Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9435 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 22/05/2020), n.9435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16926/2014 proposto da:

IMMOBILIARE S. GIOVANNI s.r.l. in liquidazione (CF (OMISSIS)), in

persona del legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa per procura a

margine del ricorso dall’avv. Gianpietro Contarin, presso il quale

elettivamente domicilia in Bassano del Grappa (VI) al largo Parolin

n. 54/8;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (CF (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t.,

rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 93/06/13 depositata il 19 dicembre 2013 della

Commissione Tributaria Regionale di Venezia-Mestre;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 19 dicembre 2019 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 93/06/13, depositata il 19 dicembre 2013, la Commissione tributaria regionale di Venezia accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza con la quale la Commissione provinciale di Treviso aveva annullato l’avviso di accertamento che, contestando alla s.r.l. Immobiliare San Giovanni in liquidazione l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, aveva determinato le imposte dovute in Euro 23.936 per Ires, Euro 2.546 per Irap ed Euro 4.725 per Iva, irrogando altresì una sanzione amministrativa pecuniaria unica pari ad Euro 42.173,40.

Osservava la CTR, per quanto di interesse, che, ai fini della verifica della tempestiva costituzione in giudizio dell’Agenzia delle entrate, pur mancando la prova certa che la busta raccomandata spedita da quest’ultima contenesse la copia dell’atto di impugnazione, era ragionevole supporre che il plico in questione contenesse effettivamente la copia dell’appello destinato alla Commissione e pertanto era possibile giudicare tempestivo il deposito e superare il presunto vizio procedurale.

Quanto all’eccezione relativa all’inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di legittimazione, capacità processuale e potere di rappresentanza dell’ex legale rappresentante della società, rilevava che, sebbene l’avviso di accertamento fosse stato notificato a Z.F., in qualità di legale rappresentante della cessata società immobiliare S. Giovanni s.r.l., poichè l’Agenzia aveva esplicitamente riconosciuto che la società era cessata, era evidente che la notifica era stata eseguita non nei confronti della società ma nei confronti del socio ai fini dell’applicazione del principio enunciato dall’art. 2945 c.c., comma 2, dovendosi altrimenti trarre la conclusione che l’Amministrazione finanziaria avesse consapevolmente notificato un avviso di accertamento inesistente in quanto emanato nei confronti della società che sapeva essere cessata.

Avverso tale sentenza Immobiliare S. Giovanni s.r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la nullità del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e la violazione di legge ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 22 ed all’art. 2727 c.c., avendo erroneamente la CTR ritenuto tempestiva la costituzione dell’Agenzia delle entrate nel giudizio di appello.

1.1. Premesso, infatti, che il termine per la costituzione dell’appellante, in caso di impugnazione inviata a mezzo posta, decorre dal giorno della spedizione, purchè risultino rispettate le formalità previste dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20, comma 2, (e dunque l’invio del plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento), nel caso di specie la prova della tempestività della spedizione sarebbe stata desunta dalla CTR da una mera congettura, non sufficiente nemmeno ad integrare una presunzione semplice ex artt. 2727 e 2729 c.c..

2. Il secondo motivo è così intitolato: “nullità delle sentenze di primo e secondo grado – art. 360 c.p.c., n. 4 – Violazione di legge: erronea applicazione dell’art. 2495 c.c., comma 2 e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 – Nullità conseguente dell’avviso di accertamento”.

2.2. La ricorrente evidenzia che la CTR avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell’avviso di accertamento del 9 novembre 2009 in quanto emesso nei confronti della società già cancellata fin dal 7 febbraio 2008. Erroneamente, infatti, la CTR avrebbe attribuito rilievo al riferimento contenuto nella notifica dell’avviso di accertamento proprio all’evento della cancellazione, sostenendo che tale riferimento non poteva avere altro significato che quello di far valere credito nei riguardi del socio, ai sensi dell’art. 2495 c.c., essetlo inverosimile che l’Amministrazione finanziaria intendesse notificare un avviso di accertamento ad una società che ben sapeva essere cessata.

3. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso di primo grado da parte del legale rappresentante di società già cancellata dal registro delle imprese e, quindi, estinta sia nel momento della ricezione dell’avviso di accertamento sia al momento della presentazione del ricorso di primo grado.

3.1. Tale vizio è rilevabile d’ufficio e, non essendosi formato alcun giudicato sul punto, va dichiarato il difetto di legittimazione attiva del legale rappresentante della società estinta sin dal primo grado di giudizio.

3.2. In proposito va premesso che nessuna efficacia ai fini del presente giudizio può assumere il D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 28, comma 4, secondo cui “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”: secondo quanto statuito da questa Corte con le sentenze n. 6743/15 e n. 15648/15, la normativa sopravvenuta appena ricordata opera su un piano sostanziale e non procedurale. Ne consegue che la stessa non autorizza ad attribuire effetti di sanatoria in relazione ad atti notificati a società già estinte per le quali la richiesta di cancellazione e l’estinzione siano intervenute, come nel caso in esame, anteriormente al 13 dicembre 2014.

3.3. Ciò premesso, va osservato che, secondo quanto già condivisibilmente statuito da Cass. n. 21199/14, ” La cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina l’estinzione dell’ente e, quindi, la cessazione della sua capacità processuale, il cui difetto originario è rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità e comporta, in quest’ultimo caso, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza con cui il giudice di merito aveva accolto l’impugnazione proposta del liquidatore della società estinta nei confronti di avvisi di accertamento notificati successivamente alla cancellazione della società dal registro delle imprese e relativi a tributi sorti in epoca anteriore)”.

3.4. Come pure, secondo Cass. n. 23365 del 2019, “Nel processo tributario la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicchè non sussistendo possibilità di prosecuzione dell’azione, la sentenza impugnata con ricorso per cassazione deve essere annullata senza rinvio ex art. 382 c.p.c., venendo in rilievo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre, sin dal primo grado, ad una pronuncia declinatoria di rito.

4. Potendo dunque essere il difetto di legitimatio ad causam rilevato d’ufficio, eliminando in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, dichiarandosi che la causa non poteva essere proposta.

5. Le alterne vicende dei gradi di merito e la particolarità della vicenda, culminata nel rilievo d’ufficio, solo in sede di legittimità, dell’inammissibilità del ricorso originario del contribuente, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità e dei precedenti gradi di giudizio.

PQM

La Corte cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso originario del contribuente.

Compensa le spese del giudizio di legittimità e dei precedenti gradi di giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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