Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9426 del 27/04/2011

Cassazione civile sez. III, 27/04/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 27/04/2011), n.9426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9146/2010 proposto da:

A.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dagli Avvocati COLA Giulio, FRANCHI MARIANO, giusta procura speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato CARLINI Ornella, giusta procura in procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 431/2009 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

emessa il 23/06/2009, depositata il 03/10/2009; R.G.N. 132/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/03/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato CARLINI ORNELLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. motivo

sub. 4.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. A.P. ha impugnato per cassazione, sulla base di cinque motivi illustrati con memoria, la sentenza della Corte d’appello di Ancona, depositata il 3.10.2009, con la quale è stata confermata la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la sua richiesta di riconoscimento, nei confronti del locatore C. P., dell’indennità per miglioramenti di cui all’art. 1592 c.c.. La Corte, dopo aver affermato conformemente a quanto dedotto nel primo motivo dall’appellante – che la riconsegna della cosa non andava intesa quale condizione di proponibilità della domanda, ma solo come presupposto di una pronuncia nel merito, ha affermato che la necessità di un chiaro consenso del locatore non poteva trovare un valido surrogato nella mera conoscenza delle innovazioni desunta da un’asserita indispensabilità dei lavori per conseguire la destinazione dell’immobile ad esercizio commerciale, circostanza che aveva indotto il locatore a sottoscrivere la D.I.A., nella quale, peraltro si prospettavano modifiche limitate ai divisori interni dei locali ed all’apertura di una finestra in precedenza chiusa; tanto più – aggiunge la Corte territoriale – che, per espressa pattuizione, era stato previsto l’obbligo, da parte del conduttore, di restituzione dell’immobile nello stesso stato in cui era stato preso in consegna, per cui “ogni aggiunta che non possa essere tolta in qualunque momento senza danneggiare i locali ed ogni altra innovazione non potrà essere fatta dal conduttore senza il preventivo consenso scritto del proprietario”, che nella specie non sussisteva e senza il quale doveva ritenersi applicabile il principio generale del citato art. 1592, secondo cui il conduttore non ha diritto all’indicata indennità, a nulla rilevando che il locatore acquisisca i miglioramenti.

2. Il C. ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso, non risultando l’Avv. Giulio Cola abilitato al patrocinio innanzi a questa S.C. e chiedendo, comunque, il rigetto dell’avversa impugnazione, come ribadito nelle note di replica alle conclusioni del P.G.. L’eccezione di cui al controricorso è infondata, in quanto il mandato è stato conferito senza espressa riserva di espletamento congiunto anche ad altro procuratore abilitato, l’Avv. Mariano Franco, che ha autenticato la sottoscrizione del ricorrente ed ha sottoscritto anch’egli il ricorso (argomento desumibile da Cass. n. 15478/08; 15718/06).

3.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce insufficiente o contraddittoria motivazione sulla circostanza decisiva, perchè la sentenza si “adagia unicamente sull’asserito presupposto” che i lavori fossero stati eseguiti per conseguire la destinazione dell’immobile ad esercizio commerciale, circostanza che avrebbe indotto il locatore a sottoscrivere la D.I.A.; mentre l’immobile era già destinato ad uso commerciale e il locatore avrebbe fatto predisporre le modifiche per consentire alla ricorrente di svolgervi l’attività di gastronomia, sottoscrivendo la D.I.A. il 4 agosto 2004.

3.2. Con il secondo motivo, la ricorrente,deduce violazione dell’art. 115 in rei agli artt. 116 e 117 c.p.c., negazione del diritto alla prova e violazione del principio del contraddittorio, perchè il giudice di appello avrebbe posto a fondamento della decisione la circostanza di cui al primo motivo, senza dare alla ricorrente la possibilità di fornire idonea prova contraria, avendo ritenuto ininfluenti le sue istanze istruttorie.

3.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su circostanza decisiva, lamentando l’erronea applicazione delle regole previste nel contratto di locazione, perchè avrebbe fondato la decisione sulla mancata prova del consenso scritto alle innovazioni previsto nel contratto tra le parti, senza tenere conto che il contratto era stato sottoscritto l’1.12.2004 mentre la denuncia d’inizio attività era stata sottoscritta il 4 agosto 2004: i lavori erano già stati eseguiti alla stipula; il conduttore aveva preso possesso dei locali già modificati e nessuna modifica successiva è stata effettuata e la restituzione è avvenuta nello stato in cui si trovavano.

3.4. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 1592 c.c., in ordine alla forma prevista per il consenso del locatore da tale disposizione. Sostiene che la redazione della denuncia d’inizio attività, corredata dall’elencazione dei lavori e dalle planimetrie relative alla trasformazione dell’immobile, depositata dal proprietario per lavori eseguiti e pagati dal futuro conduttore si concreta in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le innovazioni integrando il consenso di cui all’art. 1592 c.c., comportando cognizione dell’entità anche economica e della convenienza delle opere. Aggiunge che detta denuncia integrerebbe, comunque, il consenso scritto contrattualmente previsto, non essendo previsto alcuna forma tipica e sacramentale per la sua espressione.

3.5. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta omessa insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo, nullità della sentenza per omessa pronuncia, in dispositivo, sul motivo di appello, accolto in motivazione, relativo all’inammissibilità in rito della domanda di miglioramenti, erroneamente affermata dal primo giudice, e senza motivare nè decidere in alcun modo in ordine alle spese del primo grado.

4. Il ricorso non merita accoglimento.

4.1. Secondo l’ordine logico delle questioni, vanno esaminati in primo luogo il terzo ed il quarto motivo, che possono trattarsi congiuntamente data l’intima connessione. Essi non colgono nel segno, non sussistendo nè il vizio motivazionale di cui al terzo motivo, nè la violazione di legge lamentata nel quarto. Invero, nella sentenza impugnata la questione della forma di manifestazione del consenso del locatore ai miglioramenti viene risolta sulla base dell’interpretazione del contratto di locazione tra le parti che prevede l’obbligo del conduttore di restituire l’immobile nello stato in cui era stato preso in consegna e richiede “il preventivo consenso scritto del proprietario” per l’effettuazione delle innovazioni inamovibili. Come noto, in tema di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità, oltre che in ipotesi di motivazione inadeguata, in caso di violazione delle norme ermeneutiche; ne consegue che è inammissibile la critica della ricostruzione del contenuto della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si risolva nella proposta di un’interpretazione diversa (Cass. n. 4178/07; 13579/04;

641/03). Nella specie, non viene censurato alcun canone ermeneutico, ma il ricorrente si limita a proporre una diversa ricostruzione delle risultanze di causa, nella quale il consenso scritto alle innovazione dovrebbe desumersi dalla denuncia d’inizio attività sottoscritta dal locatore. Orbene la sentenza d’appello ha escluso la sussistenza del consenso scritto alle innovazioni, contrattualmente previsto ed ha in effetti inquadrato la richiamata D.I.A. in un semplice sintomo dell’acquisizione dei miglioramenti da parte del locatore, inidonea ad integrare il chiaro consenso previsto dall’art. 1592 c.c. (Cass. n. 16649/10; 2494/09; 6094/06). L’indicata ricostruzione della volontà delle parti esclude la possibilità di dare rilievo al consenso tacito che dovrebbe desumersi da detta denuncia, secondo quanto prospettato nella prima parte del quarto motivo. Senza contare che non è stato specificamente impugnato il punto della motivazione in cui la Corte territoriale ha affermato che la D.I.A. prospetta modifiche limitate rispetto a quelle per le quali si richiedono i miglioramenti.

4.2. Così ricostruiti il fondamento e la portata della motivazione della sentenza impugnata, non colgono nel segno neanche il primo ed il secondo motivo, anch’essi da trattare congiuntamente, perchè entrambi incentrati sull’asserita decisività della circostanza che i lavori fossero stati eseguiti per conseguire la destinazione dell’immobile ad esercizio commerciale, circostanza che avrebbe indotto il locatore a sottoscrivere la D.I.A.. Diversamente da quanto opina la parte ricorrente, infatti, la finalità che avrebbe indotto il locatore a sottoscrivere la D.I.A. non si rivela per niente decisiva rispetto al nucleo centrale della decisione, consistente nell’inidoneità di detta dichiarazione ad integrare il consenso del locatore ai miglioramenti, stante la previsione contrattuale della forma scritta di tale consenso, da formularsi univocamente e specificamente rispetto alle innovazioni inamovibili oggetto d’indennità; mentre l’invocata denuncia, peraltro limitata solo ad alcuni lavori, poteva rappresentare unicamente un indizio dell’acquisizione degli stessi da parte del locatore. La seconda censura, inoltre, è intrinsecamente inammissibile, per mancanza di autosufficienza, non indicando quali sono le richieste istruttorie non ammesse e dove, come e quando siano state dedotte nei precedenti gradi.

4.3. Anche il quinto motivo è infondato. La Corte territoriale ha affermato – conformemente a quanto dedotto nel primo motivo dall’appellante – che la riconsegna della cosa non andava intesa quale condizione di proponibilità della domanda, ma solo come presupposto di una pronuncia nel merito. Ciò significa che non vi è stata omissione di pronuncia sul primo motivo di appello della odierna ricorrente. La mancata menzione di tale accoglimento nel dispositivo non integra l’indicato vizio, per la semplice ragione che detto accoglimento non è stato idoneo a sovvertire la decisione di primo grado, stante la ritenuta (e qui confermata) infondatezza del secondo motivo relativo alla riconvenzionale relativa all’indennità per miglioramenti. Nè è fondata, per le ragioni ora esposte, la censura relativa al governo delle spese di appello, regolate espressamente (e correttamente) in relazione alla soccombenza dell’odierna ricorrente.

Ne deriva il rigetto del ricorso. Anche le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2011

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