Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9416 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. I, 12/04/2017, (ud. 08/02/2017, dep.12/04/2017),  n. 9416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.F. e S.E., domiciliati in Roma, via Dardanelli

46, presso l’avv. Gino Danilo Grilli, rappresentati e difesi

dall’avv. Giovanni Cucchiara, come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Fallimento (OMISSIS) srl, domiciliato in Roma, via Sabotino 2/a,

presso l’avv. Valentino Vulpetti, rappresentato e difeso dall’avv.

Roberto Costanza, come da mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

G.V.;

– intimato –

contro

B.A.;

– intimato –

contro

Gu.Sa.;

– intimato –

contro

V.G.;

– intimato –

contro

I.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1810/2013 della Corte d’appello di Palermo,

depositata il 4 dicembre 2013;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;

uditi i difensori avv. Grilli, anche con delega, per i ricorrenti e

avv. Valentina Lipari delegata per il fallimento;

Udite le conclusioni del P.M., Dott. PRATIS Pierfelice, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.F. ed S.E., già sindaci della (OMISSIS) srl, impugnano per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Palermo che ne ha ribadito la condanna al pagamento della somma di circa otto milioni di Euro in favore del Fallimento (OMISSIS) srl, in accoglimento dell’azione di responsabilità proposta dal curatore fallimentare nei confronti dei sindaci e degli amministratori della società fallita.

Disattesa un’eccezione di prescrizione dell’azione di responsabilità, i giudici del merito ritennero che le dimissioni rassegnate nel corso dell’assemblea del 28 maggio 1996 dai due sindaci R.F. ed S.E. non ebbero effetto per la mancata accettazione dei nominati in sostituzione, sicchè la richiesta di risarcimento dei danni avanzata nei loro confronti dal fallimento poteva essere accolta, senza violare l’art. 112 c.p.c., anche per il periodo successivo alle inefficaci dimissioni, benchè il curatore avesse ipotizzato una parziale successione del nuovo collegio sindacale nella responsabilità per i danni arrecati alla società.

I ricorrenti propongono tre motivi di impugnazione, cui resiste con controricorso il Fallimento (OMISSIS) srl, mentre non hanno spiegato difese gli altri intimati G.V., B.A., Gu.Sa., V.G. e I.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la decisione impugnata per erronea individuazione del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità proposta dal curatore fallimentare, lamentando che i giudici del merito l’abbiano fatto decorrere dalla dichiarazione del fallimento, benchè già dal bilancio al 31 dicembre 1996, pur non pubblicato, risultasse la perdita dell’intero capitale sociale, mentre segni di crisi della società risultavano anche dal bilancio al 31 dicembre 1995, dal piano di risanamento presentato dall’amministratore e da numerose istanze di fallimento.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, cui s’è richiamata la decisione impugnata, “l’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma DELLA L. Fall., art. 146, è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui alla L. Fall., art. 5, derivante, “in primis”, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa” (Cass., sez. 1, 04/12/2015, n. 24715).

Nel caso in esame i giudici del merito hanno plausibilmente escluso che l’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti sociali fosse percepibile dai creditori, perchè il bilancio al 31 dicembre 1996 non era stato depositato. il piano di risanamento non era stato prodotto e le istanze di fallimento sono per natura riservate.

Ne consegue che questo giudizio di fatto non risulta censurabile in sede di legittimità.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la decisione impugnata per avere erroneamente ritenuto che i sindaci rimangano prorogati nella loro carica anche dopo le dimissioni e fin quando non siano sostituiti.

Il motivo è infondato.

In realtà è controverso in dottrina e in giurisprudenza quale debba essere la decorrenza di effetti della rinuncia all’incarico da parte di un sindaco di società di capitali; e in particolare se possa estendersi analogicamente ai sindaci la disposizione dell’art. 2385 c.c. sulla proroga degli amministratori. Deve tuttavia rilevarsi al riguardo che, diversamente da quanto accade per gli amministratori, per i sindaci sono previsti supplenti, cui è dovuta solo la comunicazione del subentro (Cass., sez. 1, 4 maggio 2012, n. 6788), avendo già preventivamente accettato la carica.

Sicchè un problema di prorogatio può porsi per i sindaci solo quando il numero dei dimissionari sia superiore al numero dei supplenti.

D’altro canto nel caso in esame la rinuncia dei sindaci R.F. ed S.E. fu comunicata nel corso della medesima assemblea in cui la società nominò ex novo l’intero collegio sindacale, inclusi i supplenti, e tra costoro lo stesso S.. Sicchè, non essendo ipotizzabile il subentro di supplenti, deve ritenersi che la rinuncia non potesse avere gli effetti immediati, ipotizzabili solo “quando sia possibile l’automatica sostituzione del dimissionario con un sindaco supplente” (Cass., sez. 1, 9 ottobre 1986, n. 5928). Nè può assegnarsi rilevanza all’iscrizione nel registro delle imprese del nome dei nuovi sindaci, posto che non risulta fosse stata ancora iscritta nel registro la cessazione dei dimissionari, prescritta già dal testo dell’art. 2400 c.c. all’epoca vigente. Mentre era noto ai dimissionari che i subentranti non potevano ritenersi immediatamente accettanti, in quanto non presenti in assemblea.

La stessa previsione della necessaria nomina di supplenti, infatti, è evidente espressione di un’esigenza di continuità dell’organo di controllo del tutto analoga all’esigenza di continuità dell’organo di amministrazione salvaguardata dall’art. 2385 c.c.; e giustifica pertanto la conclusione di un’applicazione quantomeno analogica della disciplina sulla proroga.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti ripropongono l’eccezione di ultrapetizione già disattesa dai giudici d’appello, lamentando che la domanda proposta dal curatore per le sole attività precedenti il 28 maggio 1996 sia stata accolta anche per l’attività successiva.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che, quando viene denunciato un error in procedendo come l’ultrapetizione, spetta “alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato, o meno, il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto” (Cass., sez. 1, 10/11/2015, n. 22952, Cass., sez. un., 22/5/2012, n. 8077).

Nel caso in esame la violazione dell’art. 112 c.p.c. viene eccepita sia con riferimento alla liquidazione del danno in misura superiore a quella richiesta dal curatore sia con riferimento al riconoscimento della responsabilità anche per le attività successive alle dimissioni del 28 maggio 1996.

Quanto al primo profilo dell’eccezione, va rilevato che, solo “quando l’attore abbia indicato esattamente e senza incertezze la somma richiesta a titolo di risarcimento del danno, il giudice di merito non può pronunciare condanna per un importo superiore” (Cass., sez. 3, 11 maggio 2012, n. 7272); mentre nel caso in esame la domanda era stata formulata per Euro 560.000 o in via alternativa anche per la misura che sarebbe stata accertata o comunque determinata in via equitativa. Sicchè v’era un’esplicita richiesta di accertare o determinare il danno anche in misura superiore a quella ipotizzata.

Quanto al secondo profilo, va rilevato che il fallimento aveva agito per ottenere l’accertamento della responsabilità di tutti gli amministratori e sindaci che si erano succeduti nell’amministrazione e nel controllo della società, ipotizzando che vi fosse stata una successione non solo nell’amministrazione ma anche nel controllo della società in conseguenza delle dimissioni presentate il 28 maggio 1996 dai sindaci R.F., S.E. e I.G.. I giudici del merito, accertato che le dimissioni non avevano avuto effetto, hanno attribuito ai sindaci dimissionari la responsabilità anche per le attività successive al 28 maggio 1996.

Questa decisione è pienamente conforme alla domanda proposta, ove correttamente interpretata come intesa a ottenere l’integrale risarcimento dei danni da tutti i responsabili, benchè si fondi su una ricostruzione storica e giuridica dei fatti diversa da quella ipotizzata dall’attore.

Non v’è dunque la denunciata ultrapetizione, perchè, secondo la giurisprudenza di questa corte, “il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purchè restino immutati il “petitum” e la “causa petendi” e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio” (Cass., sez. L, 4 febbraio 2016, n. 2209).

4. Il ricorso è dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 20.000 per compensi, oltre alle spese forfet-tarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale. a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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