Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9455 del 30/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9455 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 25304-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
contro

210

FRANCESCO

GUGLIELMO

C.F.

GGLFNC78M14E715K,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 113,
presso lo studio dell’avvocato LOLLINI SUSANNA, che

Data pubblicazione: 30/04/2014

-,

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
FREZZA GIORGIO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1114/2007 della CORTE
D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 23/10/2007 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/01/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI
ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

1393/2005;

Udienza del 16 gennaio 2014— Aula B
n.32 del ruolo — RG n.25304 /08
Presidente: Lamorgese – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il 23 ottobre 2007) accoglie l’appello di
Francesco Guglielmo avverso la sentenza del Tribunale di Lucca del 16 giugno 2005 e per l’effetto
dichiara la nullità dell’apposizione del termine al contratto stipulato dal lavoratore con Poste
Italiane s.p.a. per il periodo 7 ottobre 1999-28 febbraio 2000, per “esigenze eccezionali conseguenti
alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della
graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, con le
consequenziali pronunce.
La Corte d’appello – inquadrato il contratto nell’ambito del sistema di cui alla L. n. 56 del
1987, art. 23, che aveva delegato le OOSS a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con
la contrattazione collettiva – è giunta alla suddetta conclusione sul rilievo che la normativa collettiva
consentiva l’assunzione a termine per la causale dedotta nel secondo contratto solo fino al 30 aprile
1998.
3.- Avverso questa sentenza la società Poste Italiane propone ricorso per cassazione con
quattro motivi, resiste, con controricorso, il lavoratore.
La ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ., nella quale chiede
l’applicabilità dello jus superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32,
commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va precisato che il presente ricorso è assoggettato ratione temporis alle
prescrizioni di cui all’art. art. 366-bis cod. proc. civ.

I

Sintesi dei motivi di ricorso

1.- Il ricorso è articolato in quattro motivi nei quali la società ricorrente:
1) contesta l’assunto del giudice di merito secondo cui la contrattazione collettiva adottata da
Poste Italiane e dalle organizzazioni sindacali in attuazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 avrebbe
legittimato la stipulazione di contratti a termine solo fino al 30 aprile 1998 e che, comunque le parti
negoziali avessero voluto effettivamente vincolare la loro capacità negoziale solo fino a questa data,
sostenendo che la contrattazione collettiva non si sia esaurita con l’accordo 25 settembre 1997
integrativo dell’art. 8 del CCNL 1998, ma si sia protratta anche successivamente in un continuum
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

2) sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione concernente
l’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso in relazione al tempo trascorso tra
la scadenza del contratto a termine dedotto in giudizio e la manifestazione della volontà della
lavoratrice di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto, senza adeguatamente specificare le
ragioni della statuizione adottata. Ed invero il rapporto di lavoro a tempo determinato, connotato da
illegittimità del termine, può, al pari di tutti i contratti, risolversi per mutuo consenso, anche in forza
di fatti e comportamenti concludenti; nel caso di specie la prolungata inerzia della lavoratrice, a
fronte della unicità del rapporto contrattuale intercorso, alla breve durata del medesimo ed alle
ulteriori circostanze delle quali la società datoriale ha, sin dal primo grado del giudizio, sollecitato
l’accertamento, hanno rilievo determinante al fine di far ritenere tali comportamenti come
espressione di un definitivo disinteresse a far valere la presunta nullità parziale del contratto e,
quindi, come tacito consenso alla definitiva risoluzione del rapporto (secondo motivo);
4) contesta l’affermazione della Corte territoriale relativa al riconoscimento del diritto del
lavoratore a tutte le retribuzioni con decorrenza dalla messa in mora, effettuata senza chiedere
all’interessato di allegare e provare il danno derivante dallo “scioglimento del rapporto fondato su
clausola risolutiva contrattuale nulla” (terzo motivo);
5) contesta la statuizione della Corte d’appello di rigetto della censura della società
riguardante l’aliunde perceptum perché priva di indicazioni concrete utili per l’eventuale
determinazione del relativo ammontare (quarto motivo).

Esame delle censure

2.- Il primo e il terzo motivo — da esaminare insieme — non sono fondati.
2.1.- Deve essere ricordato che in base ad un consolidato orientamento di questa Corte – cui il
Collegio intende dare continuità – per i contratti successivi al 30 giugno 1997 (cioè al periodo di
applicazione del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9 convertito dalla L. 28 novembre 1996, n. 608) e
anteriori al CCNL del 11 gennaio 2001 (nonché al nuovo regime previsto dal D.Lgs. n. 368 del
2001) vanno applicati i principi più volte affermati da questa Corte in materia, in base ai quali, sulla
scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione
collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine
rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare
l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i
lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e
prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed
esigenze aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in concreto affidate e
le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a termine” (vedi, fra le altre: Cass. 27
luglio 2010, n. 17550; Cass. 8 luglio-2009, n. 15981; Cass. 4 agosto 2008, n. 21063, nonché Cass.
20 aprile 2006, n. 9245; Cass. 7 marzo 2005, n. 4862; Cass. 26 luglio 2004, n. 14011).
2

negoziale che avrebbe legittimato anche le assunzioni per esigenze eccezionali successive al 30
aprile 1998 (primo motivo);

2.2..- Pertanto correttamente — e con congrua e logica motivazione — la Corte d’appello ha
dichiarato la nullità del termine apposto per esigenze eccezionali ecc. al contratto in oggetto,
stipulato in data 28 febbraio 2000 (in quanto intervenuto dopo il 30 aprile 1998), riconoscendo al
lavoratore il diritto a tutte le retribuzioni con decorrenza dalla messa in mora, essendo questo il
momento in cui la Corte fiorentina ha considerato manifestata univocamente la volontà della
offerta della prestazione lavorativa, conformemente a quanto affermato dalla giurisprudenza di
legittimità.
3.- Anche il secondo motivo non è fondato.
3.1.- In base al principio più volte dettato da questa Corte – anche con riguardo a controversie
analoghe alla presente – che il Collegio intende qui riaffermare: “nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul
presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché
possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché
del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali ulteriori circostanze significative – una chiara e
certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto
compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto” (vedi, per tutte: Cass. 10 gennaio 2011, n. 330; Cass. 10
3

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con
accordi integrativi del contratto collettivo), la relativa inosservanza determina la nullità della
clausola di apposizione del termine (vedi, per tutte: Cass. 23 agosto 2006, n. 18383; Cass. 14 aprile
2005, n. 7745; Cass. 14 febbraio 2004, n. 2866), per cui, come ripetutamente affermato da questa
Corte, deve ritenersi che “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il
successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali
in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998, sicché deve escludersi la legittimità delle
assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (vedi, fra le altre: Cass. 1 ottobre
2007, n. 20608; Cass. 27 marzo 2008, n. 7979; Cass. 27 luglio 2010, n. 17550 cit.). Peraltro, tale
limite temporale (del 30 aprile 1998) non riguarda i contratti stipulati ex art. 8 CCNL 1994 per
“necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie” (per i quali vedi, fra le
altre: Cass. 2 marzo 2007, n. 4933; Cass. 7 marzo 2008, n. 6204; Cass. 28 marzo 2008, n. 8122),
mentre, per quanto riguarda la proroga di trenta giorni prevista dall’accordo 27 aprile 1998, per i
contratti in scadenza al 30 aprile 1998, la giurisprudenza costante di questa Corte ne ha affermato la
legittimità, sulla base della sussistenza, riconosciuta in sede collettiva, delle esigenze contingenti ed
imprevedibili, connesse con i ritardi che hanno inciso negativamente sul programma di
ristrutturazione (vedi, fra le altre: Cass. 24 settembre 2007, n. 19696).

novembre 2008, n. 26935; Cass. 28 settembre 2007, n. 20390; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23554;
Cass. 11 dicembre 2001, n. 15621).

Orbene, sul punto la Corte d’appello ha escluso che il periodo di tempo che il lavoratore ha
lasciato trascorrere prima di chiedere la riammissione in servizio possa essere, di per sé,
interpretato, in difetto di dati obiettivi – che la datrice di lavoro, che ne era onerata, non ha nella
specie dedotto e provato – come accettazione della estromissione dal lavoro.
La suddetta motivazione, conforme ai principi sopra richiamati, è immune da censure anche
con riferimento alla ipotizzata violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2.
4.- Il quarto motivo – attinente, come si è detto, alla detraibilità dell’aliunde perceptum dal
danno da risarcire in conseguenza dell’accertata nullità del termine e della conversione del contratto
a tempo indeterminato – si conclude con la formulazione del seguente quesito ex art. 366-bis cod.
proc. civ. (applicabile nella specie, ratione temporis): “dica la Corte se, nel caso di oggettiva
difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a
supporto delle proprie domande ed eccezioni – e segnatamente per la prova dell’aliunde perceptum il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario,
ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della
certezza processuale e rigettandole (con apposita motivazione) solo quando gli elementi
somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto”. In
applicazione del principio secondo cui il quesito di diritto deve essere formulato in maniera
specifica e deve essere pertinente rispetto alla fattispecie cui la censura si riferisce la censura (vedi,
per tutte: Cass. SU 5 gennaio 2007, n. 36; Cass. SU 5 febbraio 2008, n. 2658) è evidente che il
quesito come sopra formulato dalla società appare del tutto astratto, senza alcun riferimento
all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato, per cui deve
ritenersi inesistente e quindi si valuta inammissibile il relativo motivo, ai sensi dell’art. 366-bis cod.
proc. civ., secondo quanto già affermato in analoghe controversie (vedi, per tutte: Cass. 16
dicembre 2011, n. 27210).
5.- All’inammissibilità delle censure riguardanti le conseguenze economiche della nullità del
termine, consegue l’ininfluenza per il presente giudizio dello jus superveniens, rappresentato dalla
L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, (sul quale vedi: Corte cost. n. 303 del 2011).
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo jus superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia
in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della
natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (vedi,
4

Peraltro, come pure è stato precisato: “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione
per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e
certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (vedi: Cass. 10
gennaio 2011, n. 330 cit.; Cass. 2 dicembre 2002, n. 17070).

per tutte: Cass. 28 giugno 2012, n. 10899; Cass. 31 gennaio 2012, n. 1411; Cass. 8 maggio 2006, n.
10547; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente,
il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile
secondo la disciplina sua propria (vedi, fra le tante: Cass. 28 giugno 2012,n. 10899; Cass. 31
gennaio 2012, n. 1411; Cass. 4 gennaio 2011 n. 80 cit.).
Orbene, per quel che si è detto, tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Conclusioni

6- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 3500,00
(tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 16 gennaio 2014.

III

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