed il conveniente uso dello stesso (v. Cass. 30 marzo 1989 n. 1558). Quanto alla interclusione essa può essere intesa sia in senso assoluto sia in senso relativo. Uno dei problemi che si pone in sede di interpretazione dell’art. 1051 c.c. è appunto quello legato al concetto di fondo dominante ai fini dell’imposizione della servitù coattiva di passaggio sul fondo ed. servente. Al riguardo una questione può sorgere allorchè si tratti, come nella specie, di porzioni o parti di uno stesso fondo o comunque di terreni appartenenti allo stesso proprietario. Costantemente la giurisprudenza di questa corte ha risposto negativamente fissando la massima che, ai fini della costituzione della servitù coattiva di passaggio, e quindi della determinazione della interclusione del fondo, va fatto riferimento al fondo nella sua interezza ed unicità e non a singole sue parti o porzioni o particene, le quali non possono essere considerate, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1051 c.c. se, comunque, una parte di esso confini con la via pubblica ed ha, quindi, uscita su di essa, o può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio (v. Cass. 2 febbraio 1995 n. 1258).

E di detto principio ha fatto applicazione la corte di merito, perchè diversamente argomentando la servitù coattiva di passaggio si risolverebbe nel reclamare l’imposizione di un peso a carico del fondo altrui dettato da prevalenti ragioni di mera comodità, peraltro a favore di un appezzamento che ha vocazione di autonomia.

Infine, quanto all’impossibilità di realizzare l’apertura dall’edificio di proprietà dei ricorrenti, si tratta di questione di fatto che non può essere esaminata in questa sede.

Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve, dunque, essere respinto.

Al rigetto consegue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione Civile, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2011

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