Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9442 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 12/04/2017, (ud. 04/11/2016, dep.12/04/2017),  n. 9442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12142-2012 proposto da:

CASONI COSTRUZIONI SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE REGINA MARGHERITA

262-264, presso lo studio dell’avvocato CATALDO D’ANDRIA, che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 109/2011 della COMM.TRIB.REG. di ANCONA,

depositata il 12/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2016 dal Consigliere Dott. ALDO ACETO;

udito per il ricorrente l’Avvocato MASTROGREGORI per delega

dell’Avvocato D’ANDRIA che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13/07/2011 (dep. il 12/08/2011) la Commissione Tributaria Regionale di Ancona, decidendo in sede rescissoria, ha accolto l’appello dell’Ufficio ed ha confermato l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) IRPEG 1994 emesso nei confronti della società “CASONI COSTRUZIONI S.r.l.” con cui l’Agenzia delle Entrate di Tolentino aveva rettificato la dichiarazione dei redditi relativi all’anno 1994, recuperando a tassazione, quale reddito di impresa, maggiori ricavi (pari a Lire 690.400.000, corrispondenti ad Euro 356.561,84) non registrati e non dichiarati (con conseguente maggiore IRPEG pari a Lire 248.544.000, corrispondenti ad Euro 128.362,26, al netto degli interessi, e sanzione amministrativa di pari ammontare).

Dichiarando di uniformarsi al principio di diritto affermato in sede rescindente, la CTR ha ritenuto pienamente utilizzabile, ai fini dell’accertamento induttivo, la documentazione extra-contabile rinvenuta in sede di verifica generale ed, in particolare, il documento che riportava i nominativi degli acquirenti con a fianco i dati dell’immobile compravenduto ed il relativo prezzo. Tale documentazione, affermano i Giudici dell’appello, contiene elementi talmente precisi, circostanziati ed univoci da non lasciare adito a dubbi sulla fondatezza della pretesa erariale e sull’inattendibilità della contabilità ufficiale della società verificata.

L’eccezione difensiva che tale documento è privo di data non ha pregio perchè, sostiene la CTR, come riferimento (e dunque come annualità di imposta) possono essere presi in considerazione i corrispondenti rogiti notarili poichè è in quel momento che normalmente viene regolato il pagamento del prezzo e, con esso, l’incasso del “nero”.

Non ha inoltre fondamento la richiesta di sottrarre ai maggiori ricavi i maggiori costi sostenuti perchè, trattandosi di sotto-fatturazione, i costi di costruzione restano comunque invariati.

2. Per la cassazione della sentenza ricorre la “CASONI COSTRUZIONI S.r.l.” articolando quattro motivi.

3. L’Avvocatura Generale, per conto dell’Agenzia delle Entrate, resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo (articolato in tre distinti argomenti) la contribuente eccepisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3:

1.1. la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e vizio di motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria su un fatto controverso decisivo per il giudizio;

1.2. La violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e vizio di motivazione insufficiente in ordine agli elementi probatori e ai documenti forniti dalla società contribuente;

1.3. La violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, e vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine alle risultanze del giudizio penale.

Deduce, a tal fine, che:

– la documentazione extra-contabile legittima l’accertamento analitico-induttivo ma non esime l’Ufficio dall’onere di provare la pretesa erariale nè esenta il Giudice dall’indagine sull’effettiva qualificazione di tale documentazione come valido elemento di prova del quale deve essere verificata la attendibilità;

– nel caso di specie i giudici dell’appello, violando ogni indagine sul punto e senza fornirne ragione, hanno ritenuto senz’altro che la documentazione in questione (in particolare il foglio manoscritto contraddistinto come allegato 1 al pvc della GdF) costituisse la prova (l’unica) dei maggiori ricavi sottratti all’imposizione, affermando, in modo del tutto illogico, che la contribuente non poteva opporre, a prova contraria, la contabilità ufficiale dell’impresa e i prezzi esposti nei relativi rogiti;

– in detto foglio manoscritto non datato, rinvenuto a casa del legale rappresentante della contribuente, sono riportati nominativi, cifre e sigle in realtà solo in parte riferibili a operazioni effettivamente realizzate dalla società e contabilizzate con produzione dei relativi atti notarili, ma in parte riferibili a soggetti non identificabili e persino non conosciuti;

– l’Ufficio non ha prodotto altri documenti a conferma dei dati indicati nel manoscritto pieno di inesattezze che persino il perito, officiato nel parallelo procedimento penale, aveva ritenuto insufficiente;

– il Giudice del rinvio si è sottratto all’obbligo di rispondere alla numerose incongruenze evidenziate in sede di appello affermando, in modo apodittico e tautologico, che i dati del manoscritto sarebbero certi, circostanziati ed univoci, idonei a costituire fondamento della pretesa erariale;

– considerazioni analoghe possono essere svolte in relazione alle due scritture private di compravendita concluse dalla contribuente con i sigg.ri D.C. e D.G. una delle quali del tutto coerente con i dati 2 riportati nella “colonna prezzo” del citato foglio manoscritto; trattandosi di contratti preliminari di vendita, non registrati nè autenticati, non può trarsene la prova che il prezzo ivi indicato sia quello effettivamente corrisposto, sol perchè inferiore a quello riportato nel contratto definitivo, nè può essere condivisa l’affermazione che è in sede di stipula del definitivo che viene regolato il pagamento dell’intero prezzo e versata la parte “in nero”;

– gli elementi forniti dall’Agenzia delle Entrate costituiscono, insomma, meri indizi, non gravi, nè precisi, nè concordanti, inidonei a supportare la pretesa erariale e a invertire l’onere della prova;

– in ogni caso la contribuente, a propria difesa, aveva prodotto documentazione (tutti gli atti notarili, le fatture e la Convenzione edilizia con il Comune di San Severino Marche, allegata alla CT del PM acquisita agli atti del giudizio) con cui il Giudice del rinvio non si è confrontato, liquidandola con motivazione apodittica, svincolata da qualsiasi ragionamento analitico e priva di spiegazione che fa malgoverno dei principi in tema di onere della prova;

– la perizia penale – che pur concludeva nel senso che il maggior reddito imponibile era in ogni caso di gran lunga inferiore a quello accertato dall’Ufficio è stata acquisita in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 perchè l’Agenzia delle Entrate non l’aveva mai prodotta in appello (pur menzionandola) sicchè la sua acquisizione “ex officio” viola il principio di imparzialità e terzietà del giudice che gli impedisce di utilizzare tale strumento per sopperire alle deficienze probatorie delle parti;

– di tale perizia, peraltro, sono state sposate solo le conclusioni, con motivazione approssimativa e insufficiente che non ha tenuto conto dei numerosi passaggi in cui il perito evidenziava i rilevanti deficit informativi sui quali si fondavano le sue conclusioni corroborate esclusivamente dai valori di mercato degli immobili venduti.

2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 542 del 1992, art. 63, e vizio di motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in ordine alla identificazione dell’oggetto del giudizio.

Sulla premessa che la sentenza impugnata afferma espressamente in motivazione che oggetto della riforma è la sentenza della CTR Marche annullata dalla Corte di cassazione (con conseguente incoerenza con il dispositivo), deduce che oggetto del rinnovato giudizio era la sentenza della CTP di Macerata e che tale lapsus è ulteriormente indicativo del fatto che il giudice del rinvio non si è posto nella stessa situazione processuale del giudice dell’appello, abdicando a tutti i doveri di accertamento che incombevano su di essa e che si sono tradotti nella violazione del riparto dell’onere probatorio e nei già lamentati vizi di motivazione.

3. Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 5, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 109 (ex 75) del TUIR e art. 53 Cost., nonchè vizio di motivazione circa la negata deduzione percentuale dei costi dall’ammontare dei maggiori ricavi accertati, sommariamente ed insufficientemente giustificata con la immodificabilità dei (soli) costi di costruzione in caso di sottofatturazione, con conseguente violazione del principio di correlazione tra costi e ricavi che, quale espressione del principio di capacità contributiva costituzionalmente garantito dall’art. 53 Cost., trova spazio anche in caso di accertamento induttivo fondato sul rinvenimento di documentazione extra-contabile.

4. Con il quarto motivo eccepisce, in via subordinata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4:

4.1. La nullità della sentenza per error in procedendo;

4.2. La violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 542 del 1992, art. 14, per la mancata integrazione del contraddittorio necessario nei confronti delle persone fisiche in relazione all’avviso di accertamento riguardante la società.

Deduce, al riguardo, che, in conseguenza della ritenuta ristretta base sociale della società contribuente, il contraddittorio avrebbe dovuto essere esteso anche ai soci, destinatari anch’essi di avvisi di accertamento, oggetto di separati processi definiti dalla CTR di Ancona nella medesima udienza, contraddittori necessari perchè ritenuti destinatari, pro quota, di utili extra bilancio.

5. L’Agenzia delle Entrate eccepisce:

5.1. L’infondatezza del primo e del terzo motivo (1.1 e 1.3) perchè la CTR si è attenuta alla sentenza rescindente dalla cui lettura si evince con chiarezza che le questioni poste dall’odierna ricorrente erano già state tutte superate dalla stessa Corte di cassazione;

5.2. l’inammissibilità del secondo (1.2) perchè diretto a censurare, nel merito, la valutazione della CTR in ordine alla non ritenuta rilevanza della documentazione extracontabile;

5.3. l’infondatezza e inammissibilità del quarto motivo (1.4) posto che, semmai, la perizia avrebbe potuto costituire elemento a favore dell’impresa, sulla quale gravava l’onere di produrla;

5.4. l’inammissibilità del quinto motivo (2^ secondo la numerazione della ricorrente) perchè la CTR, quale giudice del rinvio, si è correttamente collocata nella stessa posizione del precedente giudice di cui ha esercitato tutte le prerogative;

5.5. l’infondatezza del sesto e del settimo motivo (3^ secondo la numerazione della ricorrente) perchè l’accertamento è di natura analitica e non induttiva in quanto i maggiori ricavi sono stati quantificati, ancorchè in via presuntiva, sulla base di dati certi, quali la documentazione extra-contabile rinvenuta;

5.6. l’infondatezza dell’ultimo motivo non trattandosi di redditi imputati ai soci di società di persone e ben potendo questa stessa Corte disporre la riunione dei processi pendenti dinanzi a sè.

6. Le questioni che la ricorrente pone possono essere così sintetizzate:

6.1. se il rinvenimento di documentazione extra-contabile comporti automaticamente l’inversione dell’onere della prova a carico della contribuente;

6.2. se non sia piuttosto necessario valutare prima la attitudine di tale documentazione a dimostrare, anche in via presuntiva, l’ammontare dei maggiori ricavi recuperati a tassazione e solo in un secondo momento onerare il contribuente della prova contraria;

6.3. in che modo possa essere fornita detta prova;

6.4. se e quale sia l’incidenza dei costi sui ricavi non dichiarati.

7. Prima di procedere oltre è opportuno riportare, per la parte di interesse, la motivazione della sentenza di questa Corte n. 25012 del 19/06/2008 che ha cassato la sentenza n. 30/2002 della CTR Marche e rinviato ad altra sezione della medesima Commissione: “Con l’unico motivo addotto, l’amministrazione finanziaria denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e degli artt. 2727 e 2729 c.c., unitamente a vizi di motivazione. Sostiene l’amministrazione finanziaria che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, il rinvenimento di scritture contabili non ufficiali, nelle quali siano annotate, seppure in maniera incompleta, fatti riferibili alla attività di impresa renda legittimo l’accertamento induttivo-analitico extracontabile applicato nella specie. Tanto più che i fatti avevano ricevuto anche un riscontro in sede penale. La censura appare fondata. Infatti, la decisione della CTR fa leva su un principio di diritto che si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, condivisa dal Collegio. Secondo i giudici di merito, il rinvenimento di appunti ed annotazioni contenenti nominativi e cifre, ma non anche le annotazioni degli avvenuti pagamenti, non consentirebbe di superare il dato formale della regolare tenuta delle scritture contabili. A parte l’incongruenza di preludere che le scritture extracontabili siano redatte con criteri di completezza simili a quelli previsti per le scritture ufficiali, la CTR ha escluso ogni valore probatorio alla documentazione acquisita, soltanto perchè sulla base della stessa non era possibile ricostruire analiticamente i ricavi occultati. In realtà, il rinvenimento delle scritture extracontabili costituisce indizio che le operazioni in esse annotate siano state effettivamente portate a termine sulla base dei prezzi mediamente praticati dall’impresa controllata, salvo che il contribuente non fornisca la prova contraria. L’errore commesso dalla CTR è di aver escluso ogni valore probatorio della contabilità parallela soltanto perchè non era stata tenuta in maniera completa e con “diligenza”. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la cd. “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria.” (Cass. 25610/2006; conf. 19598/2003, 11459/2001,7045/1999). In altri termini, il rinvenimento della documentazione non ufficiale della attività di impresa rende inattendibile di per sè le scritture contabili ufficiali, le quali perciò non possono più costituire un valido scudo fiscale da opporre agli organi di controllo e questi possono procedere ad accertamento induttivo, anche valutando analiticamente le singole operazioni sottratte alla registrazione ufficiale. A ciò si aggiunga che, come pure lamenta la parte ricorrente, la CTR ha menzionato l’esistenza del giudicato penale, ma ha omesso di farne oggetto di valutazione, limitandosi a riferire che la società ne ha eccepito la non opponibilità da parte dell’A.F., non costituita parte civile. A parte la considerazione che il giudicato non è opponibile “a chi” non abbia partecipato al giudizio, ma non “da chi” non vi abbia partecipato, va ribadito che “nel processo tributario il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di “giudicato opponibile” in sede giurisdizionale diversa da quella penale, purchè proceda ad una propria ed autonoma valutazione, secondo la regole proprie della distribuzione dell’onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, i quali possono, quantomeno, costituire fonte legittima di prova presuntiva. Ne consegue che il giudice tributario non può negare in linea di principio che l’accertamento contenuto in una sentenza di proscioglimento pronunciata ai sensi dell’art. 425 c.p.p. possa costituire fonte di prova presuntiva, omettendo di compiere una sua autonoma valutazione degli elementi acquisiti in sede penale” (Cass. 17037/2002; conf. 11483/04, 2409/05, 4054/07, 9958/08). Conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR delle Marche per la rinnovazione del giudizio di appello, tenendo conto dei principi di diritto enunciati”.

7.1. Appare chiaro, dalla lettura della sentenza, che le questioni poste dall’odierno ricorso sono già state affrontare e risolte da questa Corte nel senso che, da un lato il rinvenimento di documentazione non ufficiale legittima l’accertamento analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (fondato, cioè, anche sull’analisi delle operazioni non documentate ufficialmente), dall’altro che l’onere della prova contraria incombe comunque sul contribuente il quale non può, a tal fine, utilizzare la contabilità “ufficiale”, nè pretendere che siano altri a mettere in discussione quel che pacificamente emerge dalle proprie scritture. La contabilità non ufficiale costituisce pur sempre, in quanto scrittura d’impresa, elemento probatorio utilmente valutabile contro l’imprenditore.

7.2. Orbene, la CTR si è attenuta al principio di diritto affermato in sede rescindente motivando in maniera adeguata ed esaustiva le ragioni dell’accoglimento dell’appello dell’Ufficio. Investita di specifici rilievi in ordine alla attitudine della contabilità in nero a legittimare le conclusioni dell’Ufficio sulla quantificazione dei maggiori ricavi, i Giudici dell’appello hanno dato atto che la documentazione extracontabile riportava il nominativo degli acquirenti con a fianco i dati identificativi dell’immobile (garage e/o appartamento) compravenduto e il relativo prezzo. Ogni altra considerazione, sulla reale attitudine del documento a fornire l’esatta entità dei ricavi è fina te superflua e le questioni proposte dalla ricorrente (che non ha mai fornito una valida prova contraria) costituiscono solo lo sterile tentativo di rimettere in discussione i costituti fattuali del ragionamento.

7.3. Anche per quanto riguarda i costi, correttamente e condivisibilmente la CTR esclude che a fronte dei maggiori ricavi accertati debbano necessariamente essere dedotti maggiori costi se non documentati.

7.4. In termini generali, la indicazione in fattura di un prezzo di vendita inferiore a quello effettivamente corrisposto non legittima, sul piano logico, la automatica conclusione che l’entità dei costi sostenuti per conseguire il maggior ricavo resti sempre uguale a se stesso e che dunque a maggior quantità di ricavo effettivamente conseguito non corrisponda un maggior costo.

6.8. Tuttavia, non è nemmeno accettabile l’opposto principio, formulato in termini assoluti dalla ricorrente, che all’accertamento di maggiori ricavi non contabilizzati corrisponda sempre e comunque un aumento percentuale dei costi sostenuti.

6.9. Ciò per due ragioni: a) costituisce massima di esperienza che corrisponde all’interesse dell’imprenditore annotare in contabilità i costi effettivamente sostenuti per l’attività d’impresa; b) la corresponsione di ricavi in nero può semplicemente comportare un più ampio margine di utile rispetto al costo invariato del bene venduto.

6.10. Sicchè quando l’accertamento non prescinde del tutto, come nel caso di specie, dalla contabilità d’impresa, costituisce onere del contribuente dedurre e provare quali ulteriori costi, ancorchè non contabilizzati, siano stato sostenuti per far fronte ai maggiori ricavi accertati. Ma tale deduzione non è mai stata fatta.

6.11. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

6.12. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 7.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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