Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9459 del 28/04/2011

Cassazione civile sez. II, 28/04/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 28/04/2011), n.9459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 482/2009 proposto da:

G.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

Roma, presso La Corte Di Cassazione, Piazza Cavour, difeso dall’Avv.

CALLEGARI Romano;

– ricorrente –

contro

T.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI

Paolo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PEDOT

CRISTIAN;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 195/2008 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 18/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

in subordine il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A. – T.G. convocava in giudizio, davanti al Tribunale di Trento, G.R., chiedendo che questi venisse condannato a pagargli la somma di Euro 4.407,17 o di quella maggiore o minore da accertarsi nel corso di causa oltre interessi e rivalutazione monetaria quale corrispettivo per aver svolto alcuni lavori di idraulica presso edifici di proprietà del G.. Si costituiva in giudizio G.R., il quale contrastava la domanda dell’attore ed, in particolare, le distinte dei lavori prodotti in giudizio, in quanto prive, di firme e quindi, di qualsiasi valore probatorio. Proponeva domanda riconvenzionale per importi pagati in più e per risarcimento danni, producendo una relazione peritale di parte in cui venivano descritti alcuni asseriti difetti nei lavori quantificando i relativi danni in oltre Euro 4.000,00, il Tribunale, di Trento accoglieva la domanda dell’attore condannava G. R. al pagamento in favore di T.G. dell’importo di Euro 4.410,57 oltre interessi di legge. Rigettava le domande riconvenzionali (restituzioni degli importi pagati e risarcimento danni per vizi) proposte da G..

b. – Avverso tale sentenza proponeva impugnazione, davanti alla Corte di Appello di Trento, G.R.. Si costituiva in giudizio T.G. chiedeva la conferma della sentenza impugnata contestando le domande tutte dell’appellante perchè infondate. La Corte di Appello di Trento con sentenza n. 195/08 ha respinto tutti i motivi si appello proposti da G.R. condannava lo stesso al pagamento delle ulteriori spese del secondo grado del giudizio. La Corte di Appello di Trento ha chiarito: a) che il contratto intercorso tra le parti in causa era un contratto d’opera e al rapporto tra le parti andava riferita la normativa di cui all’art. 2226 cod. civ.; b) che il G. aveva accettato l’opera senza riserva e dunque non poteva più proporre una azione per responsabilità per presunti vizi riscontarti; c) che il G. avrebbe versato una somma di Euro 10.000,00 in parte per lavori eseguiti e in parte quale acconto per lavori da eseguire e non già come riteneva il G. la maggiore somma di Euro 15.600,00.

c. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre G.R., con due motivi affidati ad un atto di ricorso notificato il 19 dicembre 2008. Resiste T.G. con controricorso notificato il 23 gennaio 2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo G.R. lamenta – come da rubrica – Falsa applicazione dell’art. 2226 cod. civ. e violazione dell’art. 1453 cod. civ. e dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 366 bis c.p.c.. A ben vedere questo motivo è al suo interno articolato in due parti che appare opportuno esaminare separatamente: a) Nella prima parte di questo motivo il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 2226 cod. civ.; b) nella seconda parte lamenta, invece, la violazione dell’art. 1453 cod. civ. e dell’art. 112 c.p.c..

1.a. – Avrebbe errato la Corte di Appello di Trento – secondo il ricorrente – nell’aver riferito al caso di specie la normativa di cui all’art. 2222 cod. civ., e segg., anzichè quella di cui all’art. 1665 cod. civ., e segg.. Questa ricostruzione gli avrebbe impedito di superare l’eccezione di prescrizione e decadenza proposta da T. ex art. 2226 cod. civ., e accolta dal Giudice di merito.

1.b. – Avrebbe errato la Corte di Appello di Trento – secondo il ricorrente per aver omesso di pronunciarsi, violando l’art. 112 cod. proc. civ., sull’azione di inadempimento contrattuale proposta ex art. 1453 cod. civ. con la relativa applicazione del termine prescrizionale ordinario ex art. 2946 cod. civ.. La Corte di Appello di Trento non avrebbe tenuto conto – secondo il ricorrente – del fatto che l’azione promossa, contro il T. in via riconvenzionale per risarcimento danni da mancata ultimazione delle opere commissionate e da esecuzione di parte di esse in modo non conforme a regola d’arte, non conforme agli accordi e con difetti vari, era in sostanza un’azione di inadempimento contrattuale e che dunque la disciplina applicabile è quella generale in materia di inadempimento dettata dall’art. 1453 c.c., e segg., con applicabilità del termine di prescrizione ordinaria decennale di cui all’art. 2946 c.c..

1.2. – La censura, sotto entrambi i profili, non può essere accolta per le seguenti ragioni.

1.3.a. – E’ orientamento costante di questa Corte che la distinzione tra contratto, d’opera e contratto d’appalto, giuste le disposizioni normative di cui agli artt. 1655 e 2222 cod. civ., e posto che entrambi i relativi contratti hanno (in comune l’obbligazione verso il committente di compiere a fronte di corrispettivo un’opera o un servizio senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi li esegue, si basa sul criterio della struttura e dimensione dell’impresa a cui sono commissionate le opere. Il contratto d’opera è quello che coinvolge la piccola impresa desumibile dall’art. 2083 cod. civ., e cioè, quella che svolge la propria attività con la prevalenza del lavoro personale dell’imprenditore (e dei propri familiari) e in cui l’organizzazione non è tale da consentire il perseguimento delle iniziative di impresa. Il contratto di appalto, postula un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto (ex multis sent. n. 12519 del 2010).

L’accertamento in ordine all’imputazione, di un rapporto contrattuale, ad un contratto d’opera o ad un contratto di appalto che in sè, comporta l’identificazione della natura dell’impresa interessata, è affidato al giudice di merito coinvolgendo una valutazione delle risultanze probatorie e dei necessari elementi di fatto. La ricostruzione della fattispecie concreta, e, l’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito, sei congruamente motivati, se privi di contraddizioni e vizi logici, non sono suscettibili di essere riesaminati dal giudice di legittimità.

1.3.b. – Non vi è dubbio che nel caso in cui l’appaltatore, o il prestatore d’opera, non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt. 1453 e 1455 cod. civ., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. o nell’ipotesi di contratto d’opera, quella prevista dall’art. 2226 cod. civ., trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata eseguita, ma presenti vizi, difformità o difetti.

Tuttavia, sotto il profilo della prescrizione e della decadenza, le ipotesi di risarcimento danni per inadempimento contrattuale e quella di risarcimento danni derivanti da vizi dell’opera, non sono esattamente sovrapponigli o equiparabili. Considerato che l’art. 1668 cod. civ., anche per quanto richiamato dall’art. 2226 cod. civ., nell’enunciare il contenuto della garanzia prevista dall’art. 1667 cod. civ., e corrispondentemente dall’art. 2226 cod. civ., attribuisce al committente, oltre all’azione per l’eliminazione dei vizi dell’opera a spese dell’appaltatore o di riduzione del prezzo, anche quella di risarcimento dei danni derivanti dalle difformità o dai vizi nel caso di colpa dell’appaltatore; trattandosi di azioni, comunque, riferibili alla responsabilità connessa alla garanzia per vizi o difformità dell’opera e destinate ad integrane il contenuto, i termini di prescrizione e di decadenza di cui al citato art. 1667 cod. civ., per il contratto di appalto e quelli di cui all’art. 2226 cod. civ., per il contratto d’opera, si applicano anche all’azione risarcitoria.

1.4. – La normativa di riferimento così come specificata e chiarita da questa Corte in varie, occasioni consente di apprezzare la decisione della Corte di Appello di Trento laddove identifica un contratto d’opera anzichè un contratto di appalto, affidando il risultato ad una motivazione priva di contraddizioni e da vizi logici. Così, come consentono di apprezzare la decisione impugnata laddove la Corte di Appello ha accolto l’eccezione di decadenza per la denunzia dei vizi, avendo accertato l’esistenza di un’accettazione tacita, da parte del G. senza riserva dei lavori realizzati da T. con la consequenziale esclusione della possibilità di agire per far valere una responsabilità per i presunti vizi riscontrati.

1.5. – A sua volta, l’inadempimento del T. non ha trovato alcun riscontro, probatorio e, come tale, non può legittimare una richiesta di risarcimento danni. Piuttosto, come ha affermato la Corte territoriale, T. è stato impedito dal G. di ultimare i lavori a lui commissionati tale che lo stesso inadempimento lamentato dal G. è imputabile allo stesso.

2 – Con il secondo motivo G.G. lamenta – come da rubrica. Osserva o, comunque, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e dell’art. 366 bis c.p.c., secondo periodo. Avrebbe errato la Corte di Appello di Trento, secondo il ricorrente, laddove ha ritenuto che la dicitura “pagato” apposta sulla fattura (OMISSIS) per il pagamento complessivo della somma di Euro 5.610,00, comprensiva di IVA, per la fornitura di un impianto termoidraulico in Via (OMISSIS) e il ricevimento di Euro 10.000,00 nello stesso giorno per lavori (OMISSIS) firmati dal T., non significhi che il G. abbia pagato nello stesso giorno due distinti acconti in favore del T. per la complessiva somma di Euro 15.610,00. La lettura corretta secondo il ricorrente sarebbe, invece, quella di ritenere che il G. abbia pagato Euro 560,00 come risulta dalla fattura n. (OMISSIS) a saldo dei lavori già effettuati in (OMISSIS) e una somma non fatturata di Euro 10.000,00 per i lavori ancora da farsi. A nulla, per altro rileva che i due pagamenti siano avvenuti nello stesso giorno. Al riguardo, evidenzia ancora il ricorrente, la Corte di merito sarebbe incoerente perchè da un verso ha affermato che entrambi i documenti sono stati riconosciuti dal T., ma non riconosce, anche, la verità di quanto in detti documenti risulta scritto. La stessa Corte di merito non avrebbe, altresì, errato laddove ha dato rilievo alla testimonianza della teste del T., G.R., nonostante l’eccezione dell’inammissibilità di detta prova testimoniale in ragione del divieto di cui all’art. 1722 cod. civ., e per il fatto stesso che la fosse convivente more uxorio del T..

2.1. – Il motivo è infondato e la relativa censura non merita di essere accolta.

2.2. – La Corte Territoriale, in base all’esame delle risultanze probatorie, con motivazione esauriente e priva di vizi logici, ha ricostruito il significato e la rilevanza dei documenti depositati in giudizio e delle prove testimoniali espletate. Dall’esame delle prove acquisite ed a seguito di una puntuale valutazione, la Corte territoriale ha escluso che il G. abbia effettuato versamenti, per importi maggiori di quelli ammessi dal T.. Tale, ricostruzione, in quanto priva di contraddizioni, non è suscettibile di essere riesaminata dal giudice di legittimità.

In definitiva, il ricorso va rigettato, perchè il primo motivo è infondato e il secondo è inammissibile.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese, che liquida, in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2011

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