Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9432 del 21/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2010, (ud. 24/02/2010, dep. 21/04/2010), n.9432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12079-2009 proposto da:

D.G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, via

GERMANICO n. 184, presso lo studio dell’avvocato MURSIA GUGLIELMO,

che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, elettivamente

domiciliato in ROMA, via DELLA FREZZA n. 17, presso lo studio

dell’avvocato RICCIO ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati VALENTE NICOLA, PULLI CLEMENTINA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 454/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/02/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

D.G.P. conveniva in giudizio l’INPS dinanzi al giudice del lavoro di Roma per ottenere il pagamento di _ 50,60 a titolo di interessi legali e rivalutazione monetaria sui ratei arretrati di pensione tardivamente erogati.

Costituitosi in giudizio, l’Istituto eccepiva la nullità della procura alle liti; il giudice accoglieva l’eccezione e rigettava la domanda ritenendo nulla la procura rilasciata dall’attore al suo difensore, non risultando che lo stesso, residente all’estero, avesse rilasciato la procura in territorio nazionale.

Proposto appello dal D.G., con sentenza 17.1-13.11.08 la Corte di appello di Roma accoglieva l’impugnazione rilevando che il mandato alle liti rilasciato a margine del ricorso introduttivo recante l’autenticazione del difensore doveva presumersi conferito in Italia, anche se non recante l’indicazione del luogo di formazione del documento. Nel merito, riconosciuto il diritto ai richiesti accessori, condannava l’INPS – al pagamento della somma richiesta compensando tra le parti le spese del primo e del secondo grado in ragione “dell’entità della pretesa”.

Proponeva ricorso il D.G. chiedendo la cassazione della sentenza di appello e deducendo violazione: a) dell’art. 83 c.p.c. e art. 2697 c.c. con il quesito “se la prefata sentenza debba essere cassata nella parte in cui ha dichiarato la nullità della procura e quindi l’inammissibilità dell’appello, per non aver ritenuto operante la presunzione di rilascio del mandato nel territorio dello Stato italiano, risiedendo il mandante all’estero”; b) violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in quanto il giudice di merito ravvisando giusti motivi “in relazione all’entità della pretesa”, in presenza di completa soccombenza dell’INPS avrebbe erroneamente compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio senza spiegarne validamente le ragioni, adottando una formula tralaticia, in violazione della L. 28 dicembre 2005, n. 263, alla cui disciplina deve ritenersi sottoposta la controversia, risultando l’appello proposto successivamente alla sua entrata in vigore.

Resisteva con controricorso l’INPS. Il consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c. che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori costituiti.

Il ricorso non è fondato.

Il primo motivo è inammissibile per mancanza di interesse, atteso che l’impugnata sentenza ha fatto applicazione proprio del principio di diritto invocato da parte ricorrente.

Quanto al secondo motivo, deve innanzitutto rilevarsi che la modifica dell’art. 92 c.p.c., comma 2 da parte della L. 28 dicembre 2005, n. 263, che ha introdotto l’obbligo del giudice di indicare i motivi della compensazione delle spese di lite, è riferita soltanto ai procedimenti instaurati dopo la sua entrata in vigore (Cass. 17.7.07 n. 15882 e 20.4.06 n. 9262). Conseguentemente, il riferimento deve essere effettuato al momento del deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e non di quello d’appello (come ritenuto dal ricorrente). Risultando il ricorso di primo grado depositato prima dell’entrata in vigore della Legge (1 marzo 2006), la valutazione del motivo deve essere effettuata alla luce del testo originario dell’art. 92 c.p.c., per il quale “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.

Le Sezioni unite hanno affermato che, nel regime anteriore alla L. n. 263, “il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito)”. “Ne consegue” – proseguono le Sezioni unite – “che deve ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in se considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come, a titolo meramente esemplificativo, nel caso in cui si da atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamento in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali” (Cass. S.u. 30.7.08 n. 20598).

Essendosi il giudice di mento adeguato al canone della palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ritenuto conforme a diritto dalle Sezioni unite, il secondo motivo si prospetta, dunque, infondato.

In concisione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro 300 (trecento) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2010

 

 

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