Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9464 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. I, 09/04/2021, (ud. 05/02/2021, dep. 09/04/2021), n.9464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10153-2015 r.g. proposto da:

A.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati

Auletta Andrea, e Claudio Lucisano, presso il cui studio è

elettivamente domiciliato in Roma, Via Crescenzio n. 91;

– ricorrente –

contro

C.M., e Fallimento C.A. s.r.l.;

– intimati –

avverso il decreto del Tribunale di Como, depositato in data

13.3.2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

5/2/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Como ha accolto parzialmente l’impugnazione allo stato passivo presentata L.Fall., ex art. 98 da C.M. nei confronti di A.S. e del Fallimento C.A. s.r.l. avverso il provvedimento del g.d., con il quale l’ A. era stato ammesso al passivo, in via prededuttiva, per la complessiva somma pari ad Euro 146.952,97, ammettendo, invece, il predetto creditore per la diversa e minor somma pari ad Euro 24.300.

Il tribunale ha ritenuto, per quanto qui ancora rileva, che occorreva disattendere l’eccezione di inammissibilità in ordine alla mancata prova della tempestività nella presentazione del ricorso, eccezione sollevata dal resistente, in quanto la detta prova era stata fornita dalla parte impugnante con la produzione dei documenti depositati in forma cartacea il 12 gennaio 2015, documentazione dalla quale era emerso che la parte ricorrente aveva avuto notizia della comunicazione del deposito dello stato passivo il 2 ottobre 2013, con la conseguente ammissibilità dell’impugnazione depositata in data 31 ottobre 2013; ha infatti evidenziato l’infondatezza dell’eccezione sollevata dalla parte resistente secondo cui il deposito della memoria integrativa – autorizzata dal giudice – sarebbe dovuto avvenire necessariamente in via telematica ex lege 114 del 2014; ha invece osservato che la mera irritualità formale del deposito cartaceo risultava comunque sanata dal raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3; nel merito, ha rilevato che la circostanza dello svolgimento di attività professionale e consulenziale dell’Avv. A., nella predisposizione della domanda di ammissione al concordato preventivo della società fallita, non era oggetto di contestazione ed anzi risultava provata documentalmente dalla produzione del ricorso L.Fall., ex art. 161, comma 6, con procura a margine, con la conseguente natura monocratica e non già collegiale dell’incarico professionale conferito e duplicità degli incarichi invece conferiti dalle due società C.A. s.r.l. e Edil c. s.r.l.; ha dunque osservato che, in assenza di accordo tra le parti, il compenso professionale da riconoscere al professionista istante doveva essere parametrato, per la fase giudiziale, alla tariffa di cui al D.M. n. 140 del 2012 per l’attività di avvocato, non potendosi applicare, come erroneamente disposto dal giudice delegato, le tariffe professionali dei dottori commercialisti, e più in particolare l’art. 27 del predetto D.M.; ha inoltre evidenziato che erano applicabili i parametri di liquidazione previsti dal predetto D.M. n. 140 del 2012, art. 7 per l’attività giudiziale svolta nei procedimenti cautelari o speciali o non contenziosi, fermo restando i criteri generali di cui agli artt. 1 e 4 D.M. cit.; ha infine evidenziato che, ai sensi dell’art. 11 menzionato D.M., l’importo medio del compenso previsto per ciascuna fase può essere ridotto ovvero aumentato e che il valore effettivo della causa doveva corrispondere al passivo fallimentare il quale, aggiornato alle domande tardive, ammontava ad Euro 20.531.159,67, osservando ulteriormente che, ai sensi dell’art. 4, comma 9 occorreva far riferimento ai criteri di liquidazione di cui all’art. 4; ha tuttavia rimarcato che, stante la peculiarità del giudizio speciale di cui alla L.Fall., art. 161, occorreva far riferimento alle sole fasi di studio, introduzione e istruzione, con la conclusione che la somma liquidabile a titolo di compenso professionale, per l’attività giudiziale, ammontava ad Euro 24.300.

2. Il decreto, pubblicato il 13.3.2015, è stato impugnato da A.S. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.

C.M. e Fallimento C.A. s.r.l., intimati, non hanno svolto difese.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L.Fall., art. 99, comma 2, stante la tardività nel deposito della documentazione da parte del C. nel corso del giudizio di impugnazione, documentazione riguardante il profilo della contestata tempestività nella presentazione del mezzo di impugnazione L.Fall., ex art. 98.

2. Il secondo mezzo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 bis, comma 1, come convertito con L. 17 dicembre 2012, n. 221, e del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 44 convertito in L. 11 agosto 2014, n. 114. Si evidenzia la inammissibilità della produzione documentale – sempre attestante la prova della contestata tempestività dell’impugnazione L.Fall., ex art. 98 – perchè fornita in modo cartaceo anzichè con le modalità telematiche previste obbligatoriamente dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 bis, comma 1, come modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 44.

2. I primi due motivi, scrutinabili congiuntamente perchè connessi, si rivelano infondati alla stregua delle considerazioni che seguono.

2.1 Questa Corte ha più volte statuito che la verifica della tempestività dell’opposizione allo stato passivo, L.Fall., ex art. 98, è questione rilevabile d’ufficio, indipendentemente dall’eccezione di parte e dalla eventuale contumacia del curatore, ed è pertanto dovere del giudice controllare la data di ricezione dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione dello stato passivo allegata al fascicolo fallimentare (previa sua acquisizione) o al ricorso in opposizione (cfr. Cass. n. 24551 del 2016 e Cass. n. 18496 del 2014, entrambe rese in relazione a fallimenti regolati dalla L.Fall., artt. 98-99 nei rispettivi testi post riforma di cui ai D.Lgs. n. 5 del 2006 e D.Lgs. n. 169 del 2007. Per il regime precedente, conclusioni analoghe erano state espresse da Cass. 21021 del 2013; Cass. 6799 del 2012; Cass. 17829 del 2005).

2.1.1. Il medesimo principio, poi, è stato recentemente applicato da Cass. n. 12171 del 2020 – resa in vicenda del tutto analoga a quella odierna, proveniente dallo stesso Tribunale di Como – anche in relazione alla fattispecie (qui concretamente in rilievo) dell’impugnazione del credito ammesso promossa da altro creditore, ai sensi del medesimo L.Fall., art. 98, comma 3.

2.1.2. Pure in quell’arresto, peraltro, il giudice di merito, anzichè acquisire il fascicolo fallimentare, aveva optato per l’assegnazione di un termine alla parte ricorrente per produrre la documentazione attestante la tempestività del deposito del ricorso e la Suprema Corte ha ritenuto, condivisibilmente, che “ciò non toglie che tale produzione, cui il ricorrente ha provveduto nell’adempimento del suo dovere di collaborazione con il giudice, è comunque riconducibile all’esercizio del potere officioso e la parte impugnante non è quindi incorsa in alcuna decadenza”.

2.2. Il ricorrente, inoltre, nemmeno può invocare la violazione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, comma 1, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), per avere la C. depositato i documenti richiesti in forma cartacea e non telematica.

2.2.1 In proposito, va osservato che Cass. n. 9772 del 2016 ha statuito che, nei procedimenti contenzioni incardinati dinanzi ai tribunale dal 30 giugno 2014, il deposito per via telematica, anzichè con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio (il D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis aveva prescritto l’obbligo di deposito telematico solo per gli atti endoprocessuali e non già per quelli introduttivi del giudizio) non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità, essendo stato comunque realizzato il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti.

2.2.1.1 In particolare, nel proprio percorso argomentativo, la citata pronuncia ha osservato che il D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis – inserito nella L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 19, n. 2, – pur prescrivendo la regola dell’obbligatorietà del deposito telematico per i soli atti endoprocessuali, non impedisce, in mancanza di una espressa sanzione di nullità, il deposito degli atti introduttivi in via telematica. Si è evidenziato che le forme degli atti del processo non sono prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sè o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma sono previste per la realizzazione di un certo risultato, con la conseguenza che è irrilevante l’eventuale inosservanza della prescrizione formale se l’atto viziato abbia egualmente raggiunto lo scopo cui è destinato. Alla luce di tale ragionamento, questa Corte, nella pronuncia in oggetto, ha concluso che essendo lo scopo di un atto processuale la presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è instaurata, e nella messa a disposizione delle altre parti processuali, il deposito per via telematica, anzichè con modalità cartacee dell’atto introduttivo di un giudizio di cognizione, si risolve in una mera irregolarità tutte le volte in cui l’atto sia stato inserito nei registri informatici dell’ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero di Giustizia.

2.2.2 Questa Corte, successivamente, ha parimenti applicato il principio del raggiungimento dello scopo, giusta l’art. 156 c.p.c., in un’altra fattispecie, esaminata da Cass. n. 18535 del 2019 (non massimata), in cui è stato ritenuto che la domanda di insinuazione allo stato passivo, pur depositata in cancelleria, e non inviata al curatore a mezzo p.e.c. – come richiesto dalla L.Fall., art. 93 – non incorre nella sanzione processuale della inammissibilità (non prevista dal legislatore) ove abbia comunque raggiunto il proprio scopo di determinare la costituzione di un contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è stata instaurata (in quel caso, tale domanda era stata inserita nel progetto di stato passivo del curatore, il quale, con tale condotta, aveva implicitamente attestato di averla regolarmente ricevuta).

2.2.3 Più recentemente, poi, la già menzionata Cass. n. 12171 del 2020 ha applicato il medesimo principio in una fattispecie perfettamente sovrapponibile a quella oggi all’esame di questo Collegio, affermando che la documentazione prodotta in giudizio dal creditore impugnante, benchè depositata in forma cartacea e non telematica, era stata portata a conoscenza della controparte e del giudice, che aveva così potuto verificare la tempestività del deposito dell’ivi promosso ricorso L.Fall., ex art. 98, comma 3.

2.2.4 Infine, Cass. n. 26889 del 2020, dopo aver ricordato che il ricorso L.Fall., ex art. 98 è proposto da un soggetto – nella specie, si trattava di un creditore la cui domanda di ammissione al passivo era stata respinta (nulla impedisce, però, di opinare allo stesso modo anche per il creditore, già ammesso, che impugni l’avvenuta ammissione di un credito altrui) – che è escluso dalla modalità telematica, non risultando tra quelli indicati nel citato D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 3 il quale dispone che, nelle procedure concorsuali, la disposizione di cui al comma 1 (in tema di deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti costituite “esclusivamente con modalità telematiche”) si applica esclusivamente al deposito degli atti e dei documenti a cura del curatore, del commissario giudiziale, del liquidatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario (cfr. Cass. n. 19151 del 2019), ha giudicato rituale l’avvenuta produzione, ad opera del difensore creditore opponente, in forma cartacea anche dell’ulteriore documentazione poi utilizzata dal tribunale nella sua decisione, altresì precisando che, “…in ogni caso, come il deposito per via telematica dell’atto introduttivo del giudizio o della documentazione ad esso allegata, anzichè con modalità cartacee, non dà luogo ad una nullità, rispettivamente, della costituzione dell’attore o della produzione, ma ad una mera irregolarità sanabile per raggiungimento dello scopo, in ragione della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa dell’atto a disposizione delle altre parti secondo le previste modalità (…), ugualmente il deposito dell’atto introduttivo e della documentazione predetta con modalità cartacce anzichè, in ipotesi, per via telematica, costituisce vizio sanabile per raggiungimento dello scopo della costituzione del rapporto processuale o del contraddittorio su quella documentazione, eventualmente mediante concessione di termine all’altra parte per svolgere le proprie difese (cfr. sostanzialmente in tal senso Cass. n. 19151 del 2019)”.

2.3 Deve, dunque, ribadirsi, anche nel caso di specie, l’applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, atteso che la documentazione prodotta in giudizio dal creditore impugnante, pur depositata in forma cartacea e non telematica, era stata portata a conoscenza della controparte e del giudice, che aveva così potuto verificare la tempestività del deposito del ricorso L.Fall., ex art. 98. Nè l’odierno ricorrente ha lamentato di aver vanamente richiesto la concessione, a sua volta, di un termine al fine di esaminare quella documentazione.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del decreto impugnato per mancanza di motivazione, con conseguente violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., in ordine alla mancata esplicazione delle ragioni sottese alla maggiorazione del compenso nella misura del 60%.

4. Il quarto mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, in relazione al D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 1, comma 7 e art. 27 in ordine ai criteri di liquidazione adottati dal tribunale per la determinazione del compenso professionale da ammettersi al passivo fallimentare, evidenziando inoltre l’irragionevolezza di una liquidazione maggiore a favore del dottore commercialista rispetto a quella del legale nella predisposizione degli atti introduttivi del procedimento di concordato preventivo nonostante la sovrapponibilità delle rispettive prestazioni professionali.

5. Il ricorrente propone inoltre un quinto motivo con il quale declina, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione di legge in relazione al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, con riferimento al D.M. n. 140 del 2012, art. 1, comma 7, art. 11, comma 9 e art. 4, comma 2, sempre in relazione all’erronea adozione dei criteri di liquidazione del compenso adottati dal tribunale.

6. Il sesto mezzo denuncia, infine, violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2 e della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6, in relazione al D.M. n. 55 del 2014, art. 28, commi 6 e 4.

7. Venendo, ora, all’esame degli altri motivi di ricorso, il quarto di essi merita esame logicamente prioritario perchè invoca la necessità di parametrare il compenso dovuto al ricorrente all’attività di “assistenza in procedure concorsuali” di cui al D.M. n. 140 del 2012, art. 27 anzichè, come fatto dal tribunale, a quella giudiziale espletata nei “procedimenti cautelari o speciali o non contenziosi” di cui all’art. 7 medesimo decreto.

Lo stesso si rivela infondato.

7.1 Questa Corte, infatti, ha già puntualizzato che l’art. 27 suddetto “si riferisce alla generica attività di assistenza in procedure concorsuali, vale a dire a quella attività che la norma individua nell’esecuzione di incarichi di complessiva assistenza al debitore nel periodo preconcorsuale (e nel corso di una procedura di concordato preventivo, accordo di ristrutturazione di debiti e di amministrazione straordinaria). Incarichi che, per non essere individuati in relazione a profili specifici, postulano che il compenso debba essere determinato “in funzione del totale delle passività”, così da risultare liquidabile, “di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 9 della tabella C – Dottori commercialisti ed esperti contabili” (cfr. Cass. n. 16934 del 2018).

7.1.1 Ne consegue l’impossibilità di utilizzare analogicamente il menzionato art. 27, dettato per la liquidazione del compenso ai dottori commercialisti, per la quantificazione del compenso per la diversa ed affatto specifica attività (nella specie esclusivamente la redazione del ricorso L.Fall., ex art. 161, comma 6, e la partecipazione agli atti del conseguente procedimento: cfr. pag. 2 del decreto impugnato) espletata da un avvocato in sede giudiziale.

7.2 Ad una diversa conclusione nemmeno può condurre la circostanza, assolutamente pacifica, che l’Avv. A. avesse svolto anche attività stragiudiziale. Il tribunale, infatti, ha precisato, da un lato, che la lettera di incarico del 19 maggio 2012, “firmata dallo stesso A., attribuiva a quest’ultimo la sola “consulenza legale” all’interno della più ampia operazione di ristrutturazione aziendale che si legge essere stata “già stata affidata, con separata lettera di incarico, al Dott. P.G.”” (cfr. pag. 3 del menzionato decreto); dall’altro, che la stessa faceva espresso riferimento alle tariffe professionali degli avvocati, sicchè “si procederà, ai sensi dell’art. 2233 c.c., ad applicare il D.M. n. 140 del 2012, che, all’art. 3, fa riferimento all’attività stragiudiziale svolta dall’avvocato (tariffe richiamate nella clausola 3 della lettera di incarico del 19.5.2012″, individuando criteri di massima ai fini della quantificazione: il valore e la natura della causa, numero ed importanza delle questioni, pregio dell’opera, ore complessive prestate”; “Tenuto conto che, per la determinazione del valore effettivo della causa, non può che farsi riferimento, anche in questa fase, al passivo della società, tenuto conto che non vengono prodotte in giudizio schedari indicanti le ore lavorative; considerato che l’impegno profuso dall’esperto nella fase pregiudiziale può essere assimilato a quello svolto nella fase giudiziale dal punto di vista dell’importanza dell’opera, nulla osta ad un’applicazione, in via analogica, dei criteri di liquidazione previsti per la fase giudiziale…” (cfr., ancora pag. 4 del decreto suddetto). Appare, dunque, affatto ragionevole opinare nel senso che quell’attività stragiudiziale fosse strumentale, propedeutica e funzionale alla intrapresa attività giudiziale, così potendo trovare pure nelle tariffe giudiziali adeguata e specifica remunerazione.

8. Passando, poi, al sesto motivo, anch’esso da esaminarsi prioritariamente rispetto al terzo ed al quinto, – in ragione della già ritenuta inapplicabilità del D.M. n. 140 del 2012, art. 27 (dovendo, invece, farsi riferimento, come meglio si dirà oltre, all’art. 11, comma 9 medesimo decreto) ed invocando lo stesso l’utilizzazione del D.M. n. 55 del 2014, in luogo, appunto, di quello n. 140 del 2012 di cui si era avvalso il tribunale – la corrispondente doglianza si rivela infondata.

8.1. Posto, invero, che tanto il D.M. n. 140 del 2012, art. 41, che il D.M. n. 55 del 2014, art. 28, prevedono come criterio temporale di applicazione quello del momento della liquidazione dei compensi, stabilendo che le rispettive disposizioni si applichino per le liquidazioni avvenute successivamente alla corrispondente data di entrata in vigore, è sufficiente rimarcare che questa Corte ha già chiarito, con affermazione che qui si condivide, che “i parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorchè la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purchè a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata” (cfr. Cass. n. 31884 del 2018; Cass. n. 21205 del 2016).

8.1.1. Ne consegue che, nella specie, poichè è pacifico che l’attività professionale giudiziale svolta dall’Avv. A. nell’interesse della C.A. s.r.l. si era conclusa anteriormente al marzo 2014, prima, dunque, della entrata in vigore del citato D.M. n. 55 del 2014, i nuovi parametri di liquidazione sanciti da quest’ultimo non potevano trovare applicazione, dovendo invece utilizzarsi, per quantificare il compenso per l’attività, giudiziale e stragiudiziale, da lui svolta, il D.M. n. 140 del 2012.

9. I motivi terzo e quinto, infine, riguardando entrambi l’avvenuta quantificazione del compenso riconosciuto all’Avv. A. per l’attività professionale giudiziale (come precedentemente descritta) da lui svolta nell’interesse della già indicata società in bonis, possono essere esaminati congiuntamente perchè chiaramente connessi.

Gli stessi si rivelano fondati nei limiti ed alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.

9.1 E’ rimasto incontroverso, emergendo dal tenore letterale dello stesso provvedimento impugnato (senza che, sul punto, siano state oggi sollevate specifiche contestazioni), che il valore della controversia in relazione al quale quell’attività era stata prestata era dii circa Euro 20.531.159,67 (pari all’accertato passivo del fallimento della C.A. s.r.l.). Muovendo da ciò, il tribunale, premettendo che detto valore andava ben oltre il valore massimo preso in considerazione dall’ultimo scaglione di riferimento previsto dal D.M. n. 140 del 2012 (quello, cioè, delle liti di valore ricompreso tra Euro 500.000,01 ed Euro 1.500.000,00), e senza nulla puntualizzare (come, invece, avrebbe dovuto, giusta il combinato disposto del menzionato D.M. n. 140 del 2012, art. 11, comma 9, e art. 4 di cui pure aveva dichiarato di dover fare applicazione) quanto alla natura ed alla complessità della controversia, oppure al numero ed all’importanza delle questioni trattate dal professionista, nè al pregio dell’opera prestata dall’Avv. A., ha quantificato il compenso riconosciuto a quest’ultimo (per le fasi di studio, introduzione ed istruzione, uniche riconoscibili in rapporto alla concreta attività giudiziale da lui svolta) procedendo alla mera maggiorazione del 60% degli importi medi previsti, rispettivamente, per quelle fasi, per le controversie di valore ricompreso tra Euro 500.000,01 ed Euro 1.500.000,00.

9.2 Va poi considerato che: i) in assenza di un preventivo accordo tra le parti, la cui centralità, ribadita dal D.M. n. 140 del 2012, era già enucleabile dall’incipit dell’art. 2233 c.c., comma 1, l’adito tribunale doveva fare applicazione (ratione temporis) dei parametri di cui all’appena citato decreto, il cui art. 11, comma 1, sancisce che “I parametri specifici per la determinazione del compenso sono, di regola, quelli di cui alla tabella A – Avvocati, allegata al presente decreto. Il giudice può sempre diminuire o aumentare ulteriormente il compenso in considerazione delle circostanze concrete, ferma l’applicazione delle regole e dei criteri generali di cui agli artt. 1 e 4”; ii) ai sensi dell’art. 1 medesimo decreto, u.c., “in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”; iii) nella specie, tenuto conto del valore della controversia pari a circa Euro 20.531.159,67, occorre considerare, altresì, quanto stabilito dal comma 9 medesimo articolo, a tenore del quale “per le controversie il cui valore supera Euro 1.500.000,00, il giudice, tenuto conto dei valori di liquidazione riferiti di regola allo scaglione precedente, liquida il compenso applicando i parametri di cui all’art. 4 commi da 2 a 5…”; iv) per quanto qui di effettivo interesse, l’art. 4 medesimo decreto, commi 2 e 3 dispongono, rispettivamente, che “2. Nella liquidazione il giudice deve tenere conto del valore, della natura e della complessità della controversia, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche all’esito di riunione delle cause, dell’eventuale urgenza della prestazione” e che “3. Si tiene altresì conto del pregio dell’opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente”; v) questa Corte ha già precisato che, “in tema di liquidazione delle spese giudiziali ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, la disciplina secondo cui i parametri specifici per la determinazione del compenso sono, di regola, quelli di cui alla allegata tabella A, la quale contiene tre importi pari, rispettivamente, ai valori minimi, medi e massimi liquidabili, con possibilità per il giudice di diminuire o aumentare ulteriormente il compenso in considerazione delle circostanze concrete, va intesa nel senso che l’esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla forcella di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura” (cfr. Cass. n. 12537 del 2019).

9.3 Alla stregua del riportato contesto normativo e giurisprudenziale, allora, l’iter procedimentale e motivazionale complessivamente seguito dal tribunale per la quantificazione del compenso liquidato all’Avv. A. per l’attività professionale giudiziale di cui oggi si discute non può essere condiviso.

9.3.1 Quel giudice, invero, come si è già anticipato: i) ha preso le mosse dallo scaglione delle controversie di valore fino ad Euro 1.500.000,00 (come gli imponeva la prima parte del più volte citato D.M. n. 140 del 2012, art. 11, comma 9), prediligendo i valori medi ivi previsti, senza minimamente chiarire, però, se ciò era stato dovuto al fatto che, così facendo, aveva voluto considerare, seppure implicitamente, la notevole differenza tra il valore delle controversie di quello scaglione (in relazione al quale, magari, si potevano considerare come base di partenza pure i valori minimi) e quello, superiore a quest’ultimo, della lite patrocinata dall’Avv. A.; ii) successivamente, su quei valori medi, ha applicato una maggiorazione del 60% degli importi previsti, rispettivamente, per le suddette fasi riconosciute (di studio, introduzione ed istruzione), ancora una volta però, omettendo di specificare se quel coefficiente di maggiorazione fosse stato considerato come limite massimo invalicabile dettato dal menzionato D.M. per qualsiasi procedimento, a prescindere dal suo valore, oppure se, fermo restando che non esisterebbe alcun limite invalicabile, quel coefficiente fosse stato ritenuto congruo in relazione al valore dello specifico procedimento, della sua complessità e di tutti gli altri elementi indicati dall’art. 4, commi 2-5 D.M. medesimo (di cui, però, non ha dato minimamente conto).

9.3.2 Non può ritenersi rispettato, allora, il percorso procedimentale complessivamente descritto dal già riportato art. 11, comma 9 D.M. predetto, che, invece, imponeva al tribunale di giustificare compiutamente le modalità di determinazione del concreto importo originario – ricompreso tra quelli minimo, medio e massimo, riferiti, di regola, allo scaglione precedente (fino ad Euro 1.500.000,00) – successivamente da incrementarsi, specificandosene il criterio concretamente adottato, in funzione dell’effettivo valore della controversia, della natura e complessità della stessa, del numero e dell’importanza e complessità delle questioni trattate, nonchè del pregio dell’opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente.

9.3.3 Il tribunale, dunque, in parte qua, ha fornito una motivazione del proprio operato non coerente con quanto testè affermato, nè con il minimum costituzionale imposto da Cass., SU, n. 8053 del 2014, atteso che, come è ampiamente desumibile da quanto prima riferito, le affermazioni di quel giudice non permettono di individuare, con la necessaria chiarezza, la giustificazione del decisum: esse, infatti, sarebbero parimenti utilizzabili ove si fosse stato in presenza di una controversia rientrante tra quelle di valore fino ad Euro 1.500.000,00, così giungendo, immotivatamente, a trattare allo stesso modo fattispecie evidentemente diverse.

10. In conclusione, quindi, l’odierno ricorso va accolto in relazione ai soli motivi terzo e quinto, respinti gli altri, ed il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio della causa al Tribunale di Como, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame da effettuarsi alla luce del seguente principio di diritto:

“La liquidazione giudiziale del compenso spettante ad un avvocato, da effettuarsi alla stregua dei parametri sanciti dal D.M. n. 140 del 2012 ed in relazione all’attività professionale da lui svolta, nell’interesse del proprio cliente, in una controversia di valore superiore ad Euro 1.500.000,00, postula che l’operato del giudice, ai sensi dell’art. 11, comma 9 D.M. predetto, consenta di individuare le modalità di determinazione del concreto importo originario – ricompreso tra quelli minimo, medio e massimo, riferiti, di regola, allo scaglione precedente (fino ad Euro 1.500.000,00) – successivamente da incrementarsi, specificandosene il criterio concretamente adottato, in funzione dell’effettivo valore della controversia, della natura e complessità della stessa, del numero e dell’importanza e complessità delle questioni trattate, nonchè del pregio dell’opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente”.

10.1 Al suddetto giudice di rinvio è rimessa pure la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il terzo ed il quinto motivo di ricorso, respingendone gli altri. Cassa il decreto impugnato, in relazione ai soli motivi accolti, e rinvia la causa al Tribunale di Como, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 5 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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