Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 944 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 20/01/2021), n.944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BLASUTTO Daniela – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4857-2017 proposto da:

ASSOCIAZIONE PROVINCIALE DEI COMMERCIANTI e del TURISMO DI

CALTANISSETTA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato LUIGI

CIMINO;

– ricorrente –

contro

M.R.M.P., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FILIPPO BERNARDO;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 261/2016 della CORTE D’APPELLO DI

CALTANISSETTA, depositata il 04/08/2016, r.g.n. 346/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

17/09/2020 dal consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Caltanissetta, con sentenza del 7.2.2012, rigettava la domanda proposta da M.R.M.P. la quale, premesso di avere lavorato presso l’Associazione Provinciale dei Commercianti e del Turismo di Caltanissetta dal 14.2.1986 al 15.10 2007 con la qualifica di impiegato addetto alla segreteria ma di avere svolto mansioni inquadrabili nel secondo livello del CCNL del Settore Commercio Servizi e Territorio, aveva chiesto la condanna della datrice di lavoro al pagamento della somma di Euro 115.097,02, aggiornata al giugno 2008, a titolo di compensi dovuti per il diverso inquadramento, festività, 13 e 14 mensilità e TFR. Il primo giudice riteneva, in sintesi, l’inapplicabilità al datore di lavoro del CCNL Settore Commercio, in quanto non esercente parte datoriale attività commerciale e l’inammissibilità della richiesta di utilizzazione del contratto collettivo per gli studi professionali, perchè avrebbe comportato una modifica della domanda; quanto alla richiesta di adeguamento della retribuzione ex art. 36 Cost., la retribuzione percepita veniva considerata congrua e proporzionata all’attività lavorativa espletata.

2. La Corte di appello della stessa sede, in accoglimento del gravame presentato dalla M., condannava, invece, l’ASCOM al pagamento, in favore della lavoratrice, della somma di Euro 85.089,22, di cui Euro 29.856,97 per differenze sul minimo retributivo, Euro 3.129,23 per tredicesima mensilità, Euro 5.314,39 a titolo di indennità di maternità, facoltativa ed obbligatoria, Euro 15.515,78 per TFR, Euro 11.624,95 per rivalutazione monetaria ed Euro 19.647,90 per interessi legali.

3. I giudici di seconde cure rilevavano che la contrattazione collettiva più pertinente alla attività svolta dall’ASCOM era quella relativa agli studi professionali, la cui documentazione era stata prodotta nel processo su disposizione del primo giudice al fine di individuare la contrattazione collettiva di riferimento e, pertanto, non avrebbe potuto poi essere ritenuta dallo stesso giudice ininfluente in fase di decisione; inoltre, specificavano che il rapporto di lavoro non poteva essere regolato esclusivamente dal contratto aziendale del 19.2.1988 essendo stato stipulato da una pluralità di lavoratori e non per il tramite di organizzazioni sindacali. Ravvisando, quindi, una violazione dell’art. 36 Cost. e applicando, in via parametrica, il CCNL Studi professionali, la Corte territoriale, dopo avere svolto una ctu contabile e individuato il terzo come il livello di inquadramento contrattuale della lavoratrice, in relazione alle mansioni svolte, accertava la debenza delle somme come sopra specificate.

4. Avverso la sentenza di seconde cure proponeva ricorso per cassazione l’Associazione Provinciale dei Commercianti e del Turismo di Caltanissetta affidato ad un solo articolato motivo, cui resisteva con controricorso M.R.M.P..

5. Le parti hanno depositato memorie.

6. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con l’unico articolato motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2070 e 2099 c.c. nonchè dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essersi la Corte di merito affidata ad “una avara, ai limiti della carenza, motivazione” e, decidendo la controversia solo per relationem ad una massima di legittimità, e per non avere fatto buon uso delle norme di legge e costituzionali richiamate. In particolare, la ricorrente si duole che erroneamente i giudici di seconde cure avevano applicato estensivamente l’art. 2070 c.c. per individuare il contratto collettivo applicabile, senza considerare il disposto dell’art. 39 Cost. non ancora attuato, nella sua portata, nell’ordinamento giuridico italiano. Deduce, poi, che risultava affidata alla discrezionalità del giudice di merito l’individuazione della tariffa collettiva suscettibile di essere assunta come parametro nel caso in cui il rapporto individuale si fosse svolto in un settore non coperto da contrattazione sindacale e che il principio della giusta retribuzione ex art. 36 Cost. si sostanzia, come riconosciuto in alcune sentenze, solo nella attribuzione ai minimi tabellari collettivi di un “valore soltanto orientativo”. Rappresenta, quindi, che erroneamente la Corte territoriale aveva escluso l’applicabilità del CCNL Commercio – Terziario, peraltro invocato dalla lavoratrice, ritenendo invece adottabile il CCNL Studi Professionali perchè più pertinente e che il richiamo all’art. 36 Cost. appariva oggettivamente carente nelle motivazioni utilizzate. Infine, la ricorrente censura la mancata applicazione delle clausole del contratto individuale sottoscritto dal lavoratore che, relativamente alla parte economica, avrebbe dovuto ritenersi efficace ex art. 2099 c.c., comma 2 e che era stata omessa qualsiasi valutazione sulla indagine compiuta dal primo giudice in ordine alla congruità e proporzionalità della retribuzione corrisposta.

2. Il ricorso non è fondato.

3. La Corte di merito, senza incorrere nelle denunciate violazioni di legge, si è adeguata ai principi di legittimità secondo cui, per i rapporti non tutelati da contratto collettivo, il giudice può utilizzare come parametro di raffronto la retribuzione tabellare prevista per le diverse categorie di lavoratori del contratto nazionale corrispondenti alla attività svolta dal datore di lavoro o, in mancanza, da altro contratto che regoli attività affini e prestazioni lavorative analoghe (Cass. n. 5519 del 2004; Cass. n. 27591 del 2005; Cass. 24092 del 2009; Cass. n. 14791 del 2008).

4. Questo principio si applica indipendentemente dall’iscrizione o meno del datore di lavoro ad una associazione sindacale ed anche alle imprese di dimensioni non rilevanti (Cass. n. 21274 del 2010).

5. Correttamente, poi, nello effettuare tale valutazione, la Corte territoriale non ha compiuto una applicazione integrale e minuziosa di tutte le clausole contrattuali, ma ha considerato solo quelli che costituiscono il cd. minimo costituzionale, con esclusione degli istituti retributivi legati all’autonomia contrattuale (Cass. n. 15148 del 2008).

6. In particolare, i giudici di seconde cure, dopo avere analizzato la quantità e la qualità del lavoro svolto, hanno considerato solo il minimo-retributivo previsto dal CCNL Studi Professionali, ritenuto idoneo come parametro di riferimento, senza considerare le voci retributive di fonte tipicamente contrattuale, come per esempio i compensi aggiuntivi, gli scatti di anzianità (Cass. n. 17274 del 2004 e Cass. n. 26953 del 2016) e la quattordicesima mensilità (Cass. n. 12520 del 2004).

7. Pertinente è stato, altresì, il riferimento all’art. 36 Cost. perchè, ove il rapporto di lavoro sia regolato da un contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dall’imprenditore, il giudice per valutare la sufficienza della retribuzione del lavoratore ai sensi dell’art. 36 Cost. può appunto utilizzare la disciplina collettiva del diverso settore come parametro di raffronto e quale criterio orientativo, limitatamente alla retribuzione base (Cass. n. 14791 del 2008).

8. Quanto, infine, alla dedotta mancata applicazione del contratto individuale, anche in questo caso deve sottolinearsi la conformità dell’operato della Corte territoriale agli orientamenti di legittimità.

9. Invero, qualificato l’accordo intercorso tra le parti come contratto di lavoro individuale ancorchè plurisoggettivo, e non quindi come contratto collettivo aziendale, in presenza di una denuncia di inadeguatezza della retribuzione, era compito del giudice verificare la sufficienza e l’adeguatezza secondo i criteri dettati dall’art. 36 Cost. e attraverso i parametri esterni ed indiretti di commisurazione ai criteri di proporzionalità e sufficienza (cfr. Cass. n. 2245 del 2006), affinchè la retribuzione non risulti appunto inferiore a questa soglia minima, e adeguarla, in applicazione del principio di conservazione, espresso nell’art. 1419 c.c., comma 2, onde assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

10. In ordine, infine, proprio alla valutazione della sufficienza e proporzionalità della retribuzione con riguardo alla quantità e qualità del lavoro svolto, nonchè alla scelta del CCNL da applicare in via parametrica, i relativi accertamenti, in concreto e di natura discrezionale, sono riservati al giudice di merito e, quindi, rappresentano tematiche, in fatto, insindacabili in sede di legittimità se congruamente motivati (Cass. n. 4324 del 1992; Cass. n. 2393 del 1987; Cass. n. 16866 del 2008; Cass. n. 2393 del 1987).

11. Nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente avuto riguardo, dandone adeguata e logica motivazione, all’attività effettivamente esercitata presso il datore di lavoro sicchè, anche sotto i suddetti profili (adeguatezza della retribuzione e individuazione del CCNL), le censure non meritano accoglimento.

12. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

13. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

14. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le-ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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