Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9429 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. I, 09/04/2021, (ud. 04/02/2021, dep. 09/04/2021), n.9429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9978/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Alessandro

Manzoni, 26, presso lo studio dell’avvocato Sena Donato, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cristarella Raffaele;

– ricorrente –

contro

Prefettura di Reggio Calabria;

– intimato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di REGGIO CALABRIA,

depositata il 12/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/02/2021 da Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. – S.A. ricorre per due mezzi, nei confronti del Prefetto di Reggio Calabria, contro l’ordinanza del 12 novembre 2008 con cui il Giudice di Pace di Reggio Calabria ha respinto la sua opposizione avverso il decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera emesso nei suoi riguardi in quanto persona socialmente pericolosa.

2. – Non spiega difese l’amministrazione intimata.

Considerato che:

3. – Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. c) e della L. n. 1423 del 1956, art. 1, oggi del D.Lgs. n. 159 nel 2011, artt. 1,4 e 16, nonchè vizio di motivazione circa la sussistenza del requisito negativo della pericolosità sociale.

Secondo il ricorrente, il Giudice di pace sarebbe stato ritenuto socialmente pericoloso sulla base di una valutazione generica dei soli precedenti penali, senza tener conto del disposto normativo e senza valutare l’attualità della pericolosità sociale del destinatario del provvedimento di espulsione, considerato che esso S. era in cerca di un lavoro più stabile di quello di ambulante, che svolgeva, al fine di ricavarne una retribuzione sufficiente per una vita dignitosa e la formazione di una famiglia.

Inoltre, si aggiunge, il giudice avrebbe dovuto tener conto del lasso di tempo intercorso dalla commissione del reato, nonchè del fatto che il ricorrente era stato ammesso alla misura dell’affidamento in prova ai servizi sociali, tanto più che egli era in Italia da ben 22 anni, nel corso dei quali aveva avuto alcuni precedenti penali che, tuttavia, non potevano giustificare il diniego del permesso di soggiorno e la conseguente espulsione.

Il secondo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, non essendosi il Giudice di pace pronunciato sul rischio che il destinatario dell’espulsione potesse essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio nel paese di origine, nonostante nel ricorso introduttivo fosse stato dato ampio spazio ai continui resoconti della stampa nazionale e internazionale sulla situazione del Marocco tra il 2017 e i primi mesi del 2019.

ritenuto che:

4. – Il ricorso è inammissibile.

4.1. – E’ inammissibile il primo mezzo.

Il ricorrente, in breve, invoca la giurisprudenza di questa Corte in tema di pienezza del giudizio di pericolosità sotteso all’adozione del provvedimento di discussione, giurisprudenza che ben può riassumersi nella massima secondo cui, in tema di valutazione della ricorrenza dei presupposti di cui del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 2, lett. c), il Giudice di pace, per verificare l’appartenenza dello straniero ad una delle categorie di persone pericolose indicate dalla predetta norma, non può limitarsi alla valutazione dei suoi precedenti penali, ma deve compiere il suo esame in base ad un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni, estendendo il suo giudizio anche all’esame complessivo della personalità dello straniero, desunta dalla sua condotta di vita e dalle manifestazioni sociali nelle quali quest’ultima si articola, verificando in concreto l’attualità della pericolosità sociale (Cass. 31 luglio 2019, n. 20692).

Ma, nel caso di specie, il principio non può dirsi richiamato a proposito, giacchè, in realtà, prescinde totalmente dalla motivazione addotta dal Giudice di pace. Questi, difatti, lungi dal porsi in contrasto con il principio menzionato, ha in premessa evidenziato che il giudizio di pericolosità sociale deve tener conto della condotta pregressa del soggetto, del suo stato attuale e del suo inserimento, nonchè della probabilità che, in futuro, egli metta in pericolo quelle esigenze a salvaguardia delle quali è stata emessa la misura dell’espulsione.

Dopodichè il provvedimento impugnato ha osservato che il decreto di espulsione conteneva “una valutazione degli elementi sopra specificati” e consentiva “di cogliere se e su quali basi l’autorità amministrativa abbia effettuato l’indispensabile giudizio di comparazione di cui si è detto, in quanto il giudizio di pericolosità sociale è formulato in maniera non generica, ma sulla base di elementi di cui è dato riscontro oggettivo sia in ordine alla consistenza che alla abitualità”.

E’ dunque del tutto evidente che il Giudice di pace ha nel caso di specie adottato la tecnica della motivazione per relationem, tecnica senz’altro consentita, a condizione che – bastando richiamare la vasta giurisprudenza in generale formatasi sul tema della motivazione per relationem da parte del giudice d’appello: v. p. es. di recente Cass. 5 agosto 2019, n. 20883 – essa non si traduca in una semplice ed acritica adesione al provvedimento impugnato, senza la doverosa considerazione degli argomenti contro di esso rivolti.

Così stando le cose, allora, è agevole osservare che il ricorrente ha svolto una censura del tutto generica e come tale inidonea a privare l’ordinanza impugnata della sua base logico-giuridica, giacchè, avendo omesso di chiarire quale fosse il contenuto del provvedimento originariamente impugnato, del quale dal ricorso non emerge assolutamente nulla, ha parimenti omesso di offrire alla Corte di cassazione gli elementi necessari di giudizio, al fine di verificare se la relatio tra l’ordinanza in questione ed il provvedimento a monte dell’autorità amministrativa soddisfi o meno le esigenze motivazionali che il giudizio in punto di pericolosità sociale, nei termini poc’anzi illustrati, richiede.

Ed anzi, a fronte del giudizio di pericolosità espresso dal giudice di merito, sia pure attraverso la tecnica della motivazione per relationem, il ricorrente vi ha contrapposto elementi vaghi ed insignificanti: ed invero, al fine dell’esclusione della pericolosità sociale, non rileva evidentemente nè punto nè poco che il ricorrente sia “in cerca di un lavoro più stabile da cui ricavare una retribuzione sufficiente per una vita dignitosa che gli consenta di potersi formare una famiglia”, giacchè detta permanente ricerca testimonia soltanto che essa non ha avuto successo nel certo non breve periodo di 22 anni lungo i quali lo stesso ricorrente assume di essersi trattenuto sul territorio dello Stato, senza che sia stato prospettato alcun pur labile elemento dal quale desumere che detta ricerca si avvii a sorte migliore.

Quanto alla circostanza che il ricorrente sarebbe stato ammesso alla misura dell’affidamento in prova ai servizi sociali, è sufficiente osservare che l’affermazione è priva di qualunque base, e cioè il ricorso non accenna affatto agli elementi che dimostrerebbero siffatto assunto, tanto più che l’atto non contiene alcuna indicazione di documenti posti a fondamento di esso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

4.2. – Il secondo motivo è inammissibile.

Come si è visto, il ricorrente lamenta che il Giudice non si sia pronunciato sul rischio che il destinatario dell’espulsione potesse essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio nel paese di origine.

In realtà, sta di fatto che l’ordinanza impugnata non fa alcun cenno alla questione, che è pertanto da considerare nuova, mentre il ricorrente sostiene di aver “dato ampio risalto ai continui resoconti della stampa nazionale, internazionale e delle associazioni di volontariato… dai quali si evince che… in Marocco vi siano ancora delle zone assoggettate al controllo delle cellule terroristiche”, senza tuttavia che il ricorso, per un verso, soddisfi il requisito dell’autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, tanto più che neppure risulta che il ricorrente debba essere rimpatriato in una di quelle zone, e, per altro verso, chiarisca in qual modo la presenza di cellule terroristiche possa in concreto tradursi per un rischio normativamente rilevante per il ricorrente medesimo.

Il che, infine, rileva per il fatto che il concreto pericolo ostativo all’espulsione deve essere pur sempre prospettato dall’opponente (Cass. 8 aprile 2019, n. 9762).

5. – Nulla per le spese. Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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