Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9454 del 28/04/2011

Cassazione civile sez. III, 28/04/2011, (ud. 24/03/2011, dep. 28/04/2011), n.9454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24753/2006 proposto da:

Z.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MARIA CRISTINA 8, presso lo studio dell’avvocato GOBBI

Goffredo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BENELLI ANGELO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, LARGO GENERALE GONZAGA DEL VODICE 2, presso lo studio

dell’avvocato PAZZAGLIA Alessandro, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato NICOLINI MASSIMO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1591/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Quarta Civile, emessa il 14/7/2004, depositata il 20/06/2005,

R.G.N. 3248/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/03/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato GOFFREDO GOBBI;

udito l’Avvocato ALESSANDRO PAZZAGLIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

1. L’azione per il riscatto del fondo acquistato da C. A., esperita (con atto notificato nel luglio 1992) da Z. A., quale coltivatore diretto proprietario di fondo confinante, veniva rigettata dal Tribunale di Lodi, per non avere l’attore fornito la prova dell’assenza di insediamenti stabili di coltivatori diretti sul fondo compravenduto.

2. L’impugnazione proposta dallo Z., che sosteneva aver smentito, con prova scritta contraria, l’esistenza di un contratto di affitto sul fondo, veniva rigettata per mancanza di prova in ordine alla mancata vendita (sentenza del 20 giugno 2005).

Queste le argomentazioni della Corte d’appello di Milano.

a) Secondo la giurisprudenza di legittimità, i requisiti previsti dalla legge perchè possa trovare accoglimento una domanda di riscatto agrario costituiscono condizioni dell’azione e devono essere accertati dal giudice d’ufficio. Consegue che non incorre in vizio di ultrapetizione, nè viola il giudicato interno, il giudice d’appello che rilevi d’ufficio la mancanza degli anzidetti presupposti di fatto nel caso in cui la questione non sia stata espressamente esaminata dal giudice di primo grado.

b) Nella specie, la C. (convenuta e appellata), sin dal primo grado aveva contestato la sussistenza di tutte le condizioni soggettive e oggettive per l’esercizio del diritto di riscatto? c) Lo Z. (attore e appellante) nell’elencare i propri requisiti in primo grado e in appello (anche in sede di memoria di replica alla comparsa conclusionale dove l’appellata aveva eccepito la mancanza di prova in ordine alla mancata vendita), ha ignorato la condizione della mancata vendita di altro fondo nel biennio antecedente.

d) L’appellante non ha neanche allegato di non aver venduto.

e) Tale condizione non è stata esaminata dal tribunale.

3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Z., con due motivi. Ha resistito con controricorso la C..

Entrambe le parti hanno presentato memorie.

4. Con il primo motivo si deduce la violazione dei principi in tema di impugnazione e di giudicato interno (artt. 324, 329 e 342 c.p.c.).

Si premette la tardività (comparsa conclusionale in primo grado) della contestazione, da parte della C., del requisito della mancata vendita di altri fondi rustici nel biennio precedente la compravendita del fondo oggetto di riscatto. Si sostiene che il giudice, rilevando d’ufficio la mancanza di tale presupposto del diritto di riscatto, ha violato il limite del giudizio ad esso rimesso, essendo l’oggetto di ciò che deve essere provato delimitato dalla condotta processuale delle parti, con la conseguenza che non occorre la prova di un requisito la cui presenza non era contestata tra le parti.

4.1. La Corte di merito ha applicato il principio consolidato, secondo cui, i requisiti previsti dalla legge perchè possa trovare accoglimento una domanda di riscatto agrario costituiscono condizioni dell’azione (o fatti costitutivi del diritto) e devono essere accertati dal giudice d’ufficio. Il giudice d’appello ha detto potere solo se la questione non sia stata espressamente esaminata dal giudice di primo grado; se esercita detto potere, non incorre nel vizio di ultrapetizione, nè viola il giudicato interno; nel caso in cui la questione sia stata esaminata in primo grado, è onere della parte soccombente proporre specifici motivi d’appello, onde evitare la formazione del giudicato (esemplificativamente, si v Cass. n. 3757 del 2007, in fattispecie di accoglimento della domanda; Cass. n. 4908 del 2003, in fattispecie di rigetto della domanda).

Ai fini della individuazione del thema probandum i suddetti principi si coniugano, nell’ambito di fattispecie cui sono applicabili (come nel nostro caso) le norme processuali precedenti la riforma introdotta con la L. n. 353 del 1990, con quello secondo cui, l’onere di fornire la prova dei requisiti prescritti per l’esercizio del diritto incombe al retraente, secondo il principio generale di cui all’art. 2697 c.c.; tale onere viene meno nell’ipotesi in cui l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto azionato debba ritenersi ammessa, espressamente o implicitamente, dal convenuto (attraverso un’impostazione delle sue difese incompatibile con la negazione o contestazione della stessa), e non anche in presenza di un mero ritardo nella contestazione, configurandosi quest’ultima, sul piano processuale, non come eccezione in senso proprio, ma come mera deduzione difensiva, rilevabile d’ufficio, rientrando entro i confini del thema decidendum (Cass. n. 5253 del 2006).

Il ricorrente evoca, a sostegno delle proprie ragioni, la decisione della Corte secondo cui “Sussiste il vizio di ultrapetizione qualora il giudice d’appello respinga la domanda dell’attore per una ragione rilevata d’ufficio e completamente estranea al dibattito svoltosi tra le parti in primo e in secondo grado, in quanto in tal caso la corte pronuncia oltre l’ambito del giudizio di appello, quale definito dalle domande ed eccezioni delle parti, violando i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello, desumibili dagli artt. 345 e 346 cod. proc. civ., che configurano detta impugnazione – con riferimento alla disciplina previgente dell’appello, applicabile al caso di specie – non come un iudicium novum ma come una revisio prioris istantiae” (Cass. n. 8501 del 2003).

Nel caso di cui ci si occupa manca del tutto il presupposto, della estraneità al dibattito processuale, assunto dalla decisione richiamata.

Infatti, la condizione della mancata vendita di altro fondo nel biennio antecedente era emersa in primo e secondo grado. Secondo la stessa ricostruzione del ricorrente, alla contestazione generica di tutti i requisiti, era seguita una contestazione specifica, in sede di comparsa conclusionale, con relative note di replica, in primo grado. In appello, nelle conclusioni riportate nella sentenza impugnata, l’appellata C. contesta la ricorrenza dei presupposti di legge, tutti, per il riscatto. Il giudice nella sentenza da atto che nella comparsa conclusionale l’appellata aveva specificamente affrontato il profilo e lo stesso ricorrente ammette di essersi difeso sul punto (si v. prospettazione del secondo motivo di ricorso).

Sulla base dei suddette ragioni il motivo deve essere rigettato.

4.2. Con il secondo motivo (art. 346, c.p.c., in riferimento all’art. 360, n. 3, e vizi motivazionali) si censura la sentenza: a) per non aver esaminato i motivi di appello proposti, concernenti il requisito dell’assenza di insediamenti sul fondo (oltre che la qualifica di coltivatore diretto e la regolarità dell’offerta del prezzo), neppure al fine di respingerli; b) per aver ritenuto assorbente il requisito della mancata vendita e, comunque, per non aver preso in esame i documenti notarili (prodotti in primo grado e richiamati anche nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica di appello) da cui sarebbe emersa la prova di fatti positivi contrari rispetto alla prova della mancata vendita nel biennio precedente.

Prescindendo dall’improprio richiamo, nella rubrica, dell’art. 346 c.p.c., in riferimento all’art. 360, n. 3, il motivo è, in parte, assorbito, in parte inammissibile.

Il profilo sub a) è assorbito, sulla base del rigetto del primo motivo, oltre che infondato se si considera che è sufficiente l’accertata mancanza di un requisito per rigettare la domanda di riscatto. Quello sub b), è inammissibile, per difetto di autosufficienza. Infatti, nel ricorso non sono riprodotti i documenti da cui il giudice avrebbe potuto trarre la prova del requisito della mancata vendita, nè è indicato dove gli stessi sarebbero stati rinvenibile – negli atti processuali, per consentire al giudice la verifica di essenzialità dell’omessa motivazione su tale profilo.

Questo è, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4 (Cass. n. 3686 del 2011).

5. Il ricorso va, quindi, rigettato; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna Z.A. al pagamento, in favore di C.A., delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.250,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2011

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