Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9422 del 21/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2010, (ud. 24/02/2010, dep. 21/04/2010), n.9422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 8306-2008 proposto da:

T.E., elettivamente domiciliato in ROMA, via GIORGIO

SCALIA 12, presso lo studio dell’avvocato GATTI MARCO, rappresentato

e difeso dall’avvocato FAUGNO FABIO MASSIMO come da procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, via AMITERNO

3, presso lo studio dell’avvocato NOTARMUZI STEFANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato CINQUE LUIGI come da procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 855/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 21/08/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/02/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

udito l’Avvocato FAUGNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

P.G. impugnava dinanzi al giudice del lavoro di Pescara il licenziamento irrogatogli da T.E., titolare della ditta Raver Ascensori, di cui era stato dipendente. Il Tribunale, ritenuto il recesso ontologicamente disciplinare lo dichiarava illegittimo non essendo stata espletata la procedura di contestazione prevista dall’art. 7 dello statuto dei lavoratori.

Proponeva appello il T. e lamentava che, essendo il recesso originato da ingiurie e minacce rivoltegli dal dipendente, per le quali costui era stato condannato dal giudice penale, avrebbe dovuto essere ravvisata la giusta causa che legittimava l’immediata cessazione del rapporto. In secondo luogo contestava la mancata considerazione all’aliunde perceptum ai fini del risarcimento del danno.

La Corte di appello di L’Aquila con sentenza 21.6-21.8.06 rigettava l’impugnazione ritenendo corretta la motivazione della sentenza del Tribunale.

Proponeva ricorso il T. deducendo: 1) violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 7 e 18 e dell’art. 2119 c.c., con il quesito: in caso di grave insubordinazione del lavoratore che comporti irrimediabile lesione dell’elemento della fiducia, il datore di lavoro è legittimato ad operare il cd. licenziamento in tronco senza il necessario preventivo rispetto della procedura disciplinare?”; 2) insufficiente e contraddittoria motivazione “in relazione all’art. 1223 c.c. e art. 18 dello statuto”, in relazione alla mancata considerazione all’aliunde perceptum.

Si difendeva con controricorso il P., in primis deducendo l’inammissibilità del ricorso perchè notificato oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della sentenza impugnata.

Il consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c. che è stata comunicata al Procuratore generale ed è stata notificata ai difensori costituiti.

Preliminarmente deve rigettarsi l’eccezione di tardività e di conseguente inammissibilità del ricorso.

Parte ricorrente, ricevuta la notifica della sentenza di secondo grado il 23.1.08, richiese la notifica del ricorso per cassazione due volte: il 13.3.08 e, in ragione dell’esito negativo, il 26.3.08. In questa seconda occasione la notifica (da effettuarsi presso il domicilio eletto dell’intimato) andò a buon fine, tanto che il P. notificò il suo controricorso. La notifica del ricorso fu tuttavia richiesta non entro il sessantesimo giorno (ovvero entro il 25.3.08, ultimo giorno utile, essendo il 23 e 24 marzo giorni festivi), ma il sessantunesimo, in violazione del termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2. In ragione di tale successione degli eventi il consigliere relatore ha segnalato al Collegio la eventuale tardività della notifica.

Il difensore del ricorrente successivamente ha chiarito le modalità del primo tentativo di notifica, effettuato a mezzo posta e non andato a buon fine, documentando che l’Ufficiale giudiziario indirizzò il plico contenente l’atto non ai difensori presso cui il P. aveva eletto domicilio, ma direttamente a lui personalmente, seppure presso l’indirizzo stradale di quelli, ove, ovviamente egli risultò sconosciuto. La causa dell’esito negativo fu, dunque, un errore materiale del personale UNEP di (OMISSIS), che sulla busta contenente l’atto notificando trascrisse solo il nome del destinatario, ma non quello del domiciliatario, che pure era stato diligentemente indicato dal richiedente (si veda la certificazione dell’Ufficiale giudiziario versata in atti dal difensore).

Al riguardo la giurisprudenza delle Sezioni unite ritiene che in tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio. Ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempre che la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Sezioni unite 24.7.09 n. 17352).

Nel caso di specie deve ritenersi integrata la fattispecie considerata dalle Sezioni unite, atteso che, non appena conosciuto l’esito negativo del tentativo di notifica la difesa del T. richiese tempestivamente una nuova notifica (che andò a buon fine) (si veda la già menzionata documentazione).

La notifica dell’atto, pertanto, può essere considerata tempestiva.

E’, invece, infondato il ricorso.

Quanto al primo motivo, deve ritenersi corretto il principio applicato dalla Corte di merito. E’, infatti, giurisprudenza consolidata che il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 2 e 3 circa la contestazione dell’addebito ed il diritto di difesa (v. da ultimo Cass. 13.8.07 n. 17652).

A nulla rileva, ovviamente, che il comportamento del dipendente sia stato ritenuto reato dal giudice penale, atteso che tale evenienza, se vale a qualificarne l’illiceità, non esclude che al lavoratore incolpato debba essere contestato l’accaduto onde consentirgli di dare le giustificazioni che egli assume rilevanti nell’ambito del rapporto di lavoro.

Quanto al secondo motivo, nonostante l’intestazione al vizio di motivazione, si sottopone alla Corte una questione di diritto in materia di determinazione del risarcimento ex art. 18 dello statuto dei lavoratori e di considerazione dell’aliunde perceptum, senza la formulazione di alcun quesito di diritto richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c..

Il ricorso è, dunque, infondato e deve essere rigettato.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 30.00 per esborsi ed in Euro 2.000 (duemila) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2010

 

 

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