Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9450 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/05/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 22/05/2020), n.9450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12889/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.S., rappresentato e difeso, per procura speciale in atti,

dall’Avv. Escalar Gabriele, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 11;

– controricorrente e ricorrente incidentale-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 7/9/2012, depositata in data 23 gennaio 2013

e notificata il 14 marzo 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio

2020 dal consigliere Dott. Michele Cataldi.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti di B.S., atto di contestazione di illecito tributario e di irrogazione delle relative sanzioni, per il suo concorso nelle violazioni tributarie commesse dalla C.I.ME.S. s.r.l., nell’anno d’imposta 2005.

Assumeva l’Amministrazione che la SCF s.p.a. – tramite lo stesso B.S., che ne era legale rappresentante, ed il terzo Borella Alessandro – aveva proposto una complessa operazione finanziaria alla C.I.ME.S. s.r.l., al fine di consentire a quest’ultima di ottenere indebiti risparmi d’imposta, per il tramite di una società ubicata nella Repubblica ceca, con la quale la società italiana aveva concluso un mutuo azionario ed un connesso pegno su titoli, attraverso i quali sarebbero state simulate inesistenti scommesse sui risultati economici di società, a loro volta inesistenti o sconosciute, con sede in paradisi fiscali, allo scopo effettivo di ridurre illegittimamente la base imponibile Ires della medesima C.I.ME.S. s.r.l. dalla quale erano stati integralmente dedotti i costi sostenuti per le commissioni pagate alla società ceca ed erano stati esclusi, nella misura del 95%, ai sensi dell’art. 89 t.ui.r., i pretesi dividendi, in realtà meramente fittizi.

L’Ufficio, pertanto, ha recuperato a tassazione i maggiori imponibili della C.I.ME.S. s.r.l., che ha prestato adesione al relativo processo verbale di constatazione, definendo integralmente le maggiori imposte e le sanzioni contestate.

Tanto premesso, l’Ufficio ha contestato al predetto B.S. di avere, quale legale rappresentante della SCF s.p.a. ed in nome e per conto di quest’ultima, concorso, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ex art. 9, all’illecito tributario commesso dalla contribuente C.I.ME.S. s.r.l., promuovendo l’adesione di quest’ultima all’operazione de qua, fornendole gli strumenti negoziali necessari alla sua realizzazione e svolgendo un ruolo di collegamento tra tutti i soggetti coinvolti.

La SCF s.p.a. è stata, a sua volta, ritenuta dall’Ufficio responsabile in solido con il suo legale rappresentante, per la violazione commessa da quest’ultimo in concorso con la società contribuente, ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 11.

2. B.S. ha impugnato l’atto di contestazione dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Modena, che ha rigettato il ricorso.

3.Lo stesso B.S. ha quindi proposto appello avverso la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, con la sentenza n. 7/9/2012, depositata in data 23 gennaio 2013 e notificata il 14 marzo 2013, lo ha accolto.

4.Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per la cassazione, affidato a quattro motivi, l’Amministrazione.

5. B.S. si è costituito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a quattro motivi, e successivamente depositando memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente Agenzia denuncia la violazione e la falsa applicazione D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, convertito senza modifiche dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, per avere il giudice a quo ritenuto che la limitazione della responsabilità alla sola persona giuridica, prevista da tale disposizione, operi anche nell’ipotesi di concorso di persone nella violazione di norme tributarie, disciplinato dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 9.

Infatti, secondo l’ufficio ricorrente, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, laddove statuisce che ” Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”, escluderebbe l’applicabilità delle sanzioni, per il concorso negli illeciti tributari puniti con sanzioni amministrative, soltanto relativamente alle persone fisiche titolari di organi della stessa società contribuente, con personalità giuridica, che abbiano materialmente commesso la violazione dalla quale quest’ultima ha tratto vantaggio.

L’esclusione della punibilità, quindi, riguarderebbe soltanto le persone fisiche legate da rapporto organico alla persona giuridica contribuente cui è imputata la violazione sanzionata, come testimonierebbe l’incipit della disposizione, riferendosi alle “sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale”, dato testuale che, secondo l’Amministrazione ricorrente, anche, a prescindere dal successivo avverbio

“esclusivamente”, circoscriverebbe l’esenzione da responsabilità alle sole persone fisiche che, tramite il rapporto organico, si immedesimano nella persona giuridica contribuente, nel nome e per conto della quale operano.

Non vi sarebbe invece ragione, sempre secondo l’Amministrazione ricorrente, in base al predetto dato testuale, di escludere che rispondano delle violazioni, e delle relative sanzioni amministrative, anche le persone fisiche che, come lo stesso B., non agendo in nome e per conto della persona giuridica che ha commesso l’illecito tributario, abbiano comunque concorso alla realizzazione di quest’ultimo, in virtù di un rapporto, con la prima, diverso da quello di immedesimazione organica. Sarebbe infatti comunque applicabile, in tal caso, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9, per il quale ” Quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta. Tuttavia, quando la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso.”.

Inoltre, secondo l’Ufficio, qualora tali persone fisiche “esterne” avessero commesso la violazione nell’esercizio delle loro funzioni od incombenze di dipendenti, rappresentanti o amministratori, anche di fatto, di altra società (o associazione od ente), con o senza personalità giuridica, anche quest’ ultima, e nel caso di specie la SCF s.p.a., sarebbe responsabile in solido, D.L. n. 269 del 2003, ex art. 11, delle relative sanzioni amministrative.

1.1. Il motivo non è inammissibile, come eccepito dal controricorrente con riferimento a tutti i tre motivi del ricorso principale, per la mancata censura dell’ulteriore, ed alternativa, ratio decidendi sulla quale si fonda la decisione impugnata, nella parte in cui afferma, in motivazione, che “Peraltro, non è stato dimostrato che il sig. B. abbia tratto specifici e personali benefici dall’operazione controversa.”.

Infatti, proprio all’interno ed a conclusione del primo motivo, l’Ufficio ricorrente censura anche tale argomentazione del giudice a quo, affermandone l’irrilevanza, ai fini della decisione, rispetto alla fattispecie legale astratta che si assume violata e falsamente applicata, atteso che il conseguimento di uno specifico e personale beneficio da parte del soggetto che concorra nella realizzazione dell’illecito tributario non è un elemento necessario per configurarne la responsabilità ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9.

Tale conclusione del ricorrente, nella prospettazione del primo motivo di ricorso, censura quindi anche la predetta argomentazione esposta dalla CTR, assumendo che sia neutra, ai fini della configurabilità in diritto della responsabilità del B. quale concorrente nella violazione tributaria in questione, la circostanza, e la sua prova, del perseguimento, da parte del medesimo controricorrente, di un beneficio personale.

1.2. Tanto premesso, il primo motivo del ricorso principale e infondato.

Invero, non è contestato dalle parti, ed anzi è presupposto necessario delle loro difese, che al caso di specie si applichi il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, convertito senza modifiche dalla L. n. 326 del 2003 (sulla vigenza ratione temporis, circoscritta alle sole violazioni che non fossero state ancora contestate, nè la relativa sanzione fosse stata irrogata, alla data – 2 ottobre 2003- di entrata in vigore del decreto, cfr. Cass. 10/12/2014, n. 25993; Cass. 12/12/2019, n. 32594, ex plurimis).

Questa Corte, nell’interpretare la norma in questione, ha già avuto modo di chiarire che “Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex D.L. n. 269 del 2003, art. 7 (conv. con modif. in L. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del D.Lgs. n. 472 ma solo in quanto compatibili.” (Cass. 25/10/2017, n. 25284; nello stesso senso cfr. Cass. 28/08/2013, n. 19716; Cass. 11/3/2016, n. 4775; Cass. 08/03/2017, n. 5924; Cass. 07/11/2018, n. 28331; Cass. 18/04/2019, n. 10975). La circostanza che tale costante orientamento giurisprudenziale sia maturato prevalentemente (ma si veda Cass. 11/3/2016, n. 4775, con riferimento alla figura del consulente esterno) in materia di amministratore di fatto della persona giuridica contribuente non ne esclude la pertinenza anche a fattispecie, quali quella sub iudice, nelle quali il preteso concorrente non è collegato alla prima da alcun rapporto organico, neppure meramente fattuale.

Infatti, l’esclusione del concorso sanzionabile di terzi concorrenti nella violazione della contribuente persona giuridica è fondata, a monte, sull’inequivoco dato testuale del ridetto D.L. n. 269 del 2003, art. 7, il quale tanto nel titolo (“Riferibilità esclusiva alla persona giuridica…”), quanto nel disposto (“…sono esclusivamente a carico della persona giuridica…”), esprime in maniera chiara la volontà legislativa di riferire le sanzioni amministrative tributarie esclusivamente alla persona giuridica contribuente (in conformità alla dichiarata intenzione, espressa nella relazione governativa al D.L. in questione, di superare, quanto meno per le strutture imprenditoriali complesse, lo schema personalistico di imputazione delle sanzioni amministrative previgente), con conseguente esclusione, confermata dalla clausola di compatibilità di cui al comma 3 della stessa norma, dell’applicabilità del precedente D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9, al fine di configurare il concorso di ulteriori soggetti nella stessa violazione, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di una loro relazione organica (formale o fattuale) con la stessa persona giuridica.

La tesi contraria dell’Amministrazione ricorrente, che vorrebbe circoscrivere l’esclusione della punibilità, disposta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 7, alle sole persone fisiche “interne” alla persona giuridica contribuente cui è imputata la violazione sanzionata (perchè legate ad essa da un rapporto organico), con conseguente sanzionabilità, D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 9, dei soggetti (persone fisiche, ma anche soggetti collettivi, siano o meno, a loro volta, persone giuridiche) con essa concorrenti, si fonda invece sul dato testuale ricavato dall’incipit della medesima disposizione, che si riferisce alle “sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale”.

Non è tuttavia chiaro il motivo per il quale (a fronte dell’inequivoco dettato normativo appena richiamato), la mera menzione del “rapporto fiscale”, la cui funzione testuale pare logicamente quella di specificare a quali “sanzioni amministrative” si riferisca la disposizione in commento e di correlarne l’applicabilità alla qualità di contribuente e parte del rapporto tributario, dovrebbe costituire invece un criterio legislativo di selezione tra concorrenti “interni” (non punibili) ed “esterni” (sanzionabili) rispetto alla persona giuridica contribuente.

Piuttosto – come del resto rileva persino la dottrina minoritaria favorevole alla configurabilità del concorso sanzionabile della persona fisica terza rispetto alla società persona giuridica – il legislatore, con la formula in questione, imputa la sanzione alla persona giuridica in base alla “titolarità del rapporto tributario”, ma non accenna alla qualità in cui abbia agito l’eventuale trasgressore concorrente.

Sostiene infine l’Amministrazione ricorrente che, per effetto del “doppio binario” nel sistema di imputazione della responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, venutosi a creare con l’introduzione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, così come interpretato dalla citata giurisprudenza, verrebbe allora a crearsi una possibile discriminazione, che si assume ingiustificata e costituzionalmente illegittima, a danno dei terzi concorrenti “esterni” nella violazione tributaria commessa da contribuenti che siano soggetti collettivi privi di personalità giuridica o persone fisiche, i quali sarebbero sanzionabili D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 9, fondato su un’imputazione personale della responsabilità in materia; mentre gli stessi concorrenti “esterni” andrebbero esenti da sanzioni se, tenendo la medesima condotta, avessero però concorso nella violazione di una contribuente dotata di personalità giuridica, alla quale soltanto, in ragione della titolarità del rapporto tributario, il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, imputa la responsabilità.

Al riguardo deve tuttavia rilevarsi che l’ipotetica illegittimità costituzionale del trattamento deteriore che si assume riservato, per effetto del cosiddetto “doppio binario”, ai terzi concorrenti “esterni” nelle violazioni commesse da una contribuente che non sia una persona ai fini di questa decisione, atteso che essa non potrebbe comunque giustificare un’ interpretazione adeguatrice del D.L. n. 269 del 2003, art. 7 che si risolvesse nell’estensione del ritenuto peggior trattamento anche a chi (come nel caso di specie) abbia concorso nelle violazioni tributarie di una persona giuridica, conducendo, in violazione del principio di legalità, alla creazione di una fattispecie di responsabilità che il legislatore ha invece espressamente escluso, limitandola esplicitamente alla sola contribuente dotata di personalità giuridica.

1.3. Giova precisare, per completezza, che nel caso di specie

l’Amministrazione non ha imputato al controricorrente di aver agito, con la condotta che integrerebbe il preteso concorso sanzionabile nella violazione tributaria della società di capitali contribuente, al fine di perseguire un proprio interesse personale (circostanza, peraltro, esclusa in fatto dalla stessa sentenza impugnata, e non contestata dalla ricorrente, se non sotto il profilo della sua irrilevanza rispetto alle fattispecie legali astratte applicabili). Tanto meno l’Ufficio ha sostenuto che la struttura societaria della contribuente costituisse un mero strumento fittizio del quale il controricorrente si sia servito per conseguire un proprio vantaggio fiscale indebito.

Pertanto, nel caso di specie non vengono in rilievo i presupposti fattuali sulla base dei quali la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto in alcuni casi che, nonostante il dettato del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, trovi applicazione la regola generale sulla responsabilità personale dell’autore della violazione commessa nell’interesse esclusivamente proprio, e sia quindi sanzionabile la persona fisica autrice della violazione che non abbia agito nell’interesse della società, ma abbia perseguito un interesse proprio o comunque diverso da quello sociale (Cass. 09/05/2019, n. 12334, e giurisprudenza ivi citata in motivazione, ex plurimis), o che abbia artificiosamente costruito una società per fini illeciti e personali, poichè in tal caso la persona giuridica è una mera fictio creata nell’interesse della persona fisica, esclusiva beneficiaria delle violazioni, sicchè non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente (Cass. 18/04/2019, n. 10975; cfr. altresì, in motivazione, Cass. 08/03/2017, n. 5924 e Cass. 28/08/2013, n. 19716).

2. Per effetto del rigetto del primo motivo, resta quindi assorbito il secondo motivo del ricorso principale, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con il quale la ricorrente Agenzia denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere il giudice a quo escluso che le dichiarazioni rese da terzi (nel caso di specie dal direttore commerciale della società verificata) e raccolte in un processo verbale di constatazione possano avere rilevanza probatoria.

3. Parimenti assorbiti, per effetto del rigetto del primo motivo, sono il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con i quali la ricorrente Agenzia denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, o, in subordine, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

4. Resta infine interamente assorbito anche il ricorso incidentale del controricorrente, condizionato all’eventuale accoglimento di quello principale.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

6.Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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