Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9462 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. I, 22/05/2020, (ud. 07/01/2020, dep. 22/05/2020), n.9462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25716/2015 proposto da:

G.G., Gi.Ma., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Flaminia n. 109, presso lo studio dell’avvocato Bertolone

Biagio, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Zuccarello Sebastiano, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Banca Sella Holding S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via C. Fracassini n. 4,

presso lo studio dell’avvocato Neri Alessandra, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Recami Luca, giusta procura in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza non definitiva n. 244/2014 e la sentenza

definitiva n. 877/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositate

il 10/2/2014 e il 08/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/01/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Bertolone Biagio che si riporta;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Neri Alessandra che si

riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.G. e Gi.Ma. propongono ricorso per cassazione con quattro mezzi, corroborati da memorie, nei confronti di Banca Sella Holding SPA, che replica con controricorso e memorie, avverso la sentenza non definitiva n. 244 del 10/2/2014 ed la successiva sentenza definitiva n. 877 dell’8/5/2015 della Corte di appello di Torino che, in riforma della decisione di primo grado, in parziale accoglimento del gravame proposto dalla banca, aveva condannato quest’ultima a pagare a G. e Gi. la minor somma di Euro 72.750,54, oltre interessi legali dal 2/5/2005 fino al saldo.

La domanda originariamente proposta da G. e Gi. concerneva la richiesta di risarcimento dei danni subiti per effetto della revoca delle linee di credito in precedenza concesse dalla banca con riferimento a quattro rapporti di conto corrente, due dei quali intestati a G. e Gi. e due intestati alla società M.G. SRL, per i quali i primi avevano prestato garanzia fideiussoria.

Segnatamente, gli attuali ricorrenti aveva lamentato: l’illiceità del comportamento della banca per avere inaspettatamente esercitato il diritto di recesso con richiesta di rientro immediato di tutte le esposizioni debitorie; relativamente ai conti personali, la vessatorietà, ai sensi dell’art. 1469 bis c.c., delle clausole che prevedevano la facoltà di recesso della banca dalle aperture di credito; per tutti i quattro conti correnti, la nullità delle clausole contrattuali che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi e l’applicazione della commissione di massimo scoperto, con conseguente richiesta di restituzione dell’indebito; la nullità delle clausole contrattuali di determinazione del tasso di interesse in quanto contrarie alla normativa antiusura.

La banca si era difesa sotto molteplici profili eccependo anche la prescrizione.

Il Tribunale, dichiarato il difetto di legittimazione degli attori in merito ai conti correnti intestati alla società e respinte le altre domande, aveva affermato a nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi e dalla commissione di massimo scoperto applicate ai rapporti personali. In particolare, ritenuta inapplicabile la Delib. CICR 9 febbraio 2000 e evidenziata la mancanza di patto scritto, aveva escluso la legittimità di ogni forma di capitalizzazione degli interessi anche dopo il 30/6/2000; aveva ritenuto infine la nullità della commissione di massimo scoperto per indeterminatezza della causa sottostante; conclusivamente, aveva condannato la banca a corrispondere agli attori la somma di Euro 184.197,96, oltre interessi e rimborso delle spese nella misura del 50%.

Nell’accogliere parzialmente l’appello della banca, la Corte territoriale ha rideterminato l’importo da restituirsi, previa integrazione della CTU che ha tenuto conto della natura solutoria o ripristinatoria dei versamenti provvedendo alla “detrazione del periodo prescrizionale decennale dalle annotazioni, per le rimesse solutorie, e dalla data di chiusura del conto, per le rimesse ripristinatorie” (fol. 10 della sent. def. imp.), precisando che ricorreva “l’esigenza di revisione dei conteggi sulla base del saldo contabile della banca, e non già sul saldo rettificato, previamente depurato, dovendosi in tal modo salvaguardare gli effetti naturali della prescrizione” (fol. 11 della sent. def. imp.) maturata in favore della banca e rimarcando che “parimenti si è già esclusa l’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 1194 c.c., sicchè non appaino rilevanti le problematiche inerenti all’imputazione dei versamenti del correntista a interessi intra o extrafido” (fol. 12 sent. def. imp.); ha inoltre ritenuto valida la metodologia incentrata sull’imputazione dei versamenti a capitale ed interessi secondo un criterio di proporzionalità.

Il ricorso viene per la trattazione alla odierna udienza pubblica, a seguito di rinvio d’ufficio disposto con ordinanza interlocutoria in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, che appare sufficientemente specifico in merito ai motivi dedotti ed indica con chiarezza i documenti e gli atti sui quali esso è fondato.

2.1. Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono che la Corte di appello, accogliendo l’eccezione di prescrizione della banca in merito ai versamenti effettuati dai correntisti e qualificati come solutori, abbia violato l’art. 2697 c.c., in combinato disposto con l’art. 2935 c.c., ed i principi di onere della prova regolanti la prescrizione, e sostengono che la banca non aveva mai dedotto, nè allegato che i versamenti oggetto del giudizio avessero funzione diversa da quella ripristinatoria, nè indicato le circostanze da cui avrebbe potuto desumersi la natura solutoria di tali pagamenti.

2.2. Con il secondo motivo denunciano la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per ultrapetizione della pronuncia laddove ha accertato la natura solutoria di alcune rimesse, non prospettata dalla banca, nonchè la violazione degli artt. 61 e 115 c.p.c., in merito alla disponibilità delle prove, lamentando anche l’inammissibilità e la natura esplorativa della CTU.

2.3. Il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono infondati e vanno respinti.

Come affermato dalle Sezioni Unite, con sent. n. 15895 del 13/6/2019, a risoluzione di contrasto, “L’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie”.

Tale principio si pone in linea e conferma i precedenti arresti di legittimità con i quali è stato precisato che “In materia di contratto di conto corrente bancario, poichè la decorrenza della prescrizione è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti effettuati dal cliente, essa matura sempre dalla data del pagamento, qualora il conto risulti in passivo e non sia stata concessa al cliente un’apertura di credito, oppure i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento; ne discende che, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata” (Cass. n. 2660 del 30/01/2019) e che sposti per quel versamento l’inizio del decorso della prescrizione al momento della chiusura del conto (Cass. 27704 del 30/10/2018), rimarcando altresì che la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti è evincibile dagli estratti-conto, della cui produzione in giudizio è onerato il cliente, sicchè la prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione della prescrizione è nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione (Cass. n. 18144 del 10/07/2018).

La decisione impugnata ha dato applicazione a detti principi e risulta immune da vizi.

3.1. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 345 c.p.c., sostenendo che la eccezione di prescrizione era stata introdotta dalla banca con l’atto di appello, e quindi tardivamente, di guisa che avrebbe dovuto essere considerata inammissibile in quanto nuova.

3.2. Il terzo motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha accertato che l’eccezione di prescrizione decennale in merito alla domanda di ripetizione dell’indebito era stata sollevata dalla banca anche in primo grado (fol. 7 della sent. def. imp.): la censura non contesta in modo specifico quanto accertato dalla Corte territoriale, che avrebbe richiesto una puntuale critica atteso l’inconciliabile contrasto con quanto assume la ricorrente.

4.1. Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, i ricorrenti denunciano la insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e lamentano l’errato utilizzo del saldo della banca ai fini della determinazione della somma oggetto della condanna restitutoria. Deducono che la revisione dei conteggi sarebbe stata falsata per due ordini di motivi: a) in quanto effettuata sulla base del saldo contabile della banca, cd. “saldo bancario”, e non già sul saldo rettificato, previamente depurato delle rimesse nulle perchè conseguenti ad addebiti illegittimi per applicazione di clausole anatocistiche e costi non dovuti; b) in quanto l’imputazione delle rimesse solutorie avrebbe dovuto essere riferita solo al capitale in extrafido e agli interessi applicati su detto capitale, mentre il credito intrafido ed i relativi interessi diventavano liquidi ed esigibili solo alla chiusura del rapporto di apertura di credito.

4.2. Il motivo è inammissibile per la parte articolata come vizio motivazionale in quanto non risponde al modello legale, in assenza dell’indicazione del fatto decisivo di cui sarebbe stato omesso l’esame.

4.3. E’ inammissibile anche come violazione di legge giacchè non risultano indicate le norme che si assumono violate e la doglianza appare, nelle sue due articolazioni, sostanzialmente volta a sollecitare una rivalutazione nel merito dei fatti accertati anche con l’ausilio della CTU, sulla scorta di prospettazioni ed esemplificazioni di conteggi fornite dalla parte senza un adeguato confronto con le statuizioni assunte dalla Corte di appello, sia nella sentenza non definitiva che in quella definitiva, di modo da consentire di apprezzare la tempestiva ed ammissibile introduzione delle questioni proposte.

4.4. Giova evidenziare che – come rimarcato dalla controricorrente – la Corte di appello in sede di sentenza parziale aveva rilevato anche la sopravvenienza di un giudicato interno sull’inapplicabilità dell’art. 1194 c.c. (imputazione del pagamento agli interessi) che gli odierni ricorrenti ignorano e su cui non prendono alcuna posizione nello svolgimento del motivo, rendendone evidente anche il difetto di specificità.

5. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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