Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 945 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 17/01/2020), n.945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24622/2014 R.G. proposto da:

Telecity s.r.l., già Teleradiocity s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche

disgiuntamente, dall’Avv. Fausto Bellato e dall’Avv. Antonino

Spinoso, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo

in Roma, Via Antonio Mondini n. 14, in virtù di procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla Via

dei Portghesi n. 12.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, n. 369/22/2014, depositata il 24 febbraio 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 21 novembre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Alessandria che aveva accolto il ricorso della Teleradiocity s.r.l. (poi Telecity s.r.l.) contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 1992, in relazione, per quel che ancora qui rileva, ad assegni emessi per la somma complessiva di lire 440.600.000,00 da Sergio Baracco, legale della Esse e Emme s.r.l, in proprio, in favore di C.A.M. (lire 267.600.000), socia al 10% della Teleradiocity, e di T.C. (lire 173.000.000), figlia di T.G., legale rappresentante della società contribuente, marito della C., le cui somme sono state imputate a reddito della contribuente. Il giudice di appello, in particolare, evidenziava una serie di indizi che inducevano a riferire tali somme alla società Teleradiocity e non alle persone fisiche, madre e figlia, suindicate: oltre al rapporto di parentela ed alla qualifica di socia della C., la circostanza che entrambe avevano dichiarato che gli assegni incassati costituivano la restituzione di un prestito in favore di Baracco Sergio, amministratore unico della Esse e Emme s.r.l., compagine tra l’altro in difficoltà economiche; l’inesistenza di documentazione che attestasse precedenti trasferimenti in denaro in favore del Baracco; la mancata indicazione dell’importo dell’asserito prestito; vi era il prolungato rapporto tra cliente e fornitore tra la contribuente e la Esse e Emme s.r.l.; erano sono stati documentati altri versamenti della Esse e Emme s.r.l. in favore della contribuente per il 1992 per la somma di lire 90.440.000.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con un unico motivo di impugnazione la società deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3): degli artt. 2727 e 2729 c.c.”, in quanto il giudice di appello ha sussunto sotto i caratteri individuatori della presunzione fatti concreti che non sono, invece, rispondenti a quei caratteri. Gli elementi indicati dalla Commissione regionale non costituiscono presunzioni gravi, precise e concordanti per consentire di riferire gli assegni versati alle persone fisiche di C.A. e T.C. alla società Telecity s.r.l. (già Teleradiocity s.r.l.). L’inferenza probabilistica per riferire gli assegni alla società non possono desumersi dal rapporto di parentela, non essendo stato dimostrato peraltro alcun atto traslativo in tal senso, nè dalla asserita falsità del contratto di mutuo, nè dalla omessa indicazione dell’importo del prestito, deponendo anzi le dichiarazioni delle parti proprio per la sussistenza del contratto di mutuo.

1.1. Tale motivo è infondato.

1.2. Invero, la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. può essere prospettata sotto più profili (Cass., sez.un., 24 gennaio 2018, n. 1785). Il giudice di merito può affermare che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precisi e concordanti, incorrendo in un errore di diretta violazione della norma. Il Giudice di merito può, poi, fondare la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto alla conseguenza ignota, sì che la censura ricade ancora nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il terzo caso è quello in cui la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito si concreta in una attività diretta solo ad evidenziare che le circostanze di fatto avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, allegando una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice, ma in tal caso la censura impinge in un apprezzamento di merito, che riguarda la quaestio facti e si pone nel solco del vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., sez. un., 8053 e 8054 del 2014).

Nella fattispecie in esame, la censura delle ricorrenti esula dall’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la ricorrente incentra la sua censura proprio sul ragionamento inferenziale del giudice di appello, investendo direttamente la quaestio facti, sotto il profilo della valutazione del merito degli elementi istruttori.

1.3. Peraltro, sulla questione relativa alla possibilità da parte dell’Agenzia delle entrare di estendere gli accertamento bancari di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, anche ai soci della società, deve farsi riferimento alla giurisprudenza consolidatasi nel tempo.

1.4.Invero, secondo parte della giurisprudenza di legittimità, in tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente, in quanto sia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, riguardo alle imposte sui redditi, che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, riguardo all’IVA, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti (Cass., 30 luglio 2018, n. 20118; Cass., 10 febbraio 2017, n. 3628; Cass., 1 febbraio 2016, n. 1898; Cass., 1 ottobre 2014, n. 20668; Cass., 4 agosto 2010, n. 18083, dove si dà atto che la più recente giurisprudenza, pur non rinnegando il principio per cui l’ufficio deve provare l’intestazione fittizia a terzi dei conti correnti, valorizza a fini probatori il solo dato presuntivo della relazione di parentela; Cass., 20449/2011 ove si afferma il medesimo principio in tema di società di persone). In particolare, proprio in questa ultima pronuncia (Cass., 20449/2011) l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, poi accolto, in quanto il giudice di appello non aveva considerato che la società di persone (in accomandita semplice) non operava con conti correnti propri, ma con quelli intestati a soci e parenti.

1.5. Altra parte della giurisprudenza, invece, non reputa sufficiente, per acquisire i dati bancari relativi a terzi, estranei alla società, la sola sussistenza del rapporto familiare o della qualità di socio o di amministratore, ma impone che l’Agenzia delle entrate dimostri la sussistenza di indizi che facciano presumere la riconducibilità alla società delle somme transitate nei conti correnti personali (Cass., 12817/2018, in tema di s.r.l., per cui la Commissione regionale non ha tenuto conto del fondamentale elemento della sostanziale assenza di autonome fonti di reddito in capo a tre dei quattro soci; Cass., 14 novembre 2003, n. 17423 anche valorizzando la circolare ministeriale 22.4.1980 e la risoluzione ministeriale 4.6.1992, che indicano gli elementi presuntivi in lettere commerciali e ordinativi di commissione).

1.6.Con specifico riferimento, poi, ai soci di società di persone si è riproposta la medesima diatriba, sicchè mentre in alcune pronunce si è ritenuta sufficiente la qualità di socio, per andare a verificare le movimentazioni bancarie presenti sul proprio conto corrente (Cass. Civ., 20449/2011, seppure anche in relazione a soggetti avvinti da un rapporto di parentela oltre che soci), in altre si è precisato che, in tema di Iva, nel caso di accertamento concernente una società di persone (società in nome collettivo), l’ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri ad esso attribuiti dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, nn. 2 e 7, le risultanze di conti correnti bancari intestati ad uno dei soci, purchè provi adeguatamente che quei determinati movimenti risultanti sul conto personale del socio siano in realtà riferibili ad operazioni poste in essere dalla società (Cass., 20 maggio 2011, n. 11145; anche Cass., 14 novembre 2003, n. 17243; Cass., 28 giugno 2001, n. 8826).

Alle medesime conclusioni perviene altra pronuncia, sempre in tema di società di persone, con cui si precisa che l’utilizzazione dei movimenti dei “conti” intestati ai soci o nella disponibilità di questi ai fini della rettifica del reddito dichiarato dalla società implica che l’amministrazione finanziaria provi, anche tramite presunzioni, il carattere fittizio dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente delle posizioni annotate sui conti medesimi – nella fattispecie la Suprema Corte ha peraltro escluso la operatività della presunzione iuris tantum prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, in relazione ai movimenti annotati su libretti di deposito a risparmio al portatore, intestati a nomi di fantasia o privi di intestazione, trovati in possesso di un socio di una società in nome collettivo – (Cass., 18 settembre 2003, n. 13819). Peraltro, in tale ultima decisione è stata cassata, sul gravame della Agenzia delle entrate, la sentenza della Commissione regionale per insufficiente motivazione non avendo tenuto conto la stessa, tra l’altro, del fatto che il socio era in possesso di libretti di rilevante importo “in assenza di altre significative attività lucrative” e che “i portatori dei libretti erano soci di società personale a ristretta base familiare”.

1.7. In relazione alle società a responsabilità limitata, quale è quella oggetto di controversia, si è affermato (Cass., 12 gennaio 2009, n. 374) che, in tema di infedeltà della dichiarazione IVA, derivante dall’omessa annotazione di operazioni imponibili ed omessa fatturazione, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, consente di procedere all’accertamento anche mediante il controllo di dati e notizie raccolti nei modi indicati dal precedente art. 51, incluse, quindi, le indagini bancarie, previste dal n. 7 di tale norma, le quali possono riguardare anche conti e depositi intestati a terzi, inclusi i familiari del socio (nella specie la moglie), quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale. In questi casi, la presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi, non è qualificabile come (inammissibile) presunzione di doppio grado, poichè è il D.P.R. n. 633 cit., art. 51, comma 2, n. 2), a prevedere che i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili.

Analogamente, si è ritenuto (Cass., 5849/2012) che sia il D.P.R. n. 633 del 19721, art. 51, sia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7, autorizzano l’Ufficio a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, quando sussista ragione di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi sono stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti (anche Cass., 27032/2007).

1.8.Solo se vi è la dimostrazione della concreta riferibilità delle movimentazioni bancarie alle operazioni societarie trova applicazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, che, attribuendo all’ufficio delle imposte il potere di procedere a accertamenti bancari, prevede espressamente una presunzione legale a carico del contribuente, ciò che comporta una vera e propria inversione dell’onere della prova in forza della quale egli è tenuto a giustificare i vari movimenti bancari e dimostrare che gli stessi sono estranei al reddito non essendo a lui di fatto riferibili, senza che rilevi, in senso contrario, la regolarità formale della documentazione aziendale (Cass., 7 febbraio 2008, n. 2843).

1.9.11 giudice di appello, dunque, ha correttamente consentito l’utilizzazione a fini probatori delle movimentazioni dei conti correnti dei soci, e segnatamente degli assegni emessi da Sergio Baracco in favore delle Signore C.A.M. e T.C., la prima moglie di T.G., e socia al 10% della Teleciy s.r.l., la seconda figlia del T., legale rappresentante della Telecit s.r.l., per accertare maggiori redditi societari, valutando con attenzione la sussistenza di elementi indiziari che facevano emergere la riferibilità alla società dei conti delle stesse, ed applicando, quindi, in modo corretto i principi giurisprudenziali sopra richiamati. Con motivazione congrua ed analitica il giudice di appello ha indicato in modo specifico gli elementi indiziari univoci per riferire alla società contribuente gli importi degli assegni emessi da Sergio Baracco, in proprio, in favore delle due persone fisiche. La Commissione regionale ha, quindi, correttamente valutato, oltre al rapporto di parentela tra le parti e la qualità di socia al 10% della Telecity s.r.l. (già Teleradiocity s.r.l.) della C., il rilevante importo del preteso mutuo erogato dalle due persone fisiche a Sergio Baracco, l’assenza di documentazione per un prestito di importo così ingente, pari a circa lire 440.600.000,00, l’effettuazione di tale prestito in favore del legale rappresentante della Esse e Emme s.r.l., che si trovava in difficoltà economica, l’esistenza, invece, di un rapporto di fornitura nel tempo tra le due società, il versamento di lire 90.440.000 sempre nel 1992 da parte della Esse e Emme s.r.l. in favore della Telecity s.r.l..

2. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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