Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9430 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. I, 09/04/2021, (ud. 04/02/2021, dep. 09/04/2021), n.9430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11617/2019 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in Roma, via della

Giuliana 63, (fax 0364535069), presso lo studio dell’avvocato

Garatti Luciano, che lo rappresenta e difende per procura in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, (OMISSIS), Prefettura Brescia, Questura

Brescia;

– intimato –

avverso il provvedimento del GIUDICE DI PACE di BRESCIA, depositata

il 19/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/02/2021 da Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che:

1. – S.S., cittadino (OMISSIS), ricorre per due mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, nonchè del Prefetto e del Questore di Brescia, contro il decreto del 19 marzo 2019 con cui il Giudice di pace di Brescia ha convalidato il provvedimento di accompagnamento alla frontiera disposto dal Questore di Brescia a seguito di provvedimento di espulsione adottato dal Prefetto di Brescia ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 2, lett. b (permesso di soggiorno scaduto da più di sessanta giorni senza tempestiva richiesta di rinnovo).

2. – Le amministrazioni intimate non svolgono difese.

Considerato che:

3. – Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 2 e 2 bis, anche in relazione agli artt. 29-31 Cost. e art. 8 della Convenzione EDU, censurando il decreto impugnato per avere il Giudice di pace ignorato che il destinatario dell’espulsione aveva la famiglia in Italia, ivi compreso un figlio di sette anni che frequentava le scuole elementari e, tra l’altro, parlava solo l’italiano e non il serbo. Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 5 bis, del medesimo D.Lgs., censurando il decreto impugnato sul rilievo che il provvedimento di accompagnamento alla frontiera non era che la reiterazione di analogo provvedimento già annullato dal Giudice di pace a seguito di precedente opposizione.

ritenuto che:

4. – Il ricorso va accolto nei termini che seguono.

4.1. – E’ fondato il primo mezzo.

In materia di immigrazione, il giudice è tenuto a verificare l’esistenza del diritto del cittadino straniero al ricongiungimento familiare anche nel procedimento di convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera, trattandosi di evenienza potenzialmente ostativa all’esecuzione del provvedimento di espulsione ove adottato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. a e b (Cass. 23 novembre 2020, n. 26563; soluzione, questa, che si inquadra entro le linee tracciate da Cass. 5 giugno 2014, n. 12609). A tale principio la Corte intende dare continuità con la precisazione che segue. In effetti, la tutela del diritto alla vita privata e familiare dell’espulso, come prevista dall’art. 13, comma 2 bis, del Testo Unico Immigrazione, osta non già all’esecuzione del provvedimento di espulsione, i.e. all’accompagnamento alla frontiera: osta bensì, a monte, all’espulsione in se stessa considerata, ed in conseguenza di ciò all’accompagnamento, laddove il decreto espulsivo non si sia fatto carico di dar conto – sempre che il problema si ponga, ovviamente -della situazione familiare dell’interessato. E cioè, una volta chiarito che in sede di convalida del decreto di accompagnamento il giudice di pace è tenuto a verificare che il decreto di espulsione non sia affetto da manifesta illegittimità, ne segue che, ove ricorra invece detta illegittimità manifesta del decreto di espulsione, per essere stata omessa – a fronte delle deduzioni in proposito spiegate dall’interessato – la valutazione di cui all’art. 13, comma 2 bis, del testo unico immigrazione, lo stesso giudice non può convalidare, a valle, il decreto di accompagnamento.

Mette conto rammentare, difatti, che questa Corte dà una lettura ampia della norma, con l’affermazione del principio secondo cui, in tema di espulsione, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis – secondo il quale è necessario tenere conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonchè dell’esistenza dei legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine – si applica, con valutazione caso per caso, in coerenza con la direttiva comunitaria 2008/115/CE, anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorchè non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare, in linea con la nozione di diritto all’unità familiare delineata dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all’art. 8 CEDU e fatta propria dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 202 del 2013, senza distinguere tra vita privata e familiare, trattandosi di estrinsecazioni del medesimo diritto fondamentalmente tutelato dall’art. 8 cit., che non prevede graduazioni o gerarchie (così tra le altre Cass. 22 febbraio 2019, n. 5363).

Orbene, risulta nella specie che il ricorrente aveva chiesto, a verbale dell’udienza di convalida, che fosse considerata la sua situazione familiare, stante la presenza del coniuge e di un figlio minore in Italia. Il Giudice di pace ha pretermesso l’esame della richiesta e con essa della situazione familiare del ricorrente, fatto storico potenzialmente ostativo dell’esecuzione del provvedimento di espulsione, anche nell’ambito del sindacato, di cui si diceva, spettante al giudice della convalida.

4.2. – Il secondo motivo è assorbito.

5. – All’accoglimento del ricorso segue la cassazione senza rinvio del provvedimento impugnato, che deve essere annullato, non potendosi più convalidare il provvedimento espulsivo per l’avvenuto decorso del termine D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 13, comma 5, n. 2.

6. – Le spese dell’intero giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e, pronunciando nel merito, annulla il provvedimento impugnato; condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, quanto a questo giudizio di legittimità, ed in Euro 1.600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi quanto alla fase di merito.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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