Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9454 del 30/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9454 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 7503-2012 proposto da:
PLURIGAS S.P.A.
legale

C.F.

13286020154,

in persona del

rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata, in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso lo
studio

dell’avvocato

MAGRINI

SERGIO,

che

la

o

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CANTONE
4

2013
3777

LORENZO, DAMOLI CLAUDIO, DELL’OMARINO ANDREA, GILDA
PISA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE

DELLA PREVIDENZA

Data pubblicazione: 30/04/2014

SOCIALE,

C.F.

80078750587,

in

persona

del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F.
05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati
SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, D’ALOISIO CARLA,
giusta delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

EQUITALIA ESATRI S.P.A. C.F. 09816500152;
– intimata –

avverso la sentenza n. 664/2011 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 15/11/2011 R.G.N. 1170/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/12/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato DAMOLI CLAUDIO;
udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

Svolgimento del processo

..

La Plurigas s.p.a impugnò, innanzi alla Corte d’appello di Milano, la sentenza con
..

la quale il giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo le aveva
respinto l’opposizione alla cartella esattoriale notificatale per crediti avanzati

involontaria.
Con sentenza del 16/6 — 15/11/2011 la Corte d’appello di Milano ha respinto
l’impugnazione ed ha confermato la sentenza n. 782/2009 del Tribunale di Milano.
La Corte territoriale ha spiegato che la società opponente non rientrava nella
categoria delle imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate e
dello Stato, che sono espressamente escluse dall’obbligo di contribuzione per
G.I.G e C.I.G.0 ex art. 3 d.lgs C.P.S. n. 869/1947. Ha, inoltre, aggiunto che
l’appellante era una società privata e che, in mancanza di un provvedimento
ministeriale attestante l’esistenza di condizioni di stabilità di impiego al suo interno,
non poteva vantare l’esclusione dalla contribuzione per disoccupazione
involontaria e per la mobilità. In ogni caso, anche a volerla ritenere un’azienda
esercente un pubblico servizio, doveva escludersi che nella fattispecie
ricorressero le condizioni di stabilità d’impiego presso la società appellante.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Plurigas s.p.a, che affida
l’impugnazione a sette motivi.
Resiste con controricorso l’Inps, in proprio e quale procuratore speciale della
società di cartolarizzazione dei crediti Inps (S.C.C.I) S.p.A. La società Equitalia
_

Esatri s.p.a rimane solo intimata.
La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo la Plurigas s.p.a denunzia, con riferimento alla individuazione
della figura del soggetto esercente un pubblico servizio, la violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l’omessa o insufficiente

1

dall’Inps in relazione a contributi per C.I.G.O., per mobilità e per disoccupazione

motivazione sul punto essenziale della controversia riguardante l’affermazione che
la natura strumentale svolta da essa ricorrente rispetto a quella generale del
pubblico servizio non vale a qualificarla come impresa esercente un servizio
pubblico.

sentenza, che la sua attività principale di pubblico servizio concernente la
distribuzione del gas naturale non poteva che farla divenire partecipe dei caratteri
“pubblicistici” rilevanti ai fini della esclusione dalla contribuzione di cui trattasi.
A conclusione del motivo si pone, pertanto, il quesito di diritto teso ad accertare se
la natura di soggetto esercente attività di pubblico servizio possa essere
riconosciuta indipendentemente dall’esistenza di una partecipazione pubblica
totalitaria e, dunque, anche in presenza di partecipazione minoritaria ed anche
laddove l’attività stessa possa ritenersi strumentale all’attività principale di
esercizio di servizi pubblici.
2. Col secondo motivo, dedotto per erronea ed insufficiente motivazione su un
punto essenziale della controversia, rappresentato dalla esclusione del requisito
della stabilità di impiego presso la Plurigas s.p.a, nonché per violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è contestata la decisione impugnata nella
parte in cui non è stato ritenuto sussistente nella fattispecie il predetto requisito,
facendosi rilevare che la società era sorta nel quadro di un riassetto voluto dal
legislatore al fine di pervenire alla liberalizzazione del mercato dell’energia
elettrica (d.lgs 16.3.1999, n.79) e di quello del gas naturale (d.lgs 23.5.2000, n.
164). Al riguardo la ricorrente fa osservare che ciascuna delle società derivate
dallo scorporo delle attività nel campo energetico aveva ereditato un ramo
d’azienda e che, pertanto, i giudici d’appello avrebbero dovuto prestare attenzione
al decreto del 1° agosto 2006, n. 39135 del Ministero del lavoro e della previdenza
sociale che prevedeva i casi di esonero dall’obbligo dell’assicurazione contro la

2

./)

In pratica, la ricorrente sostiene, contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata

disoccupazione involontaria a favore dei lavoratori dipendenti dall’Enel e dalle
società che ne erano derivate.
3. Col terzo motivo la Plurigas s.p.a si duole della violazione e falsa applicazione
degli artt. 51, comma 1, e 21 del CCNL gas — acqua del 17/11/1995, confermato

c.p.c., nonché dell’omessa ed insufficiente motivazione su un punto essenziale
della controversia.
In concreto, la ricorrente chiede di accertare se le disposizioni di cui agli artt. 51,
comma 1, e 21 del CCNL gas — acqua del 17.11.1995 ed alle norme del Protocollo
Federgasacqua del 2003 dovevano essere interpretate nel rispetto dei corretti
canoni ermeneutici come idonee ad introdurre condizioni più restrittive di recesso
rispetto all’ordinaria disciplina legale, facendo sì che potesse dirsi sussistere, per i
soggetti ai quali dette norme si applicavano, il requisito della stabilità di impiego,
con conseguente esonero per il datore di lavoro dalla contribuzione per
disoccupazione involontaria.
Quanto alla contribuzione per cassa integrazione guadagni ordinaria il problema,
secondo la ricorrente, è quello di stabilire se la Plurigas, società della quale i
Comuni di Brescia, Milano e Genova, per il tramite delle ex municipalizzate ASM,
AMGA e AEM (da essi partecipate rispettivamente a maggioranza assoluta e
relativa) detenevano il 100% del capitale, che curava l’importazione,
l’esportazione, l’acquisto e la vendita di gas naturale, combustibili o altri vettori
energetici per l’approvvigionamento delle società (ASM ed AEM confluite nel
Gruppo A2A) che erogavano tutti i servizi pubblici comunali, fosse impresa
pubblica, come tale esonerata, ai sensi dell’art. 3, comma 1, d.lgs C.p.S.12.8.1947
n. 869, dal versamento dei contributi per Cig e Cigs.
4. Col quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione
dell’art. 3, comma 1, d.lgs c.p.s 12/8/1947 n. 869, ratificato con I. 21.5.1951 n. 498
e dell’art. 2, comma 28, della legge 23/12/1996 n. 662, oltre che del decreto del

nel CCNL 1.3.2002 con Allegato 5 e nel CCNL 9.3.2007, degli artt. 115 e 116

Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale del 27/11/1997 n. 477 e formula il
quesito di diritto teso ad accertare se la previsione di cui al predetto art. 2 della
legge n. 662/96 di uno speciale sistema di ammortizzatori sociali diverso dalla Cig
e dalla Cigs valevole per le società a maggioranza pubblica, costituite per erogare

della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria di cui al
summenzionato art. 3, comma 1, del d.lgs C.p.S. n. 869/47, ivi compreso il
meccanismo del relativo finanziamento.
5. Col quinto motivo la Plurigas s.p.a denunzia la violazione e falsa applicazione
delle seguenti norme di legge: art. 3, comma 1, d.lgs C.p.s. 12 agosto 1997 n.
869, ratificato con I. 21/5/1951 n. 498; art. 1, lett. c., direttiva Ce 18 giugno 1992 n.
50; art. 2, comma 1, lett. b., co. 2 ed all. 7 d.lgs 17 marzo 1995 n. 157; direttiva Ce
14 giugno 1993 n. 38, art. 2, co. 2; art. 3, art. 5, d.lgs. 17 marzo 1995 n. 158; art. 2
direttiva Ce 26 luglio 2000 n. 52; art. 2, co. 1lett. b., d.lgs 11 novembre 2003 n.
333; art. 2093 c.c.; art. 22 I. 8 giugno 1990 n. 142; I. 23 dicembre 1992 n. 498;
d.p.r. 16 settembre 1996 n. 533; art. 1, co. 2, d.lgs 30 marzo 2001 n. 165; art. 29 I.
28 dicembre 2001 n. 448; art. 113 d.lgs 18 agosto 2000 n. 267, come modificato
dall’art. 14 d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazioni in I. 24
novembre 2003 n. 326; art. 1 I. 15 dicembre 2004 n. 308; art. 2, co. 28, I. 23
dicembre 1996 n. 662; Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale
27 novembre 1997 n. 477.
Lamenta la società, sempre con riferimento alle aliquote CIG, che la Corte
d’appello avrebbe omesso di considerare la normativa comunitaria che, in materia
di imprese erogatrici di servizi pubblici, qualifica espressamente come pubbliche
tali imprese.
A conclusione del motivo la ricorrente società formula il quesito di diritto teso ad
accertare se l’art. 3, comma 1, del d.lgs C.p.s. 12 agosto 1947 n. 869, ratificato
con legge 21 maggio 1951 n. 498 — anche alla luce della vigente normativa, non

servizi pubblici, comporti che alle stesse non sia applicabile il sistema ordinario

solo di origine comunitaria, ma anche nazionale, relativa all’impresa pubblica —
debba essere interpretato nel senso che comprenda anche le società di capitali,
costituite per l’erogazione di servizi pubblici ed il cui capitale sia solo in
maggioranza di proprietà dell’ente pubblico locale.

vizio di violazione di norme di legge e quello di motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, dolendosi del mancato esame della
domanda subordinata tesa ad accertare l’erroneità del calcolo dell’aliquota
richiesta dall’Inps nella misura del 2,20% con riferimento al contributo per C.I.G.
del mese di dicembre del 2006, mentre quella prevista dalla legge era stabilita
nella misura dell’1,90% per le società, come la Plurigas, che occupavano meno di
venti dipendenti.
7. Col settimo motivo la ricorrente censura l’impugnata sentenza per violazione e
falsa applicazione dell’art. 116, comma 15, lett. a, della legge 23 dicembre 2000,
n. 388, e degli artt. 442 e 444 c.p.c., nonché per omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Si chiede, in sostanza, di accertare se rientra nella competenza del giudice del
lavoro la domanda di accertamento preventivo della sussistenza delle condizioni
previste dall’art. 116, comma 15, lett. a, I. 23.12.2000 n. 388 per l’ottenimento
della riduzione delle sanzioni prevista dalla citata norma e se tali riduzioni spettano
in presenza, come nella fattispecie, di una prassi amministrativa confermata solo
dopo conforme parere del Consiglio di Stato ed in presenza di riconoscimento
della insussistenza dell’obbligo per periodi pregressi.
Ciò, in quanto nei giudizi di merito si era sostenuto in subordine che le oggettive
incertezze derivanti da contrastanti orientamenti amministrativi e giurisprudenziali
potevano consentire la riduzione delle sanzioni civili di cui al citato art. 16 I. n.
388/2000.

5

Ìtv>

6. Col sesto motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, il

Osserva la Corte che per ragioni di connessione possono essere trattati
congiuntamente il primo, il quarto ed il quinto motivo.
Tali motivi sono infondati.
Invero, già le Sezioni unite di questa Corte (Sez. Un, n. 7799 del 15/4/2005)

la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il Comune ne possegga, in
tutto o in parte, le azioni, atteso che il rapporto tra società ed ente locale è di
assoluta autonomia, al Comune non essendo consentito incidere unilateralmente
sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni
mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli
strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di
nomina comunale presenti negli organi della società.
Di recente questa stessa Corte (Sez. L, n. 20818 dell’i 1/9/2013) ha avuto modo di
statuire che “in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed
in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto
l’esercizio di attività industriali (nella specie, una società per la gestione e la
fornitura di servizi agli enti locali in materia di fornitura di acqua, gas ed elettricità)
sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa
integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione
stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura
essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di
concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo
esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in
mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dellci schema
societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte
dell’ente pubblico.” (conf. a Cass. Sez. lav. n. 5816 del 10/3/2010 e a Cass. Sez.
lav. n. 14847 del 24/6/2009)

6
/AY

avevano affermato che la società per azioni con partecipazione pubblica non muta

In particolare, con la sentenza n. 14847/2009 di questa Corte si è spiegato che il
D.Lgs. n. 869 del 1947, art. 3, comma 1, come sostituito dalla L. n. 270 del 1988,
art. 4, comma 1, prevede, per quanto qui specificamente rileva che “Sono escluse
dall’applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai

e dello Stato”. La locuzione “imprese industriali degli enti pubblici”, secondo
l’assunto della ricorrente, non farebbe riferimento tanto alla proprietà o alla
titolarità dell’impresa, quanto invece a “un potere di controllo totale ed effettivo
dell’impresa”. Siffatta interpretazione non trova, com’è evidente, alcun riferimento
testuale nella norma testè esaminata, laddove, piuttosto, l’equiparazione (soltanto)
delle imprese “municipalizzate” (che enti pubblici non sono) a quelle “degli enti
pubblici” sta ad indicare che il legislatore ha invece fatto riferimento alla natura
pubblica dell’impresa industriale (siccome) svolta dall’ente pubblico.
Nel caso che ne occupa trova poi applicazione, “ratione temporis”, il disposto della
L. n. 142 del 1990, art. 22, comma 3, secondo cui: “I comuni e le province
possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme: a) in economia, quando
per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno
costituire una istituzione o una azienda; b) in concessione a terzi, quando
sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale; c) a mezzo di
azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed
imprenditoriale; d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi sociali senza
rilevanza imprenditoriale; e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale
pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da
.,
erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privatt . La lett. e) venne poi
così modificata dalla L. n. 127 del 1997, art. 17, comma 58: “a mezzo di società
per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite
o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in
relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio la partecipazione di più

7

Av)

dell’industria: …le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate,

soggetti pubblici o privati”. Tale disciplina venne quindi sostanzialmente trasfusa,
con alcune modifiche, nel D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 112 e 113, per essere poi
ridisegnata dalla legislazione successivamente intervenuta in materia.
In linea con la propugnata interpretazione del ricordato D.Lgs. n. 869 del 1947, art.

influenza dominante sugli assetti organizzativi e sulle finalità societarie da parte
del (necessariamente) maggioritario capitale pubblico locale. L’assunto non può
tuttavia essere condiviso, posto che, proprio in conformità del disposto del D.Lgs.
n. 869 del 1947, art. 3, comma 1, secondo la suesposta interpretazione del
medesimo, la mera esperibilità del controllo sulla società a capitale misto da parte
del capitale pubblico locale non determina la riconducibilità dell’impresa industriale
gestita da tale società nel novero di quelle escluse dall’applicazione delle norme
sulla integrazione dei guadagni degli operai dell’industria.
Risulta significativa al riguardo la disposizione di cui alla L. n. 142 del 1990, art.
23, che riconosce all’azienda speciale (di cui all’art. 22, comma 3, lett. c)) natura di
“ente strumentale dell’ente locale” e alla istituzione (di cui all’art. 22, comma 3, lett.
d)) natura di “organismo strumentale dell’ente locale”, nulla al contrario
prevedendo con riferimento alla società per azioni a prevalente capitale pubblico
locale (di cui all’art. 22, comma 3, lett. e); dal che discende che la gestione dei
servizi pubblici da parte degli enti pubblici territoriali non è di per sè determinativa
della natura pubblica dell’organismo attraverso il quale tale gestione viene attuata.
Per conseguenza, anche nella fattispecie all’esame, la natura pubblica (o meno)
dell’impresa il cui schema societario sia (come nel caso che ne occupa) quello
proprio di una persona giuridica privata (nella specie, cioè, una società per azioni),
deve essere desunta dall’esistenza o meno del carattere strumentale dell’ente
societario rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche ovvero dall’esistenza
o meno di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema
societario (cfr, Cass., n. 10155/2004). Nella specie il carattere strumentale

8

3, comma 1, la ricorrente ritiene pertanto la rilevanza, ai fini de quibus, della

dell’ente societario rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche deve ritenersi
implicitamente escluso dalla già ricordata previsione della L. n. 142 del 1990, art.
23, mentre l’eventuale sussistenza di una disciplina derogatoria rispetto a quella
propria dello schema societario non è stata neppure oggetto di specifica

Corte ha avuto modo di precisare che la partecipazione maggioritaria di capitale
pubblico, così come l’eventuale erogazione di contributi pubblici, non costituiscono
elementi decisivi per decidere della natura pubblica di una compagine costituita
secondo il comune modello di una società per azioni (cfr. Cass., SU, n. 107/99;
Cass., n. 10155/2004, cit.).
Il secondo ed il terzo motivo possono esaminarsi congiuntamente in quanto è ad
essi sottesa la stessa questione della sussistenza del requisito della stabilità di
impiego ai fini della esclusione dalla contribuzione sulla disoccupazione
involontaria.
Va, subito premesso, per quel che concerne il terzo motivo che lo stesso è
improcedibile, ai sensi dell’art. 369, comma 2°, n. 4 c.p.c., in quanto la ricorrente
non ha prodotto i contratti collettivi la cui interpretazione è stata posta a
fondamento delle relative censure.
Si è, infatti, affermato (Cass. sez. 5, sentenza n. 303 del 12/1/2010) che “l’art. 369,
quarto comma, cod. proc. civ. nel prescrivere che unitamente
al ricorso per cassazione debbano essere depositati a pena d’improcedibilità “gli
atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si
fonda”, non distingue tra i vari tipi di censura proposta: ne consegue che, anche in
caso di denuncia di “error in procedendo”, gli atti processuali devono essere
specificamente e nominativamente depositati unitamente al ricorso e nello
stesso.”
In merito al secondo motivo si osserva che le generiche doglianze in esso
formulate non superano la decisione della Corte territoriale in ordine alla ravvisata

allegazione da parte della ricorrente. Per contro già la giurisprudenza di questa

insussistenza, nella fattispecie, del requisito della stabilità d’impiego all’interno
della società di cui all’art. 40 n. 2 del R.D.L. n. 1827 del 1935, decisione,
quest’ultima, che è basata su motivazione adeguata ed immune da vizi logici e
giuridici, come tale immune ai rilievi di legittimità.

predetto requisito dalla constatata mancanza di un provvedimento ministeriale
attestante l’accertamento delle condizioni di stabilità d’impiego presso la società
ricorrente, nonché dalla disamina delle norme del contratto collettivo nazionale di
riferimento, traendone la conclusione che le stesse non erano più rigorose della
ordinaria disciplina limitativa dei licenziamenti.
In definitiva il secondo motivo è infondato.
Il sesto motivo è, invece, inammissibile, in quanto, a fronte della lamentata
omissione di pronunzia dei giudici d’appello sulla domanda subordinata avente ad
oggetto l’esatta determinazione dell’aliquota contributiva, la ricorrente non formula
la censura nei termini propri del vizio di omessa pronunzia di cui al combinato
disposto degli artt. 112 e 360 n. 4 c.p.c., bensì in quelli non pertinenti della
mancanza di motivazione. La censura in esame integra, infatti, una violazione
dell’art. 112 c.p.c. e quindi una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato, che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 n.
4 c.p.c. (nullità della sentenza e del procedimento) e non come violazione o falsa
applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., ed a maggior
ragione come vizio motivazionale a norma dell’art. 360 n. 5, c.p.c., cioè quello
denunziato nella fattispecie (attenendo quest’ultimo esclusivamente
all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della
controversia, Cass. 9.4.1990, n. 2940; Cass. 27.3.1993,n. 3665).
Infatti il vizio di omessa pronunzia, in quanto pretesamente incidente sulla
sentenza pronunziata dal giudice del gravame, è passibile di denunzia

10

4/5

Infatti, i giudici d’appello hanno ricavato il convincimento della insussistenza del

esclusivamente con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. (Cass.
S.U. 14.1.1992, n. 369; Cass. 25.9.1996, n. 8468).
Da ultimo, Il settimo motivo è infondato.
Invero, la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001) prevede all’art.

restando l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni
previdenziali e assistenziali, siano i consigli di amministrazione degli enti impositori
a fissare, sulla base di apposite direttive emanate dal Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, del bilancio e della
programmazione economica, i criteri e le modalità per la riduzione delle sanzioni
civili di cui al comma ottavo fino alla misura degli interessi legali. Nell’indicazione
dei casi in cui ciò è possibile la stessa norma contiene, alla lettera a), la previsione
delle ipotesi di mancato e ritardato pagamento di contributi o premi derivanti da
oggettive incertezze connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi
orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza
dell’obbligo contributivo successivamente riconosciuto in sede giurisdizionale o
amministrativa in relazione alla particolare rilevanza delle incertezze interpretative
che hanno dato luogo all’inadempienza.
Orbene, nella fattispecie non risulta superato, alla luce delle censure esposte, il
rilievo di fondo eseguito dalla Corte territoriale in merito alla rilevata insussistenza
dei presupposti per l’applicabilità del regime di riduzione delle sanzioni di cui al
citato art. 116 della legge n. 388/00, tanto più che la giurisprudenza di legittimità,
che aveva affermato l’assoggettamento delle società per azioni a prevalente
capitale pubblico alla contribuzione per la cassa integrazione, si era già formata (v.
Cass. Sez. lav. n. 14847 del 24/6/2009 che, a sua volta, richiama il precedente n.
10155 del 2004) prima della pronunzia oggetto della presente impugnazione.
In definitiva il ricorso va rigettato.

11

Ao

116 (misure per favorire l’emersione del lavoro irregolare), comma 15, che, fermo

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo.
Non va adottata alcuna statuizione nei confronti della società Equitalia Esatri s.p.a
rimasta solo intimata.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio
di legittimità in favore dell’Inps nella misura di € 2500,00 per compensi
professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Nulla nei confronti
della Equitalia Esatri s.p.a.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2013
Il Consigliere estensore

P.Q.M.

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