Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 946 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. I, 17/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 17/01/2011), n.946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6400-2008 proposto da:

A.R. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI depositato il

25/07/2007; n. 882/07 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il sig. A.R., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli chiedeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, la liquidazione dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale derivatogli dall’eccessiva durata di un processo promosso dinanzi al TAR della Campania in data 12 ottobre 2000, ancora pendente al momento della proposizione del ricorso alla Corte d’appello. Questa, con decreto depositato il 25 luglio 2007, rilevato che trattavasi di ricorso collettivo e non era stata presentata istanza di prelievo, così dimostrandosi uno scarso interesse al giudizio; immutamento dell’oggetto del giudizio (riguardante il riconoscimento di un compenso aggiuntivo per il lavoro notturno); quantificato in tre anni e otto mesi l’eccessiva – durata del processo, determinava l’indennizzo annuo in Euro 800,00 e complessivamente, per tre anni e otto mesi di ritardo già maturatosi al momento della domanda, in Euro 2.934,00. Avverso tale decreto l’attore ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze il 29 febbraio 2008, formulando tredici motivi. Quest’ultimo resiste con controricorso, deducendo l’inammissibilità di alcuni dei motivi formulati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 6 della CEDU, della L. n. 89 del 2001 e della regola secondo la quale la normativa della CEDU prevale su quella nazionale. Si deduce che il decreto impugnato si porrebbe in contrasto con dette norme e detto principio avendo liquidato un indennizzo inferiore a 1000,00 Euro per ogni anno di ritardo. Con il secondo motivo si denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 1 e 6 della CEDU, sempre in relazione alla insufficiente quantificazione dell’indennizzo. Con il terzo motivo si denunciano vizi motivazionali in relazione alla quantificazione dell’indennizzo.

1.2. I motivi attengono tutti alla quantificazione dell’indennizzo e vanno decisi congiuntamente. Il primo va dichiarato inammissibile per l’inadeguatezza del quesito formulato. Il secondo e il terzo sono infondati.

Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dai criteri di liquidazione elaborati da quella Corte per i casi simili. Tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti tra la citata legge e la Convenzione ed essendo espressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di cassazione. Relativamente al caso di specie va considerato che, anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, conv. nella L. n. 133 del 2008 – a norma del quale “la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2” – questa Corte aveva statuito che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, andasse riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa potesse subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, la cui mancata o ritardata presentazione può incidere unicamente sulla determinazione dell’entità dell’equa riparazione spettante, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. sez. un. 23 dicembre 2005, n. 28507;

Cass. 12 ottobre 2005, n. 19801; 12 ottobre 2005, n. 19804; 22 gennaio 2008, n. 1365). Ciò in quanto l’istanza di prelievo, prevista dal R.D. n. 642 del 1907, art. 51, comma 2, (e richiamata dalla L. n. 1034 del 1971, art. 19) con lo scopo di fare dichiarare il ricorso urgente onde ottenerne la trattazione anticipata rispetto agli altri pendenti sul ruolo, non costituisce adempimento necessario, ai fini dello svolgimento del processo amministrativo e la CEDU ha più volte rilevato, nella sua giurisprudenza, che in base all’art. 6, par. 1, della Convenzione, nel calcolo del periodo di ragionevole durata del processo non possa avere influenza l’omissione o il ritardo nella presentazione dell’istanza di prelievo, in quanto quell’omissione o quel ritardo non sospendono nè differiscono il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda proposta. Tale indirizzo giurisprudenziale ha ricevuto sostanziale avallo dalla CEDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi c. Italia), la quale, in due recentissime decisioni (Volta et autres c. Italia, del 16 marzo 2010;

Falco et autres c. P Italia, del 6 aprile 2010) ha anche ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi e alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quello di mille Euro annui normalmente liquidato, con valutazioni del danno non patrimoniale che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a valutazioni riduttive rispetto a quelle in precedenza ritenute congrue. Inoltre questa Corte, con una giurisprudenza che si è andata consolidando (Cass. 28 ottobre 2009, n. 22 869, ha ritenuto che ove ne sussistano, per la particolarità del caso, le ragioni, – come avviene nel caso di specie, in cui la mancanza d’istanza di prelievo denota uno scarso interesse al giudizio – per i primi tre anni di ritardo possa ritenersi congruo un indennizzo annuo di Euro 750,00(da riportarsi a mille Euro per il periodo successivo. Ne deriva, nella specie, la congruità dell’indennizzo complessivamente liquidato, con conseguente infondatezza dei motivi.

2.1. Con il quarto motivo si lamenta la mancata concessione del “bonus” di 2000.00 Euro, che si asserisce dovuto trattandosi di causa di lavoro. Con il quinto violazione dell’art. 112 c.p.c. per la mancata pronuncia su detto “bonus”. Con il sesto motivo si denunciano ancora violazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia in relazione al su detto “bonus”.

I motivi vanno esaminati congiuntamente e dichiarati inammissibili, in quanto (Cass. 6 settembre 2010, n. 19064; 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869), nel caso in cui il giudice di merito abbia negato il riconoscimento del cosiddetto “bonus”, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla circostanza che il “bonus” spetta “ratione materiae”, che era stato richiesto e che la decisione negativa non sia stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che non sono indicate nei motivi e quesiti formulati al riguardo.

2.2. I restanti motivi riguardano tutti le spese. La censura con la quale si lamenta la mancata liquidazione delle spese “secondo gli standard Europei” è infondata (dovendo applicarsi in proposito gli standard stabiliti dal diritto nazionale con riferimento ai giudizi contenziosi. Le rimanenti censure sono fondate in quanto debbono applicarsi le tabelle relative ai giudizi contenziosi ed essendo le spese liquidate (Euro 453,16 complessivamente) inferiori a quelle risultanti da esse. Il decreto impugnato va pertanto cassato sul punto e decidendosi al riguardo nel merito, le spese del giudizio di merito vanno liquidate nella misura di Euro 445,00 per onorari ed Euro 378,00 per diritti, oltre Euro 24,00 per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge. Si ravvisano giusti motivi, in relazione al solo parziale accoglimento del ricorso, per compensare per due terzi le spese di questo giudizio di cassazione, liquidando il restante terzo come in dispositivo, con distrazione delle stesse in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.

Cassa il decreto impugnato in relazione al capo relativo alla liquidazione delle spese e decidendo nel merito condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle spese del giudizio di merito nella misura di Euro 445,00 per onorari e 378,00 per diritti, oltre Euro 24,00 per spese vive ed oltre spese generali e accessori come per legge. Quelle del giudizio di cassazione vanno compensate per due terzi, liquidando il terzo residuo a carico del su detto Ministero in Euro 170, 00, di cui venti per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge. Con distrazione di tutte le spese in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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