Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9456 del 28/04/2011

Cassazione civile sez. II, 28/04/2011, (ud. 21/10/2010, dep. 28/04/2011), n.9456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A., in proprio e nella qualità di legale

rappresentante del CONSORZIO AGRICOLTORI PUGLIESI, elettivamente

domiciliato in Roma, Circonvallazione Ostiense n. 114, presso lo

studio dell’Avvocato Patrizia Staffiere, rappresentato e difeso

dall’Avvocato SALERNO Giuseppe per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI, ISPETTORATO CENTRALE

REPRESSIONE FRODI – UFFICIO DI BARI;

– intimato –

avverso la sentenza del Giudice di pace di Trinitapoli n. 272/05,

depositata in data 25 ottobre 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 21

ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 272/05, depositata in data 24 ottobre 2005, il Giudice di pace di Trinitapoli ha rigettato l’opposizione proposta da P.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante del Consorzio Agricoltori Pugliesi, avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 311 del 2005 emessa dal Direttore dell’Ufficio di Bari dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi del Ministero delle politiche agricole e forestali.

Il Giudice di pace ha ritenuto che l’amministrazione avesse dato puntualmente prova della legittimità del proprio operato, giacchè l’ordinanza-ingiunzione era stata emessa entro i cinque anni dalla data di accertamento dei fatti. Ha rilevato altresì, contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente, che entrambe le violazioni erano state contestate mediante notificazione dei relativi verbali all’opponente, precisando altresì che in calce a detti atti erano chiaramente indicate le facoltà difensive riconosciute all’interessato. La prova testimoniale richiesta dall’opponente, poi, non poteva essere ammessa giacchè le risultanze degli accertamenti, essendo stati effettuati da ufficiali di polizia giudiziaria in ordine a fatti avvenuti sotto la loro diretta percezione, potevano essere impugnate solo con querela di falso.

Per la cassazione di questa sentenza, il P., in proprio e nella qualità, ha proposto ricorso affidato a tre motivi.

L’intimata amministrazione non ha svolto attività difensiva.

Ritenutene sussistenti le condizioni, la trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ..

Con ordinanza n. 7878 del 2010, emessa all’esito dell’udienza camerale del 15 gennaio 2010, la causa è stata rinviata alla pubblica udienza.

La trattazione della causa è quindi stata fissata per l’udienza del 21 ottobre 2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Rileva preliminarmente il Collegio che la notificazione del ricorso, eseguita al Ministero delle politiche agricole e forestali presso l’Ispettorato Centrale Repressione Frodi di Bari, risulta affetta da nullità, atteso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “poichè i direttori degli uffici periferici dell’Ispettorato centrale repressione frodi agiscono, nell’emettere le sanzioni, non in base ad un potere funzionale attribuito loro ex lege, ma in base ad un potere delegato, il Ministero delle politiche agricole e forestali, ente delegante, è legittimato ad agire direttamente in giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, o a resistervi, con la conseguenza che, ove il ricorso sia stato notificato presso l’Ufficio periferico, la notificazione (nulla e non inesistente) deve essere rinnovata nei confronti del suddetto Ministero presso l’Avvocatura Generale dello Stato” (Cass., n. 5369 del 2006).

Il Collegio ritiene tuttavia che non debba essere disposta la rinnovazione della notificazione, dal momento che il ricorso, per le ragioni che si andranno ora ad esporre, è infondato. Trova quindi applicazione il principio, affermato da questa Corte in relazione alla integrazione del contraddittorio in ipotesi di litisconsorzio necessario, in forza del quale “il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superflua, pur potendo sussistere i presupposti (come nella specie, per inesistenza della notificazione del ricorso nei confronti di alcuni litisconsorti necessari), la fissazione del termine ex art. 331 cod. proc. civ., per l’integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti” (Cass., n. 2723 del 2010; Cass., S.U., n. 6826 del 2010).

Con il primo motivo, il ricorrente, in proprio e nella qualità, deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 689 del 1981, artt. 14 e 18; della L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 8).

Il ricorrente sostiene che il Giudice di pace avrebbe errato nel ritenere legittimo l’operato della P.A., in quanto dalla documentazione in atti emergeva che nè egli nè il Consorzio avevano mai avuto la possibilità di prendere visione dell’atto di accertamento, del quale non era neanche certa la data di notificazione; il che integrava la denunciata violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14. L’atto di accertamento, che il Giudice di pace ha ritenuto assistito di efficacia probatoria privilegiata, tanto da non ammettere le richieste istruttorie formulate in sede di opposizione, peraltro, non era stato visionato neanche dallo stesso Giudice di pace, atteso che l’Amministrazione non aveva dato seguito all’ordine di esibizione imposto dal Giudice il 3 giugno 2005.

Ed ancora, sostiene il ricorrente, il Giudice di pace avrebbe travisato il comportamento tenuto dagli opponenti, ritenendo che essi volontariamente non si fossero avvalsi della facoltà di presentare scritti difensivi e di chiedere di essere sentiti, in quanto un simile avviso non era contenuto nel verbale di contestazione, nel quale le dette indicazioni potevano senz’altro riferirsi al momento successivo della adozione della ordinanza-ingiunzione.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

La sentenza impugnata ha dato atto che il verbale di contestazione di entrambe le infrazioni è stato ritualmente notificato al P. e al Consorzio Agricoltori Pugliesi. Siffatta affermazione, che si fonda sull’esame diretto, da parte del Giudice, degli atti in considerazione e delle relative relate di notifica, ove non rispondente alla realtà come documentata negli atti di causa, avrebbe dovuto essere denunciata come errore revocatorio ex art. 395 c.p.c., il che nella specie non è stato fatto dal ricorrente, mentre in questa sede è, per tale aspetto, inammissibile la censura relativa.

Inammissibili, inoltre, perchè dedotte in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, sono le censure che involgono la individuazione della data in cui le violazioni sono state accertate, atteso che il ricorrente ha omesso di trascrivere il testo dei verbali notificati, il che non consente a questa Corte – non essendo stato denunciato un vizio processuale – il controllo della pertinenza e della rilevanza della censura dedotta sulla base della lettura del solo ricorso.

Il ricorrente si duole inoltre del fatto di non aver potuto prendere visione del verbale di accertamento. Peraltro, una simile pretesa non trova fondamento nelle disposizioni della cui violazione esso si duole, atteso che è la contestazione della violazione che deve essere notificata e deve contenere, secondo quanto disposto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, gli estremi della violazione accertata. Nel sistema della L. n. 689 del 1981, invero, il momento dell’accertamento e quello della contestazione non necessariamente coincidono. Nel caso in cui ciò non avvenga, l’amministrazione è tenuta a notificare la contestazione all’interessato, e tale contestazione deve contenere gli estremi della violazione. Per effetto della L. n. 241 del 1990, poi, il verbale notificato deve contenere le indicazioni relative alla facoltà difensive del destinatario. E tale onere di informazione risulta nella specie osservato, atteso che lo stesso ricorrente riferisce in ricorso che nei verbali notificati era contenuta la seguente formulazione: “…

l’ordinanza-ingiunzione per il versamento della sanzione amministrativa pecuniaria sarà emessa dall’Ispettorato Centrale Repressione Frodi – Ufficio di Bari, al quale l’interessato – entro 30 giorni dalla notifica – ha facoltà di inviare scritti difensivi o chiedere di essere sentito in merito al contesto”.

L’assunto del ricorrente, secondo cui le indicate facoltà avrebbero dovuto essere esercitate a seguito della notificazione dell’ordinanza- ingiunzione e non anche nei trenta giorni successivi alla notificazione del verbale di contestazione, appare del tutto insostenibile sia dal punto di vista logico che da quello della formulazione letterale del verbale di contestazione, sicchè deve escludersi, per questo profilo, la fondatezza del motivo di ricorso in esame.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto, violazione del diritto di difesa, errata applicazione dell’art. 2700 cod. civ., e censura la sentenza impugnata per avere attribuito efficacia probatoria privilegiata al verbale di accertamento, oggetto della contestazione, e per avere, conseguentemente, rigettato le richieste istruttorie formulate con gli atti di opposizione.

Il motivo è infondato, nella parte in cui critica il fatto che la sentenza impugnata abbia attribuito efficacia probatoria privilegiata all’accertamento effettuato dai verbalizzanti. Trova infatti applicazione il principio affermato dalle sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “nel giudizio di opposizione ad ordinanza- ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti” (Cass., S.U., n. 17355 del 2009).

Il motivo è invece inammissibile nella parte in cui censura la sentenza impugnata per la mancata ammissione della prova testimoniale che avrebbe dovuto contrastare quanto accertato dai verbalizzanti, in quanto il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, e a prescindere dai limiti all’ammissibilità della prova testimoniale rispetto all’accertamento eseguito dal pubblico ufficiale, non ha riprodotto nel ricorso i capitoli della prova testimoniale della cui mancata ammissione si duole.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 12.

Il ricorrente sostiene che il Giudice di pace si sarebbe limitato a valutare non la fondatezza, ma solo la legittimità dell’operato della P.A., mentre, nel caso di specie, non vi erano affatto prove della sussistenza degli illeciti contestati. Mancava, infatti, in atti,il verbale di accertamento e per il resto il Giudice di pace ha attributo efficacia probatoria privilegiata alle risultanza degli accertamenti dei verbalizzanti, pur se detti accertamenti consistevano non nella diretta percezione di un accadimento, ma in mere valutazioni su una realtà dinamica. Del tutto carente sarebbe stata poi la valutazione del Giudice di pace in ordine alla determinazione dei quantitativi di merce sulla base dei quali è stata calcolata la sanzione.

Il motivo è infondato, nella parte in cui ripropone la questione della efficacia probatoria degli accertamenti effettuati dai pubblici ufficiali, valendo in proposito le argomentazioni svolte in sede di esame del motivo precedente.

E’ invece inammissibile nella parte in cui censura la sentenza impugnata sostenendo che il Giudice di pace avrebbe omesso di valutare la fondatezza delle contestazioni e la sussistenza degli illeciti contestati.

La sentenza impugnata, dopo avere ribadito le ragioni per le quali non era stata ammessa la prova testimoniale richiesta dagli opponenti, afferma che questi ultimi avevano mosso le loro censure relativamente all’aspetto formale e non già al merito della contestazione.

Una simile affermazione del Giudice di pace non risulta puntualmente censurata dal ricorrente, il quale si limita a svolgere censure che implicano accertamenti di fatto che non viene dedotto siano stati sollecitati al giudice di pace con il ricorso in opposizione e dal giudice non effettuati.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non avendo l’intimata amministrazione svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2011

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