Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9418 del 22/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/05/2020, (ud. 11/10/2019, dep. 22/05/2020), n.9418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 511-2013 proposto da:

T.T., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TRITONE

102, presso lo studio dell’avvocato VITO NANNA, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI (OMISSIS), in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 97/2011 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 19/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/10/2019 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 97/11/11, depositata il 19 dicembre 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale (CTR) della Puglia accolse l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del sig. T.T., rigettando nel contempo l’appello incidentale proposto dal contribuente nei confronti dell’ente impositore, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Bari, che aveva accolto – ritenendo assorbente, rispetto ad ogni ulteriore questione, l’eccepita nullità degli atti impositivi per difetto di valida delega rilasciata al funzionario sottoscrittore – il ricorso del contribuente avverso avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria aveva rettificato, con metodo sintetico, i redditi dichiarati dal contribuente per gli anni d’imposta 2004 e 2005, recuperando a tassazione le maggiori somme dovute a titolo di IRPEF e relative addizionali, oltre sanzioni ed interessi.

Avverso la sentenza della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza d’appello impugnata per violazione del procedimento e del diritto di difesa, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui la CTR, in riforma della pronuncia di primo grado, ha ritenuto la validità delle delega, costituita da ordine di servizio del direttore provinciale, in virtù del quale gli avvisi di accertamento impugnati sono stati sottoscritti dal funzionario M.M., Capo Team Controllo, contestando anche la statuizione della CTR relativamente alla pretesa individuazione della durata dell’ordine di servizio medesimo.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta erronea e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia nella parte in cui ha rigettato l’appello incidentale del contribuente avverso la sentenza di primo grado, confermando il convincimento espresso dal giudice di prime cure in ordine alla validità della notifica degli atti impositivi direttamente per mezzo del servizio postale, sia, nel merito, in relazione all’accoglimento dell’appello principale dell’Agenzia delle Entrate, riguardo alla ritenuta legittimità degli accertamenti del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, lamentando che il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto della documentazione prodotta dal contribuente, neppure contestata dall’Amministrazione, che avrebbe dovuto indurre la CTR a considerare superato da prova contraria l’accertamento presuntivo basato sugli incrementi patrimoniali e sul possesso di beni indice incompatibili con l’entità dei redditi dichiarati dal contribuente per ciascuno dei due anni d’imposta in contestazione.

3. Il primo motivo è inammissibile e, in ogni caso, infondato.

3.1. Invero parte ricorrente, lamentando un error in iudicando della CTR in ordine all’affermata validità della delega rilasciata dal Direttore provinciale al funzionario sottoscrittore, avrebbe dovuto porre la censura in termini di violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove ha posto invece la censura in termini di error in procedendo, ciò che attiene al solo vizio di attività nel processo.

3.2. In ogni caso, giova rilevare che la pronuncia resa dalla CTR è sostanzialmente conforme agli approdi più recenti della giurisprudenza di questa Corte in materia (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 29 marzo 2019, n. 8814; Cass. sez. 5, 19 aprile 2019, n. 11103), in cui si è avuto modo di affermare che “La delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42, comma 1, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione nè del nominativo del soggetto delegato, nè della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ex post, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto”; nè parte ricorrente adduce argomenti idonei a sollecitare una revisione del suddetto indirizzo interpretativo.

4. Il secondo motivo è ugualmente inammissibile.

Esso accomuna in relazione all’unica censura di “Erronea e contraddittoria motivazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Bari con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5,” due diversi profili di censure.

4.1. Il primo è riferito a quella che, invero, è motivazione in diritto della CTR, attraverso la quale si è affermata, peraltro correttamente, la validità della notifica degli atti impositivi direttamente per mezzo del servizio postale, giusta quanto previsto dalla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 14, come modificato dalla L. 8 maggio 1998, n. 46, art. 20, mentre la censura relativa alla carenza motivazionale, secondo l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua formulazione applicabile ratione temporis al presente giudizio, attiene all’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito (cfr., più di recente, tra le altre, Cass. sez. 6-3, ord. 28 maggio 2019, n. 14476), ben potendo la Corte di legittimità, ove il dispositivo sia conforme a diritto, esercitare il potere correttivo di cui all’art. 384 c.p.c., sulla motivazione che la parte lamenti erronea in diritto.

4.2. Il secondo si articola come una generica critica alla decisione di merito nel suo complesso, che si risolve, in sostanza, nella richiesta di un’autonoma nuova valutazione da parte della Corte delle risultanze degli atti di causa, ciò che esula dall’ambito del sindacato di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale applicabile, ratione temporis, al presente giudizio (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 21 gennaio 2015, n. 961; Cass. sez. sez. lav. 6 marzo 2006, n. 4766; Cass. sez. lav. 5 marzo 2002, n. 3161).

5. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si

liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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