Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9422 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9422 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA
sul ricorso 8723-2014 Proposto da:
GIORGIO GIACINTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
ACQUEDOTTO PAOLO 22, presso il Sig. BIAGIO MARINFU
rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA IUTA MOSCIONI giusta
procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO

DF.T ?ECONOMIA E

DET .F, FINANZE

80415740580, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

55%

Data pubblicazione: 08/05/2015

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta
e difende ope legis;
– controrkorrente avverso il decreto n. 1793/2013 della CORTE D’APPELT O di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI.

Ric. 2014 n. 08723 sez. M2 – ud. 28-01-2015
-2-

PERUGIA del 4/02/2013, depositata il 30/09/2013;

Svolgimento del giudizio
Giorgio Giacinto con ricorso del 15 ottobre 2010 proponeva domanda ai sensi
della legge n. 89 del 2001 per ottenere l’equa riparazione del danno sofferto a
causa della durata non ragionevole del giudizio amministrativo svoltosi

ricorso del 16 gennaio 2001 e conclusosi con sentenza dell’ 8 luglio 2010.
Con il procedimento amministrativo veniva reclamato il diritto alla
corresponsione della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sui crediti
pensionistici. La Corte dei Conti respingeva il ricorso.
Era chiesta la riparazione del danno scaturito dalla violazione dell’art. 6 della
Convenzione della salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali ratificata in Italia con legge n. 848 del 1955 in conseguenza
,

dell’eccessiva durata ‘ del processo

di anni 9 e mesi 6 e si chiedeva il

riconoscimento di un indennizzo corrispondente al superamento della
ragionevole durata. Complessivamente l’indennizzo veniva quantificato in C.
_

16.250,00 oltre interessi legali e con vittoria delle spese giudiziali.
Si costituiva il Ministero dell’Economia e delle Finanze, deducendo che nel
caso concreto poteva riconoscersi un eccesso di durata pari ad anni 3. Sul
quantum veniva evidenziato che la stessa parte aveva aggravata la durata della
procedura omettendo la notifica del ricorso all’INPDAP

_

e rendendo

necessaria l’integrazione del contraddittorio. Veniva, altresì, evidenziato che il
procedimento presupposto per sua natura doveva ricondursi alla categoria dei
procedimenti seriali con incidenza sul quantum.
La Corte di appello di Perugia con decreto n. 1793 del 2023 ER. accoglieva
la domanda del ricorrente riducendo, tuttavia,

di un anno la durata
I

dinanzi alla Corte dei Conti per la regione Lazio prodotto dallo stesso con

irragionevole del giudizio presupposto indennizzabile a soli cinque anni e sei
mesi. Compensava per la metà le spese del giudizio. Secondo la Corte di
Perugia il periodo di ritardo del giudizio presupposto doveva indicarsi in
cinque anni e mesi sei perché parte della durata del processo doveva imputarsi
della costituzione

dell’amministrazione della Difesa si era dovuto procedere alla integrazione
del contraddittorio nei confronti dell’INPDAP. In relazione a ciò, riteneva la
Corte distrettuale, doveva addebitarsi al ricorrente un periodo di ulteriore
durata che si stimava congruo indicare in un anno.
La cassazione di questo decreto è stata chiesta da Giorgio Giacinto per due
motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con
controricorso.
Motivi della decisione

a

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma
semplificata.
1.= Con il primo motivo Giacinto Giorgio lamenta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 comma 1 e 3 della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6
par. 1 della CEDU in relazione all’art. 360 n. 3 cpc., nonché vizio di
motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 cpc. Secondo il ricorrente,
erroneamente la Corte distrettuale avrebbe negato al ricorrente il diritto
all’equo indennizzo per il prolungarsi del giudizio, anche, soltanto, per un
anno di ritardo, posto che alla parte non poteva essere attribuita alcuna
particolare situazione che avesse determinato il prolungamento del giudizio,
né tale poteva considerarsi la necessità di integrazione del contraddittorio nei
confronti dell’INPDAP, posto che, nel caso concreto, non era dato rilevare
2

al comportamento del ricorrente in quanto a seguito

alcuna condizione soggettiva di abuso del processo che giustificasse l’assenza
di paterna d’animo. Avrebbe errato, la Corte distrettuale, sempre secondo il
ricorrente, anche nel quantificare il danno non patrimoniale subito dal
ricorrente,

posto che ha inteso discostarsi dai parametri comunemente

1.1.= Il motivo è infondato sotto la duplice articolazione.
La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, in tema di equa riparazione per la
durata irragionevole del processo, espressamente impone di tener conto anche
del comportamento delle parti nel valutare il rapporto tra la complessità della
causa ed il tempo occorso per la sua definizione. Non è, perciò, configurabile
alcun errore di diritto nel fatto in sè che la Corte d’appello abbia vagliato se,
ed in che misura, i rinvii nella trattazione della causa siano stati influenzati da
_

scelte processuali della parte. La relativa valutazione è frutto di accertamenti
in fatto, che competono unicamente alla Corte territoriale, e costituisce perciò
esplicazione di un giudizio di fatto, che, come tale, si sottrae a possibili
censure in sede di legittimità, ove non è consentito procedere ad un esame
diretto della documentazione versata in atti e delle risultanze del processo, né,
dunque, rivedere i giudizi di merito al riguardo formulati dalla Corte
d’appello, ove congruamente e logicamente motivati. Nella specie, il giudice
di merito ha addebitato al comportamento della parte un ritardo di un anno
determinato dalla esigenza di provvedere alla notifica del ricorso introduttivo
del giudizio stesso ai litisconsorti necessari pretermessi, e, pertanto,
correttamente ha tenuto conto, ai fini del computo della durata del processo
stesso, del dispendio temporale cagionato da detta omissione.
1.1.a).= L’entità della pretesa, limitata solo agli accessori sulla sorte capitale
3

applicati e riconosciuti dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria.


costituita da credito pensionistico; la natura della controversia ricollegati ai
procedimenti seriali, l’assenza di istanze di fissazione di udienza o istanze di
significativo interesse alla sollecita definizione del giudizio sono ragioni
sufficienti a giustificare la fissazione del criterio dell’equa riparazione nella
somma di C. 500, per ogni anno di ritardo. Come ha avuto modo di affermare

questa Corte, in altra occasione, che qui si condivide, in tema di equa
riparazione, ai sensi della 1.24 marzo 2001, n.89, per violazione del diritto alla
ragionevole durata del processo, il giudice, nel determinare la quantificazione
del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di
sotto del livello di “soglia minima” là dove, in considerazione del carattere
bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo
presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del
richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata, renderebbe, il risarcimento
del danno non patrimoniale, del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità
del pregiudizio sofferto.
2.= Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 91 comma 1 cpc. e 92 comma 2 cpc., in relazione
all’art. 360 n. 3 cpc. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione in
relazione all’art. 360 n. 5 cpc. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale,
avrebbe operato la compensazione per la metà delle spese giudiziali senza
fornire alcuna motivazione e, per altro, vanificando la soccombenza

dell’Amministrazione convenuta che, invece, doveva essere adeguatamente
riconosciuta, anche, sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese
per non rendere vuota la tutela accordata.
2.1.= Il motivo è infondato.
4

4
,

Va qui osservato che adeguate, sufficienti e condivisibili sono le ragioni
secondo le quali la Corte distrettuale ha ritenuto di compensare la meta delle
spese giudiziali. Come ha avuto modo di evidenziare la sentenza impugnata,
infatti, nel caso concreto, le spese giudiziali dovevano compensarsi per la
meta e la metà restante posta a carico della parte resistente, in ragione della

netta differenza tra quanto richiesto (ed al riguardo si deve tener conto della
domanda inziale) e quanto liquidato. E’ sufficiente evidenziare, per altro, che
la decisione assunta dalla Corte di Perugia in merito alla liquidazione delle
spese processuali è perfettamente coerente con i principi espressi da questa
stessa Corte in altre occasioni, secondo i quali la compensazione delle spese
processuali spetta al potere discrezionale del giudice del merito, che può
disporla nel caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano altre
eccezionali ragioni esplicitate in motivazione e tale onere, nel caso in esame, è
.

stato assolto.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio della
soccombenza ex art. 91 cpc., condannato al pagamento delle spese che
verranno liquidate con il dispositivo.
Il Collegio da atto che ai sensi dell’art. 13 comma 1 del DPR n. 113 del 2002
non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio di cassazione che liquida in E. 500,00 oltre alle spese
prenotate a debito.
5

4

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI – 2 Sezione civile

della Corte suprema di cassazione, il 28 giugno 2015.

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