Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9414 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9414 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 25682-2013 proposto da:
s

SETRAND SRL 00629500927 in persona dell’amministratore unico
legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
DELLA CANCELLERIA 85, presso lo studio della dr.ssa MELFI

Data pubblicazione: 08/05/2015

ELVIRA (Studio Legale dell’avv. IOCULANI FRANCESCA),
rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI FRANCESCO
PASSANISI, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

Contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

pAt

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –

avverso il decreto nel procedimento RG. 50547/2013 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
:..
,

26/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;
udito per la ricorrente l’Avvocato Sebastiano Li Rosi (per delega avv.
Giovanni Francesco Passanisi) che ha chiesto l’accoglimento del
ncors o.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Roma, con decreto in data 16 settembre 2013, ha respinto
l’opposizione ai sensi dell’art. 5-ter della legge 24 marzo 2001, n. 89, proposta
dalla s.r.l. S.E.TRAND avverso il decreto che aveva parzialmente accolto la sua
domanda di equa riparazione per un processo in tema di restituzione di somma
per carico, trasporto e smaltimento rifiuti anticipata in favore della M.A.LA
svoltosi dinanzi al Tribunale di Cagliari dal 7 dicembre 2000 al 14 dicembre 2011.
Ad avviso del giudice a quo — premesso che il giudice designato aveva liquidato il
danno non patrimoniale

— l’ulteriore voce richiesta in conseguenza

dell’inadempimento del debitore, per non realizzabilità del credito giudizialmente

riconosciuto essendo stata la società debitrice collocata in concordato preventivo
nel 2009, non rientrava fra quelli indennizzabili, giacchè l’art. 2 della legge n. 89
del 2001, nel prevedere il danno risarcibile non considera la lesione del bene della
vita connesso al giudizio irragionevolmente lungo, ma si identificava nel danno
arrecato come conseguenza immediata e diretta, sulla base di una normale
sequenza causale, esclusivamente dal prolungarsi della causa oltre il termine
ragionevole.
Ric. 2013 n. 25682 sez. M2 – ud. 26-11-2014
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D’APPELLO di ROMA del 17.6.2013, depositato il 16/09/2013;

Per la cassazione del decreto della Corte d’appello la S.E.TRAND ha proposto
ricorso, sulla base di tre motivi.
Il Ministero ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

redazione della sentenza.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2 della
legge n. 89 del 2001, nonché vizio di motivazione, per non avere la corte di
appello ritenuto indennizzabile il danno patrimoniale senza argomentare la
valenza causale autonoma del procedimento di concordato preventivo alla luce
della assoluta imprevedibilità ed inverosimiglianza al momento della scadenza dei
termini previsti per legge per la definizione del procedimento. Insiste la
ricorrente di avere assolto l’onere della prova producendo copia dei bilanci della

società debitrice, nonché del decreto di omologa del concordato preventivo, da
cui emerge la eventuale percentuale di soddisfazione dei crediti chirografari nella
misura dell’11,32%.

Il motivo è infondato.
Osserva il Collegio che la sentenza impugnata si è correttamente conformata
all’orientamento in materia di risarcibilità del danno patrimoniale di questa Corte,
secondo il quale la legge n. 89 del 2001, nel ricollegare l’equa riparazione alla
mera constatazione dell’avvenuto superamento del termine di ragionevole durata
del processo, attribuisce alla relativa obbligazione natura indennitaria, la quale
esclude la necessità di una verifica in ordine all’elemento soggettivo della
violazione, non venendosi in tema di obbligazione “ex delicto”, ma non
comporta alcun automatismo in favore del soggetto che lamenti l’inosservanza
dell’art. 6, par. 1, della CEDU, non configurandosi il pregiudizio patrimoniale
indennizzabile come “danno evento”, riconducibile al fatto in sè
dell’irragionevole protrazione del processo. Pertanto incombe al ricorrente
Ric. 2013 n. 25682 sez. M2 – ud. 26-11-2014
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Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella

l’onere di fornire la prova della lesione della propria sfera patrimoniale prodottasi
quale conseguenza diretta ed immediata della violazione, sulla base di una
normale sequenza causale, aggiungendosi che, in tanto può essere riconosciuto in
favore dell’istante il danno patrimoniale, in quanto questo, oltre ad essere
causalmente ricollegato al fatto costituito dalla abnorme durata del processo

specifico ristoro, anche attraverso la rivalutazione delle somme oggetto del
contendere, senza che rilevi la asserita insufficienza del ristoro stesso (Cass. 16
marzo 2005 n. 5724; Cass. 5 settembre 20011 n. 18148).
Rimanendo la questione confinata nell’ambito del maggior rigore probatorio che
si richiede in relazione al danno patrimoniale, nel senso che occorre, come
correttamente affermato dalla corte territoriale, la sussistenza di un nesso causale
immediato fra il ritardo nella definizione del giudizio e il pregiudizio sofferto
(Cass. 20 dicembre 2011 n. 27660; Cass. 27 settembre 2006 n. 21020; Cass. 28
settembre 2005 n. 18953), deve rilevarsi come superi il vaglio di legittimità la
valutazione circa l’insussistenza di detto nesso, diretto ed immediato, fra il
ritardo nella definizione del giudizio intrapreso dai ricorrenti per lo scioglimento
della comunione ereditaria ed il minore valore del lotto loro assegnato ovvero la
mancata vendita dell’immobile nel 2006. Trattasi, invero, di circostanze — tutte da
dimostrare, per essere stati taluni beni alienati nel corso della causa di divisione dipendenti in via diretta e immediata dall’andamento del mercato, rispetto al
quale l’indisponibilità del bene in proprietà esclusiva per il ritardo
nell’assegnazione nel giudizio presupposto funge da mera condizione, svincolata

da qualsiasi nesso di conseguenzialità necessaria con il dedotto pregiudizio.
Con il secondo motivo la società ricorrente nel lamentare la violazione
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, anche quale vizio di motivazione, censura la

quantificazione del danno non patrimoniale in €. 800,00 per annualità di ritardo e
non nella misura richiesta di €. 1.500,00 per anno. Aggiunge la ricorrente che

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presupposto, non abbia avuto o non abbia potuto avere in quel processo uno

secondo la normativa comunitaria andava riconosciuto l’indennizzo per l’intera

durata del processo
Anche detto motivo non può trovare ingresso sotto entrambi i profili
prospettati.
Quanto all’entità dell’indennizzo per anno, si deve rilevare che, se è vero che il

elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di

garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente
lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola,
non inferiore ad €. 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni
eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad €. 1.000,00 per quelli
successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di
discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della
singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri,
dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass. 17922 del
2010).

Nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo scostamento dagli ordinari criteri
di determinazione dell’indennizzo, adottando quello di €. 800,00 per anno di

ritardo, che comunque rientra nei limiti ammessi dalla giurisprudenza di questa
Corte di legittimità (Cass. 18 giugno 2010 n. 14753; Cass. 10 febbraio 2011 n.
3271; Cass. 13 aprile 2012 n. 5914).

Orbene, trattasi di motivazione adeguata, rispetto alla quale le deduzioni dei
ricorrenti non appaiono idonee ad evidenziare vizi di violazione di legge o di
motivazione, nei limiti in cui tale tipo di vizio è prospettabile ai sensi del nuovo
testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c..

Quanto al computo del periodo da indennizzare osserva il Collegio che
l’art. 2 comma 3 lett. a) della L n 89/2001 limita testualmente il risarcimento del
danno al solo periodo eccedente la ragionevole durata e a tale disposizione si
deve necessariamente attenere il giudice nazionale. Pur vero che più decisioni
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giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione

della Corte Europea, emesse a carico dell’Italia in data 10 novembre 2004, hanno
affermato che il termine, da prendere in considerazione ai fini della liquidazione
dell’indennizzo per la eccessiva durata del processo, è quello della intera durata
del procedimento (tra queste in particolare le pronunce sul ricorso n. 62361/00,
proposto da Riccardi Pizzati c. Italia e sul ricorso n. 64897/01 proposto da Zullo

c. Italia), e in applicazione dell’art. 41 CEDU, ha condannato lo Stato Italiano al

pagamento di ulteriori somme, prendendo quale base per la liquidazione del
danno morale la intera durata del procedimento e non il periodo di ritardo
(rispetto al termine da ritenersi ragionevole) per la sua definizione; tuttavia
questa Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione di
costituzionalità della L 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett a), nella parte
in cui stabilisce che, al fine dell’equa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile
al periodo eccedente il termine di ragionevole durata, alla luce del principio – di
recente ribadito (Cass. n. 478 del 2011) – per il quale non è ravvisatile “alcuna
violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in riferimento alla compatibilità con gli
impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione
Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali.
Infatti, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato dalla Corte
EDU ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la modalità di calcolo imposta
dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione
interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in
argomento, non comportando una riduzione dell’indennizzo in misura superiore
a quella ritenuta ammissibile dal giudice Europeo; diversamente opinando,
poiché le norme CEDU integrano il parametro costituzionale, ma rimangono
pur sempre ad un livello subcostituzionale, dovrebbe valutarsi la conformità del
criterio di computo desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo
all’intera durata del processo, rispetto al novellato art. 111 Cost, comma 2, in
base al quale il processo ha un tempo di svolgimento o di durata ragionevole,

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potendo profilarsi, quindi, un contrasto dell’interpretazione delle norme CEDU
con altri diritti costituzionalmente tutelati” (Cass. 6 maggio 2009 n. 10415).
Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli
artt. 83 e 91 c.p.c. per avere la corte di merito liquidato le spese processuali in
favore dell’Amministrazione intimata, nonostante la stessa non fosse costituita in

somma inferiore rispetto alla domanda.
Il motivo è fondato
La condanna ex art. 91 c.p.c. alle spese processuali, infatti, ha il suo fondamento
nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale per la parte che ha dovuto
svolgere un’attività processuale per ottenere il riconoscimento e l’attuazione di
un suo diritto, sicché essa non può essere pronunziata in favore del contumace
vittorioso, poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non
ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (di recente, Cass. 19 agosto
2011 n. 17437; ma già, Cass. 25 settembre 1997 n. 9419 e Cass. 29 novembre
1993 n. 11803).
Orbene, dall’esame della comparsa di costituzione del Ministero avanti alla corte
di merito risulta che l’Avvocatura ha depositato l’atto senza l’apposizione della

firma del procuratore, né risultano altri elementi di riferimento nello stesso per
l’individuazione del difensore e della legittimazione del medesimo alle attività
processuali compiute, per cui l’atto va ritenuto radicalmente invalido (cfr Cass. n.
4495 del 2000).
Il decreto impugnato, pertanto, rigettati i primi due motivi di ricorso, accolto il
terzo, deve essere cassato senza rinvio relativamente al capo delle spese
processuali, concernendo una statuizione che non avrebbe potuto essere
adottata.
In considerazione dell’esito del giudizio, anche se solo parzialmente accolto,
quanto al motivo di ricorso attinente alle spese di giudizio, va pronunciata la
compensazione delle spese della presente fase.
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giudizio, mentre la società era da ritenere comunque vittoriosa, pure se per una

P.Q.M.
La Corte rigetta i primi due motivi, accoglie il terzo, cassa il decreto impugnato e,
pronunciando nel merito, elide la condanna della ricorrente al pagamento delle

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI – 2^ Sezione Civile, il 26
novembre 2014.

spese del precedente giudizio di merito;

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