Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9421 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9421 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA
sul ricorso 8722-2014 proposto da:
CAMPANELLA CARLO, GATTO ANTONIO, LIBERATI
AGOSTINO, CAPRINOZZI VITTORIO, SPOSE1 .1.1 CLAUDIO,
LEDDA ANTONELLO, MARTUCCI IGNAZIO, RAZZANO
SIMONA, BALDASSARRE FRANCESCO, NATTA GIOVANNI,
NATTA PAOLO, CETTOMAI DOMENICO, PAIVIPANA LAURA,
PINNA MARIO, RAZZANO CRISTINA, elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA ACQUEDOTTO PAOLO 22, presso il Sig. BIAGIO
MARINET.11, rappresentati e difesi dall’avvocato ANNA RITA
MOSCIONI giusta procure speciali in calce al ricorso;

– ricorrenti –

Data pubblicazione: 08/05/2015

contro

MINISTERO

DF.T .I ;ECONOMIA E DELLE FINANZE

80415740580, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente
dotniciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta

– controricorrente – ricorrenti incidentali –

avverso il decreto n. 1859/2013 della CORTE D’APPELLO di
PERUGIA dell’11/03/2013 depositato il 02/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI.

Ric. 2014 n. 08722 sez. M2 – ud. 28-01-2015
-2-

e difende ope legis;

Svolgimento del processo
Caffaz Mara, Natta Giovanni, Natta Paolo (eredi di Natta Renzo), Liberati
Agostino, Campanella Carlo, Caprinozzi Vittorio, Sposetti Claudio, gli eredi
di Razzano Guido: (Pampana Laura, Razzano Cristina, Razzano Simona),
Ledda Antonello, Pinna Mario, Gatto Antonio, BaldassaiTe Francesco,

Cettomai Domenico, Martucci Ignazio con separati ricorsi, successivamente
riuniti dalla Corte di Appello di Perugia, chiedevano la declaratoria di
condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze ai sensi dell’art. 2 e
segg. della legge n. 89 del 2001 all’equa riparazione del danno sofferto a
causa dell’irragionevole durata del processo instaurato dinnanzi al Tar del
Lazio il 3 marzo 1994 per il riconoscimento del proprio diritto ad ottenere la
,

corresponsione delle differenze retributive a titolo di arretrati maturati ai sensi

,

dell’art. 1 della legge n. 23 del 1993 oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Precisavano i ricorrenti che il procedimento era stato definito con sentenza del
Tar n. 13365/09 comportante il rigetto del ricorso. Che il processo aveva
avuto una durata di anni 15 e mesi 9.
Si costituiva il Ministero dell’Economia e delle Finanze

e chiedeva la

declaratoria di incompetenza e il rigetto della domanda trattandosi di un
ricorso collettivo in cui la parte tentava di lucrare un qualche vantaggio, senza
avere una peculiare e personale ansia in ordine alla sorte dello stesso giudizio
ed, in ogni caso, chiedeva la determinazione dell’indennizzo richiesta in via

_
,

equitativa.
La Corte di Appello di Perugia con decreto n. 1853 del 2013 ER. accertava
l’ammissibilità dei ricorsi e la durata irragionevole del processo presupposto,
riduceva, però, l’eccedenza di durata del giudizio presupposto a soli due anni
1

e undici mesi di ritardo in ragione della sentenza del Consiglio di Stato n. 973
del 24 febbraio 2000, che aveva riconosciuto in caso analogo la spettanza
delle differenze ,retributive soltanto

dal I gennaio 1992, e attribuendo il

pagamento delle competenze arretrate solo a coloro che alla data di entrata in
vigore del decreto legge n. 5 del 7 gennaio 1992 avessero avuto favorevoli

sentenze di merito. Insomma, nel caso concreto l’irragionevole durata del
processo presupposto andava calcolata dalla presentazione del ricorso al Tar
alla data del 24 febbraio 2000,

con la quale veniva meno qualsivoglia

situazione di danno in concreto indennizzabile, stante la completa assenza di
chances di successo e correlato paterna in attesa della decisione. La
liquidazione del danno, a sua volta, veniva fissata per ciascun ricorrente nella
9

misura di C. 1.458,00 in ragione di C. 500 per ogni anno di ritardo tenuto
conto delle ulteriori circostanze desumibili dagli atti
presentazione del ricorso in forma collettiva

del ricorso ovvero la

suscettibile di indurre una

minore personalizzazione della controversia.
La cassazione di questo decreto è stato chiesto da Natta Giovanni, Natta Paolo
(eredi di Natta Renzo), Liberati Agostino, Campanella Carlo, Caprinozzi
Vittorio, Sposetti Claudio, gli eredi di Razzano Guido: (Parnpana Laura,
_

Razzano Cristina, Razzano Simona), Ledda Antonello, Pinna Mario, Gatto
Antonio, Baldassarre Francesco, Cettomai Domenico, Martucci Ignazio, con
ricorso affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha
resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma
semplificata.
2

_

A

i

1.= Con il primo motivo del ricorso in esame Natta Giovanni, Natta Paolo
(eredi di Natta Renzo), Liberati Agostino, Campanella Carlo, Caprinozzi
Vittorio, Sposetti Claudio, gli eredi di Razzano Guido: (Panapana Laura,
Razzano Cristina, Razzano , Simona), Ledda Antonello, Pinna Mario, Gatto

lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 corruna 1 e 3 della
legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6 par. 1 della CEDU in relazione all’art. 360 n.
3 cpc., nonché vizio di motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 cpc. Secondo
i ricorrenti, avrebbe errato la Corte di Perugia nel ridurre il periodo di ritardo
del processo presupposto a due anni e undici mesi, ritenendo che il
consolidarsi nel senso contrario agli auspici dei ricorrenti dell’orientamento

della Corte costituzionale con l’ordinanza n. 331 del 1999 e con la pronuncia

del Consiglio di Stato del 24 febbraio 2000 avrebbe segnato il discrimen
rispetto al quale era individuabile il venir meno di qualsivoglia situazione di
danno in concreto indennizzabile, stante la completa assenza di chances

di

successo e correlato paterna d’animo in attesa della decisione, avrebbe errato
si diceva, perché l’ordinanza della Corte costituzionale non avrebbe affatto
condizionato l’esito del giudizio presupposto, considerato che i ricorrenti non
appartenevano alla categoria indicata dalla Corte costituzionale, essendo tutti
sottoufficiali delle Forze armate (Esercito, Marina ed Aeronautica).
1.1.=I1 motivo è infondato.
Questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 19478 del 2014) che in
caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto
all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del
processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o
3

Antonio, Baldassarre Francesco, Cettomai Domenico, Martucci Ignazio

soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata i riflessi
psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni coinvolte nel
processo, ad eccezione del caso in cui il soccombente abbia promosso una lite
temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire

dunque, in difetto di una condizione soggettiva di incertezza. Ora, nella
specie, la Corte d’appello di Perugia ha correttamente chiarito che, considerate
l’ordinanza n. 331 del 1999 della Corte costituzionale e la sentenza n. 973 del
2000 del Consiglio di Stato,

che avevano riconosciuto in casi analoghi a

quello oggetto del giudizio presupposto, la spettanza delle differenze
retributive, soltanto, a partire del 1 gennaio 1992, la domanda dei ricorrenti, a

far data, quantomeno

.

attuazione alla decisione della Corte costituzionale, risultava coltivata nel

dalla sentenza del Consiglio di Stato che dava

consapevole assunto che la prospettata questione di costituzionalità, già
oggetto di pronuncia, era destinata a non essere accolta con conseguente
esclusione di ogni possibilità di successo dell’iniziativa giudiziaria. Con la
conseguenza che il consolidarsi, nel senso contrario agli auspici dei ricorrenti,
dell’orientamento della Corte costituzionale e la stessa pronuncia del
Consiglio di Stato del 24 febbraio 2000, non potevano che segnare il
diserimine rispetto al quale era individuabile il venir meno di qualsivoglia
situazione di danno in concreto indennizzabile.
1.1.a) Tale valutazione, per altro, si sottrae alle censure dei ricorrenti, sia sul
piano della denunciata violazione di legge, sia su quello della motivazione
perché

se

una domanda

viene

proposta prospettando

l’illegittimità

costituzionale della disciplina applicabile e se tale pro spettazione viene
4

proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e,

disattesa da parte del giudice delle leggi, la valutazione del giudice di merito,
secondo cui la protrazione del giudizio presupposto successivamente alla detta
pronuncia non ha determinato un paterna d’animo suscettibile di indennizzo,
appare del tutto plausibile e ragionevole, e non contrastante con gli

consapevolezza, da parte di chi agisce in equa riparazione, della infondatezza
della propria pretesa nel giudizio presupposto.
Pertanto, correttamente, nella specie, la Corte distrettuale, nel calcolare
un’eccessiva durata del processo presupposto ha tenuto conto del periodo che
va dalla data di presentazione del ricorso (3 marzo 1994) sino all’epoca della
sentenza del Consiglio di Stato del 24 febbraio 2000, riconoscendo
,
,

un’eccedenza pari a due anni e 11 mesi, escludendo il periodo successivo alla
sentenza di cui si è appena detto.
2.= Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 comma 1 e 3 della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6
par. 1 della CEDU nonché degli artt. 1226 e 2056 cc., in relazione all’art. 360
n. 3 cpc., nonché vizio di motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 cpc.
Secondo i ricorrenti, erroneamente la Corte distrettuale avrebbe ridotto al
minimo l’indennizzo liquidando C. 500 per ogni anno discostandosi senza
ragione dai parametri

comunemente

applicati e riconosciuti

dalla

giurisprudenza nazionale e comunitaria.
2.1.= Il motivo è infondato.
Premesso che, nel caso di specie, la rilevanza dello svolgimento di attività
sollecitatoria quale sintomo dell’esistenza di un interesse alla definizione del
giudizio di merito deve ritenersi limitata al profilo dell’individuazione del
5

_

orientamenti espressi dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla

criterio di liquidazione del pregiudizio non patrimoniale accertato, deve
osservarsi che la Corte d’appello si è attenuta al criterio di liquidazione che
viene solitamente adottato con riferimento alle controversie amministrative di
lunga durata, pari a 500,00 Euro per anno di ritardo, e che tale scelta è stata

mancanza di un margine di aspettativa di accoglimento della domanda nel
giudizio presupposto; profilo, quest’ultimo, di per sè idoneo a giustificare una
riduzione dell’indennizzo rispetto ai criteri ordinari di liquidazione (750,00
Euro per i primi tre armi di ritardo e 1.000,00 Euro per ciascuno degli anni
successivi), ed immune da critiche specifiche, e, comunque, ragionevolmente
valorizzato dalla Corte di appello in considerazione dell’oggetto della

domanda e del contesto normativo e giurisprudenziale nel quale la stessa è

stata proposta.
3.— Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa
applicazione degli artt. 91 comma 1 cpc. e 92 comma 2 cpc., in relazione
all’art. 360 n. 3 cpc., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione in
relazione all’art. 360 n. 5 cpc. Avrebbe errato la Corte di Perugia, secondo i
ricorrenti, nell’aver compensato per la metà le spese del giudizio, posto che
quella compensazione supera in percentuale il divario tra la misura
dell’indennizzo domandata dai ricorrenti e quello liquidato pari ad E. 500 per
anno di ritardo.
3.1. — Anche questo motivo è infondato atteso che in sede di legittimità, per

,

quanto riguarda il regolamento e la liquidazione delle spese, possono
denunciarsi solo violazioni del criterio della soccombenza (divieto di
condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa) o liquidazioni
6

dalla Corte d’appello motivata essenzialmente nella considerazione nella

che non rispettino le tariffe professionali (con obbligo in tal caso di indicare le
singole voci contestate in modo da consentire il controllo di legittimità senza
necessità di ulteriori indagini), mentre rientra nel potere discrezionale del
giudice di merito la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o

compensato le spese processuali in considerazione della parziale soccombenza
dei ricorrenti senza violare, quindi, il principio di cui all’art. 91 c.p.c.
In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio della
soccombenza ex art. 91 cpc., condannati in solido al pagamento delle spese
del presente giudizio di cassazione che verranno liquidaté.con il dispositivo.
Il Collegio da atto che, ai sensi dell’alt. 13 comma l del DPR n. 113 del 2002,
t

non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente

2

dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13
PQM
J

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle
spese del presente giudizio di cassazione che liquida in C. 500,00 oltre alle
spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI – 2 Sezione civile
della Corte suprema di Cas 7ione, il 28 giugno 2015.

parziale delle spese stesse. Nel caso specifico La Corte distrettuale ha

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