Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9442 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/05/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 22/05/2020), n.9442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16181/2016 R.G. proposto da:

G.L., rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del

ricorso, dall’Avv. Maurizio Trevisan, elettivamente domiciliato

presso il suo studio, in Venezia, Cannareggio, 5677;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 1924/06/2015, depositata il 21 dicembre 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello proposto da G.L., socio-dipendente della Cooperativa Serenissima, esercente il servizio taxi acqueo nel comune di Venezia, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Venezia che aveva accolto solo parzialmente il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento emesso, con il metodo analitico-induttivo, limitatamente al conteggio delle corse a vuoto nella misura del 40% dell’intero traffico ed alla determinazione del consumo medio in 9 litri all’ora, invece che in 8 litri orari, rideterminando le ore di navigazione di 1169,66 ed attribuendone il 60% al trasporto passeggeri. Pertanto, il giudice di prime cure accertava un incasso medio di Euro 150 per ora di navigazione, determinando ricavi complessivi per Euro 105.270,00, non riconoscendo ulteriori costi in assenza di documentazione, con un reddito di impresa di Euro 41.232,00, a fronte di un reddito globale dichiarato in Euro 84.469,00, di cui Euro 19.762,99 per reddito da lavoro dipendente ed Euro 64.707,00 per reddito di impresa. Il giudice di appello evidenziava che l’avviso di accertamento era ampiamente motivato, con l’illustrazione delle tre diverse metodologie di calcolo nella ricostruzione dei ricavi e prospettando adeguatamente l’antieconomicità del comportamento del contribuente, con spese di gran lunga superiori rispetto al reddito dichiarato. I costi non potevano essere riconosciuti in assenza di specifica documentazione. L’irap era dovuta in quanto il contribuente si era avvalso della struttura organizzativa della cooperativa Serenissima Taxi di cui era socio per l’effettuazione di attività ulteriore rispetto a quella dichiarata come dipendente-socio. Inoltre, rileva che la sentenza di primo grado aveva recepito, seppure criticamente, la consulenza tecnica di parte redatta dal Dott. M., tenendo conto del maggiore consumo medio di carburante in relazione alla vetustà ed alla tipologia di motore, con una riduzione della determinazione dei ricavi anche in conseguenza della riduzione del parametro del consumo di carburante per chilometro.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.

3. L’Agenzia delle entrate si è costituita solo al fine di partecipare all’udienza pubblica.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce “Impugnazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza di appello per carenza assoluta della motivazione intesa come requisito di validità del provvedimento giurisdizionale, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, in quanto il giudice di appello si è limitato ad affermare che non sussisteva il vizio di motivazione della sentenza di prime cure, senza specificare le ragioni del suo convincimento.

1.1. Tale motivo è infondato.

Infatti, la CTR ha adeguatamente indicato le ragioni per cui non ha ritenuto nulla la decisione di prime cure. In particolare, il giudice di appello ha ritenuto che le doglianze riguardanti la nullità della sentenza per “asseriti deficit motivazionali” sono infondate, precisando che “alcuna influenza invalidante può essere ascritta alle considerazioni contenute nella decisione sulle sanzioni”, probabilmente “frutto di un refuso”. Inoltre, “le ulteriori carenze non pregiudicano la comprensione del ragionamento seguito dai Giudici”.

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “impugnazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti”, in quanto il giudice di appello non ha esaminato fatti decisivi già dedotti nel ricorso di primo grado ed “invocati” in appello (cfr. pag. 8 del ricorso per cassazione), “opposti” a quelli valorizzati dall’Ufficio. In particolare La Commissione regionale non avrebbe tenuto conto della circostanza che il giudice di prime cure non ha spiegato le ragioni del valore della licenza pari ad Euro 900.000,00, come risulta dall’avviso di accertamento. In realtà, nessun motoscafista che abbia acquistato o venduto la licenza è stato oggetto di verifica fiscale per tali dati. Le cifre indicate nell’avviso di accertamento, poi, fatte proprie dal giudice di prime cure originano solo da articoli di giornale, basandosi su un servizio del Gazzettino del 2008, su un articolo dell’Espresso del 6 agosto 2008 ed su altri articoli di stampa, comunque in relazione ad anni diversi dal 2006 (in particolare anni 1992, 2002, 2003, 2007, 2008, 2009, 2010). Inoltre, il giudice di appello non ha tenuto conto delle critiche mosse dal contribuente a tutte e tre le metodologie di computo dei redditi. Quanto alla prima metodologia (costo unitario corsa x numero di corse giornaliere x numero di giorni lavorati = volume di affari) il contribuente, in ordine al numero di corse giornaliere, ha opposto allo studio del COSES, adottato per l’accertamento, quello del Centro Universitario Internazionale dell’Università di Padova, mentre, quanto ai giorni lavorati di navigazione, ha opposto la non coincidenza di questi con quelli di presenze in cooperativa, in quanto i motoscafisti vengono impegnati anche in lavori di manutenzione delle imbarcazioni. Quanto alla seconda metodologia (ore motore annue sviluppate dall’imbarcazione x 0,6 viaggi con cliente x prezzo ora di moro Euro 150,00 = volume di affari), il contribuente ha opposto che la durata di un motore non è di 7 anni, tanto che quello della sua imbarcazione nel 2006 aveva 14 anni ed era stato sostituito solo nel 2013. Inoltre, nel 2006 il contribuente aveva operato prevalentemente come servizio taxi con conseguente applicazione della tariffa comunale con tassametro. In relazione alla terza metodologia di calcolo (consumo carburante annuo/consumo litri ora x 0,60 percentuale moto con il cliente x 150,00 tariffa oraria = ricavi prodotti dalla imbarcazione), il contribuente ha opposto, quanto al consumo medio di carburante, che il consumo medio di carburante era ricavato da 4 pagine di 4 libretti di consumo relativi ad altrettanti motoscafi su una flotta di 250. Quanto al consumo orario di carburante, non si è tenuto conto delle differenze tecniche dei motori e dell’età, in quanto il suo motore era di vecchia generazione. Inoltre, quanto al moltiplicatore del 60 %, il percorso in partenza con passeggeri era quasi sempre più corto di quello di rientro. Tali contestazioni sono contenute per buona parte della perizia tecnica dell’Ing. Ma.. Nessuno di tali dati è stato esaminato dalla Commissione regionale.

2.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la sentenza è stata pubblicata in data 21-12-2015, sicchè trova applicazione il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione modificata dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11-9-2012.

Infatti, per questa Corte l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass., sez. 1, n. 22397/2019).

Nella specie, il ricorrente si è limitato a proporre una diversa valutazione degli elementi istruttori apprezzati dal giudice di appello. In particolare, la questione sul valore della licenza, che sarebbe stata indicata in Euro 900.000,00 senza particolari spiegazioni, non è riportata nella pronuncia di appello e non è connotata dal carattere di decisività che deve caratterizzare il fatto di cui si lamenta l’omesso esame. Allo stesso modo le valutazioni dei quotidiani costituisco elementi istruttori, suscettibili di diverso apprezzamento da parte del giudice del merito. La critica alla prima metodologia si fonda su uno studio diverso indicato dal contribuente, e quindi sullo studio dell’Università di Padova e non sul COSES, sicchè si tratta sempre di scelta tra due elementi istruttori contrastanti, scelta che non può essere sottratta al giudice di merito ove adeguatamente motivata. Sul numero dei giorni lavorativi, il ricorrente, pur ammettendo di essere socio della cooperativa Serenissima, non indica però il numero dei giorni in cui è stato addetto nel 2006 ai lavori di manutenzione delle imbarcazioni per conto della suddetta cooperativa. Quanto alla seconda metodologia, la durata del motore delle imbarcazioni, indicata in 7 anni dalla Agenzia non è sconfessata dalla diversa tesi del contribuente per cui la sua imbarcazione nel 2006 aveva 14 anni, in assenza di produzione documentale in tal senso. Inoltre, quanto al terzo criterio di calcolo, il ricorrente si limita a contestare che, in realtà, il consumo medio di carburante è stato calcolato sulla base di 4 libretti di consumo, a fronte di una flotta di 250 motoscafi, senza però indicare e dimostrare l’effettivo consumo medio di carburante, sicchè nuovamente si tratta di un diverso apprezzamento degli elementi istruttori in atti. Anche la critica al moltiplicatore pari al 60% è frutto di una personale valutazione, fondata sulla soggettiva constatazione che “il percorso in partenza con passeggeri è quasi sempre più corto di quello di rientro”. Si fa, poi, riferimento alla consulenza tecnica di parte redatta dall’Ing. Ma., dove sarebbero state indicate tutte le predette contestazioni, prodotta in primo grado e richiamata nel ricorso in appello, ma anche in questo caso il giudice di appello ha valorizzato altra consulenza di parte prodotta “in altro procedimento” redatta dal Dott. M., prendendo atto della validità di alcuni dei rilievi del contribuente, e segnatamente quelli relativi all'”elevazione del consumo medio di carburante tenuto conto della vetustà e del tipo di motore”. Pertanto, il giudice di appello ha tenuto conto di parte dei rilievi del contribuente, soprattutto in relazione al maggiore consumo media del motore della sua imbarcazione per la “vetustà” ed il “tipo” di motore utilizzato (per la differenza tra taxista e noleggiatore di natante a motore nelle acque interne del Comune di Venezia cfr. Cass., sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30343).

In linea generale, il giudice di appello ha tenuto conto delle doglianze del contribuente ed ha spiegato le ragioni del suo convincimento, mentre laddove non ha ritenuto motivatamente di accogliere tali contestazioni, ha provveduto ad una valutazione comparativa degli elementi istruttori in atti, scegliendo quelli ritenuti maggiormente significativi, con una valutazione delle prove, non più sindacabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di omesso esame di fatti decisivi.

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “impugnazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di legge: in particolare del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, secondo periodo”, in quanto il giudice di appello non ha indicato le presunzioni gravi, precise e concordanti, che lo hanno convinto della legittimità dell’avviso di accertamento, limitandosi ad affermare che “l’avviso di accertamento è ampiamente motivato”.

3.1. Tale motivo è infondato.

3.1. Invero, per questa Corte la denuncia di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. può essere, poi, prospettata sotto più profili (Cass. Civ., sez. un., 24 gennaio 2018, n. 1785). Il giudice di merito può affermare che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni che non siano gravi, precisi e concordanti, incorrendo in un errore di diretta violazione della norma. Il Giudice di merito può, poi, fondare la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto alla conseguenza ignota, sì che la censura ricade ancora nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il terzo caso è quello in cui la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito si concreta in una attività diretta solo ad evidenziare che le circostanze di fatto avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, allegando una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice, ma in tal caso la censura impinge in un apprezzamento di merito, che riguarda la quaestio facti e si pone nel solco del vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Civ., sez. un., 8053 e 8054 del 2014).

Nella fattispecie in esame, la censura del ricorrente non resta nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma si trasferisce nel vizio di motivazione, investendo la quaestio facti, in quanto chiede di valutare gli elementi di fatto presenti in atti in modo diverso rispetto all’apprezzamento degli stessi da parte del giudice di appello. La Commissione regionale, infatti, sia pure con una sintetica motivazione, sia è soffermata su tutti i fatti allegati dal contribuente, ritenendo sussistenti le presunzioni gravi, precise e concordanti. Il giudice di appello, infatti, ha dato atto dei tre criteri utilizzati dall’Agenzia delle entrate per l’emissione dell’avviso di accertamento, ha ravvisato l’antieconomicità della condotta del contribuente, in presenza di spese di gral lunga superiori rispetto al reddito dichiarato, ha negato la deducibilità di ulteriori costi perchè non documentati, ha condiviso i rilievi del ricorrente in ordine al maggiore consumo medio di carburante proprio in ragione della “vetustà” e del “tipo” di motore, come da perizia del Dott. M..

4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce “impugnazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, anche con riferimento alla pronuncia d’appello sull’Irap”, in quanto il giudice di appello erroneamente ha ritenuto la sussistenza di una autonoma organizzazione in quanto il contribuente si è avvalso della struttura organizzativa della cooperativa cui era socio per l’effettuazione di attività ulteriore rispetto a quella dichiarata come dipendente socio. Per il ricorrente il giudice di appello ha omesso di esaminare i dati di fatto dedotti in causa. In particolare, non ha considerato che il ricorrente era un socio lavoratore dipendente della Cooperativa, soggetto alle turnazioni imposte dal Comune di Venezia, sicchè non poteva svolgere attività in proprio utilizzando il natante della società. Inoltre, se avesse operato all’insaputa della cooperativa non avrebbe potuto usufruire della sua organizzazione.

4.1. Tale motivo è infondato.

Invero, per questa Corte, in tema di IRAP, presupposto per l’applicazione dell’imposta, secondo la previsione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, il cui accertamento spetta al giudice di merito e che ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; sicchè l’imposta è stata ritenuta applicabile ai tassisti organizzati in cooperativa, in ragione delle specifiche modalità di esercizio dell’attività, integrata dall’apporto qualificante della predetta stabile struttura societaria, che assicura al singolo tassista, in via tipica e costante, continuità di lavoro, migliori condizioni economico-professionali, centralizzazione della raccolta pubblicitaria, assistenza amministrativa e fiscale (Cass., sez. 5, 18 settembre 2013, n. 21326).

Pertanto, poichè è pacifico che il contribuente, oltre ad essere socio-dipendente della Cooperativa Serenissima, ha anche svolto attività di taxi acqueo in proprio nel Comune di Venezia, proprio per la partecipazione alla cooperativa ha usufruito in qualche misura, come accertato dalla CTR con un esame in fatto, frutto di una autonoma valutazione, che non può essere sindacata in questa sede, della organizzazione societaria anche per lo svolgimento della propria attività. Il giudice di appello, infatti, ha valorizzato proprio l’esistenza della struttura organizzativa della cooperativa di cui era socio “per l’effettuazione di attività ulteriore rispetto a quella dichiarata come dipendente-socio”.

Il ricorrente non ha fornito sul punto la prova contraria, in quanto avrebbe dovuto allegare e dimostrare che, in realtà, proprio per la peculiare struttura ed organizzazione della cooperativa, alcun vantaggio in termini di più proficuo svolgimento della sua attività autonoma proveniva dalla partecipazione alla compagine societaria.

5. Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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