Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9419 del 27/04/2011

Cassazione civile sez. III, 27/04/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 27/04/2011), n.9419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29702/2006 proposto da:

V.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA OMBRONE 12, presso lo studio dell’avvocato MORONI Ignazio,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato EGIDI ALDO

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

HDI ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona del suo procuratore

speciale P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COSTANTINO MORIN 45, presso lo studio dell’avvocato ARDITI DI

CASTELVETERE Michele, che la rappresenta e difende giusta delega in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2081/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Terza Civile, emessa il 12/7/2005, depositata il 12/09/2005,

R.G.N. 115/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato IGNAZIO MORONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il 5.7.1992 la cinquantaquattrenne A.P. fu investita dall’autovettura condotta dalla proprietaria C. A. ed il (OMISSIS) morì per le lesioni che aveva riportato.

Con sentenza n. 12056 del 2001 il tribunale di Milano, decidendo sulla domanda proposta dal coniuge della defunta V.R., condannò all’integrale risarcimento la C. e la HDI (già BNC) Assicurazioni s.p.a..

2.- La sentenza è stata parzialmente riformata dalla corte d’appello di Milano che, in accoglimento del gravame della società assicuratrice, ha ritenuto che il comportamento della A. avesse causalmente concorso all’evento per il 70%, conseguentemente ritenendo pienamente satisfattiva la somma di L. 200.000.000 versata dalla predetta società di assicurazioni al V. nel dicembre del 1993 (tra il 6 ed il 13.12.1993) e condannando quest’ultimo alla restituzione di Euro 313.691,97, ricevuti in eccedenza il 2.2.2002 in esecuzione della sentenza di primo grado, compensate le spese.

3.- Avverso detta sentenza ricorre per cassazione V.R., affidandosi a tre motivi cui resiste con controricorso la HDI Assicurazioni s.p.a..

L’intimata C.A. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Infondatamente la controricorrente prospetta l’inammissibilità del ricorso per difetto dei requisiti dei cui all’art. 366 bis c.p.c., non essendo la disposizione applicabile ai ricorsi avverso sentenze pubblicate prima del 2.3.2006.

2.- Col primo motivo è denunciato ogni possibile tipo di vizio della motivazione sulla determinazione dell’apporto causale della stessa vittima, che secondo la corte d’appello aveva attraversato la strada “a passo svelto”, sbucando dai veicoli in sosta sul piazzale del cimitero dal quale proveniva ed impegnando la carreggiata sita a circa m. 1,5 dalle auto in sosta, ben prima del passaggio pedonale e con l’ombrello aperto per la pioggia, senza guardare per iniziare l’attraversamento del viale.

2.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

Va premesso che il periodo che si legge a cavallo delle pagine 9 e 10 della sentenza, che il ricorrente a pagina 48 del ricorso considera inconcludente e confuso, è bensì contorto ma tuttavia chiaro.

La frase “in quelle circostanze, semmai fosse stata effettivamente avvistatile già nelle adiacenze di autoveicoli in parcheggio la presenza della A., essa avrebbe ben potuto essere correlata ad un suo proposito di salirvi, prima ed anzichè all’intenzione di proseguire per procedere subito e sbadatamente all’attraversamento del viale, trovandosi ancora alla distanza di circa m. 8 dal primo passaggio pedonale” significa infatti che l’automobilista, quand’anche avesse potuto avvistare la A. che camminava nelle adiacenze dei mezzi parcheggiati, ben avrebbe potuto pensare che ella intendesse salire a bordo di uno di quei mezzi anzichè proseguire per effettuare l’attraversamento, tanto più che ancora non si trovava all’altezza delle strisce pedonali.

La ricostruzione dell’incidente effettuata alle pagine da 6 a 11 della sentenza è spiegata in tutti i suoi passaggi logici, da ampio conto delle risultanze processuali considerate rilevanti, chiarisce le ragioni per le quali sono state disattese le difformi prospettazioni ed è connotata da un iter argomentativo approfondito, analitico ed assolutamente coerente.

Quanto all’affermazione secondo la quale la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che la velocità della vettura era stata stimata in 35,65 km/h dal perito di parte attrice, che la aveva invece indicata in 46,26 km/h, è prospettato un errore percettivo che, se rilevante (la sentenza da comunque atto che, secondo lo stesso perito, era tenuta una “velocità nella norma”), sarebbe stato suscettibile di essere fatto valere, in ipotesi, solo col mezzo della revocazione.

3. – Col secondo motivo la ricorrente si duole che sia stata fatta applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2, anzichè del comma 1.

3.1. – Anche questo motivo è manifestamente infondato.

Non è chiarito donde risulti che la corte d’appello abbia ravvisato la presunzione di paritetico apporto causale colposo della conducente del veicolo investitore e del pedone, i cui comportamenti ha, invece, pienamente ponderato e valutato quanto alla determinazione della rispettiva incidenza eziologica al verificarsi dell’evento.

4. – Col terzo motivo la sentenza è censurata per vizi della motivazione in ordine:

a) all’avvenuto dimezzamento del danno patrimoniale subito dall’attore;

b) alla conclusione che la somma di L. 200.000.000 ricevuta in acconto dal ricorrente (il 6.12.1993 e non il 13.12.1993) fosse satisfattiva, senza tenere tra l’altro conto che essa era dovuta dalla data dell’incidente (5.7.1992) e non da quella della morte (25.11.1992) della moglie;

c) all’accoglimento dei motivi di appello relativi a “imputazione dell’acconto e rivalutazione” e “interessi”, senza detrarre “dal montante globale indicato dalla Corte di L. 559.158.000 gli importi corrispondenti che il tribunale avrebbe liquidato in eccedenza, nè la corte precisa e motiva quali siano i singoli importi dell’imputazione dell’acconto e rivalutazione e interessi” (così il ricorso, a cavalo delle pagine 54 e 55).

4.1. – Tutti e tre i profili di censura sono manifestamente infondati:

a) il primo, poichè la motivazione è del tutto congrua laddove, in difetto di qualsiasi ulteriore risultanza anche in ordine ai redditi dell’attore (che pure percepiva la pensione di reversibilità), la corte d’appello ha ritenuto che almeno la metà del reddito della defunta sarebbe stato dalla stessa destinato al proprio mantenimento;

b) il secondo ed il terzo, poichè a pagina 12, secondo capoverso, della sentenza, si legge che “essendo la liquidazione giudiziale di primo grado avvenuta in termini di valore aggiornati alla data 10.11.2001 della decisione, anche a soli fini di compensazione parziale sino a concorrenza delle rispettive poste, pure la somma di L. 200.000,000 versata giudizialmente il 10.12.1993 e ricevuta dal sig. V. in acconto, avrebbe dovuto essere rivalutata per l’importo (che è non specificamente contestato e quindi incontroverso) di L. 49.513.000”: tanto significa che il danno, liquidato dal tribunale in L. 617.000.000 ai valori della moneta del 10.11.2001 e ridotto a 559.158.000 per la ragione sopra detta, doveva considerarsi risarcito per L. 249.513.000; e tale importo è ampiamente superiore al 30% di L. 559.158.000 (pur maggiorando il 30% di tale somma, devalutata al fatto, degli interessi sulle somme progressivamente rivalutate).

5. – Il ricorso è respinto.

Le stesse ragioni che hanno indotto la corte d’appello alla compensazione delle spese con statuizione che non è stata oggetto di doglianza (la vittima dell’investimento s’era recata al cimitero a visitare la tomba del figlio, a sua volta mancato per un infortunio automobilistico nel 1990), inducono alla compensazione anche delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2011

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