Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9459 del 21/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 21/04/2010), n.9459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23804-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PANNONE OTTAVIO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.V., I.R., GI.LA., F.

I., D.P.A.;

– intimati –

e sul ricorso 25745-2007 proposto da:

G.V., I.R., GI.LA., F.

I., D.P.A.M., tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che

li rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4 98 9/2 006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/09/2006 R.G.N. 5689/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato PIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per inammissibilità del ricorso di

G., GI. e F., rigetto nei confronti degli

altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 21 settembre 2006 la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato la nullità della clausola di apposizione del termine ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con la società Poste Italiane da G.V., I.R., Gi.La., F.I., D.P.A.M. nelle date come per ciascuno di essi indicate, tutte successive al 31 maggio 1998, e dichiarata per tutti la conversione del rapporto di lavoro in quello a tempo indeterminato, ha condannato l’azienda al pagamento delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora, come rispettivamente precisata per ciascuno dei lavoratori, nei limiti del triennio decorrente dalla cessazione dei singoli rapporti, La sentenza impugnata è pervenuta a tale conclusione, dopo aver rilevato che le assunzioni disposte per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso ed in ragione della graduate introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane, concernevano periodi posteriori al 31 maggio 1998, oltre il limite temporale previsto dall’accordo integrativo 25 settembre 1997 e dai successivi accordi attuativi.

Per la cassazione della detta sentenza ha proposto ricorso la società con quattro motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale.

La società ha depositato copia dei verbali delle conciliazioni sindacali intervenute con G.V., Gi.La. e F.I..

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Innanzitutto, deve essere disposta la riunione dei ricorsi, siccome proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

Ancora in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso di Poste Italiane nei confronti dei lavoratori G., Gi. e F. e dell’incidentale di costoro, a seguito delle conciliazioni sindacali intervenute, risultando dai relativi verbali allegati, tutti di eguale contenuto, che essi hanno transatto la lite con la società, impegnandosi a definire le controversie in corso “in coerenza” con la conciliazione raggiunta. Questa da luogo alla cessazione della materia del contendere tra le parti, con il conseguente venir meno dell’interesse alla decisione dell’impugnazione.

Atteso l’accordo raggiunto, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente fra le suddette parti e la società le spese del giudizio di cassazione.

Passando all’esame del ricorso principale nei confronti dello I. e della D.P., per i quali permane la controversia riguardo, il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23 dell’art. 8 ccnl 26 novembre 1994, nonchè degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27 aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001, in connessione con l’art. 1362 e ss. cod. civ.. Critica la sentenza impugnata perchè nella convinzione che la disciplina del contratto a termine debba essere di natura eccezionale, ha voluto individuare un elemento temporale che la disciplina contrattuale non contiene affatto, ritenendolo di poterlo reperire negli accordi attuativi indicati in rubrica: questi nè in base ad una interpretazione letterale, nè in base alla volontà delle parti, possono condurre alla riportata conclusione, limitandosi invece via via a dare atto della particolare situazione in cui si trovava l’azienda, situazione che legittimava il ricorso ai contratti di lavoro a termine.

Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione e addebita al giudice del merito di non avere spiegato le fonti del proprio convincimento circa l’esistenza del limite temporale della facoltà per l’azienda di procedere ad assunzioni a termini, poichè la citata L. n. 56 del 1987, art. 23 non pone restrizioni alla contrattazione delle parti sociali, eccetto la determinazione della percentuali dei lavoratori da assumere a termine rispetto all’organico stabile; tanto neppure emerge dall’accordo integrativo del 25 settembre 1997, ma solo dagli accordi attuativi, i quali tuttavia non possono prevalere sul ccnl di settore, introducendo elementi in esso non stabiliti.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 421, 425 e 437 cod. proc. civ., in connessione con l’art. 1362 e ss.

cod. civ.. Si assume che la Corte territoriale pur avendo proceduto all’audizione di alcuni rappresentanti sindacali, dei quali alcuni firmatari degli accordi intervenuti in materia, non ha tenuto conto di tutte le dichiarazioni da essi rese al fine di accertare se effettivamente le parti avevano inteso di introdurre una limitazione temporale fino alla scadenza del ccnl 1994.

Il quarto motivo, nel denunciare violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233 cod. civ., critica la sentenza impugnata a) per non avere svolto alcuna verifica sulla costituzione in mora della società, la quale non può essere desunta nè dall’istanza del tentativo obbligatorio di conciliazione, nè dalla notifica del ricorso introduttiva del giudizio, non valendo entrambe come offerta della prestazione lavorativa; b) per avere disatteso le richieste istruttorie della società circa l’aliunde perceptum, le quale non potevano che essere generiche, non essendo la società in grado di produrre alcuna documentazione sull’attività lavorativa dei resistenti dopo la scadenza dei contratti a tempo.

I primi tre motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Va premesso che le assunzioni a termine dello I. e della D. P., cui ha fatto riferimento la sentenza impugnata nell’accogliere la loro domanda, avvennero in base ai contratti stipulati – per il primo dal 23 novembre 1998 e per la seconda dal 7 novembre 1998, entrambi con scadenza al 30 gennaio 1999, poi prorogata al 31 marzo 1999 sia per l’uno che per l’altra – ai sensi dell’accordo 25 settembre 97, “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Ciò premesso, rileva il Collegio che questa Corte, sulla scia di Cass. sezioni unite 2 marzo 2006 n. 4588, ha più volte affermato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, v.

anche Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le tante, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378, Cass. 25 febbraio 2009 n. 4548 e numerose altre successive).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. ex plurimis Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866).

In specie, quindi, come questa Corte ha più volte precisato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608, Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In particolare, premesso che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito del distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data e del successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, nel senso che con tali accordi le parti avevano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998, in quanto privi di presupposto normativo.

Questa Corte ha anche osservato che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).

Inoltre è stato rilevato che tale interpretazione è rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Infine, questa Corte ha ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi … attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Nessun rilievo può essere attribuito alle censure concernenti le valutazioni delle informazioni sindacali assunte dal giudice del merito, in ordine alle quali il giudice del merito ha congruamente motivato, dopo avere preso in considerazione anche le dichiarazioni dell’informatore indicato dalla società Poste Italiane.

In base al suesposto orientamento, ormai consolidato, ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29 luglio 2005 n. 15969, Cass. 21 marzo 2007 n. 6703), va confermata la nullità del termine apposto ai contratti innanzi indicati.

Inammissibile è il quarto motivo, in considerazione della genericità del primo profilo di censura contro il riferimento agli atti di costituzione in mora fatto dal giudice del gravame con la precisa indicazione delle date per ciascuno dei resistenti, quali riportate nel dispositivo, e quanto al secondo profilo, non potendo l’esibizione di documenti essere richiesta a fini esplorativi e non avendo la società neppure indicato come il documento che l’altra parte avrebbe dovuto esibire avrebbe potuto avere rilievo decisivo ai fini dell’accertamento dell’aliunde perceptum.

Riguardo al ricorso incidentale per la parte che residua dopo la conciliazione, è fondato l’unico motivo con il quale è denunciata, unitamente a violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1233, 1226, 1227, 2094, 2099 e 2697 cod. civ., artt. 113, 114 e 432 cod. proc. civ., per aver la sentenza determinato, con liquidazione equitativa, il risarcimento del danno, contenendolo in una somma pari all’ammontare delle retribuzioni per un triennio dalla cessazione del rapporto.

In effetti, la sentenza impugnata non spiega affatto le ragioni per le quali, pur in mancanza di una richiesta dei danneggiati in proposito, ha proceduto alla liquidazione del danno in via equitativa il danno risarcibile, nè ha motivato in modo esauriente la limitazione del risarcimento ai tre anni successivi alla scadenza dell’ultimo contratto.

E neppure è condivisibile la statuizione con la quale la Corte territoriale ha posto a carico dei lavoratori l’onere probatorio di avere fatto quanto possibile per limitare il danno determinato dall’inadempimento della società, incombendo invece al debitore, datore di lavoro, dimostrare la negligenza del lavoratore nel cercare altra proficua occupazione (Cass. 13 gennaio 2009 n. 488, 9 febbraio 2004 n. 2402).

In conclusione, va rigettato il ricorso principale e accolto quello incidentale.

Cassata la sentenza impugnata in relazione a tale ricorso, la causa deve essere rinviata alla stessa Corte di appello, in diversa composizione, la quale provvederà a determinare il risarcimento spettante allo I. e alla D.P. e al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile sia il ricorso principale proposto nei confronti di G.V., Gi.

L. e F.I., che quello incidentale di costoro e compensa fra le dette parti le spese del giudizio di cassazione;

rigetta il ricorso principale proposto nei confronti di I. R. e D.P.A.M. e accoglie l’incidentale di questi ultimi; cassa la sentenza impugnata in relazione a tale ricorso e rinvia la causa alla stessa Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio fra la società Poste Italiane e I. R. e D.P.A.M..

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2010

 

 

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