Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9413 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. I, 09/04/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 09/04/2021), n.9413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26863/2016 proposto da:

G.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Giuseppe Napoli, giusta procura in calce alla comparsa

di costituzione di nuovo difensore;

L.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via A. Torlonia

n. 9, presso lo studio dell’avvocato Massimiliano Barberini,

rappresentata e difesa dall’avvocato Dario Spatafora, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

FinecoBank S.p.a., già Banca Fineco S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Nazionale n. 204, presso lo studio dell’avvocato Benedetta Musco

Carbonaro, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Luca

Zitiello, giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1031/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2020 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 15.6.2016 n. 1031/2016 la Corte d’Appello di Bologna, in accoglimento del gravame proposto da FINECO Bank s.p.a., ha riformato l’impugnata decisione di primo grado che su domanda di G.G. ed L.A. aveva dichiarato la nullità parziale per difetto di forma scritta del contratto di intermediazione finanziaria corrente tra le parti in relazione all’integrazione contrattuale intesa ad autorizzare la conclusione di operazioni in covered warrant, e ciò sul presupposto che la sottoscrizione di essa, resa dal G. mediante l’accesso alla propria area riservata e alla pressione del bottone di assenso (point and click), necessitasse di una firma digitale o qualificata e non di una semplice firma elettronica come nella specie apposta dal G..

Riformando l’impugnata decisione la Corte d’Appello, ripercorsa l’evoluzione della legislazione in materia e divisata l’applicazione alla specie delle disposizioni recate dal D.P.R. 28 ottobre 2000, n. 445, art. 10, nel testo risultante dalle modificazioni dovute al D.Lgs. 23 gennaio 2002, n. 10, art. 6, che aveva ridisegnato il panorama del documento giuridico informatico modulandone l’efficacia secondo una scala di intensità crescente, si è detta convinta che “secondo la normativa ratione temporis applicabile era sufficiente la sottoscrizione del documento informatico con firma elettronica “semplice” per integrare il requisito legale della forma scritta anche ad substantiam”, onde nella specie doveva perciò reputarsi bastevole l’operazione compiuta dal G., previo accesso alla propria area riservata, mediante il “point and click”.

Nè, ha osservato ancora il decidente, all’efficacia vincolante dell’impegno così assunto nei confronti anche della L. è opponibile il fatto che l’assenso all’integrazione così disposta sia stato prestato dal solo G., posto che il contratto “consentiva, in caso di cointestazione del rapporto, ad uno solo dei clienti di disgiuntamente “disporre del rapporto””; così come, d’altro canto, non è parimenti ostativo il fatto che, nel disporre l’integrazione in parola, l’indicazione del capitale di riferimento prescritta dall’art. 30 Reg. Consob 1 luglio 1998, n. 11522 sia stata operata in maniera pretesamente generica, giacchè la formulazione a tal fine impiegata (“il valore di carico complessivo rettificato delle perdite pari o superiore al 50% del valore stesso”) non può giudicarsi generica in concreto, risultando al contrario “adeguata alla mutevolezza, alla possibilità di operazioni senza soluzioni di continuità e al continuo aggiornamento del trading on line ed invero di maggior tutela per l’investitore rispetto ad es. alla previsione di una soglia fissa”.

Per la cassazione di detta sentenza i G. – L. si affidano a tre motivi di ricorso. Ad essi replica con controricorso e ricorso incidentale su un solo motivo la FINECO.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale i G. – L. contestano l’assunto in punto di sottoscrizione del documento informatico enunciato dalla Corte d’Appello, dell’avviso, come visto, che è sufficiente ad assicurare l’integrazione del prescritto requisito di forma la sola sottoscrizione con firma elettronica, sul presupposto che così opinando il decidente: a) avrebbe vanificato la distinzione tra documento informatico, cui si riferisce il D.P.R. n. 445 del 2000, art. 10, ed il contratto informatico cui si riporta il D.P.R. n. 445 del 2000, art. 11 e per il quale è prevista l’adozione della firma elettronica qualificata ovvero della firma digitale; b) avrebbe erroneamente escluso la conferenza in contrario della Dir CEE 13 dicembre 1999, n. 1999/93/CE, quantunque essa, non essendo diretta ad armonizzare le normative nazionali sui contratti segnatamente sotto il profilo formale, lasciasse intendere che la materia continuava ad essere regolata dagli artt. 10 e 11 dianzi citati, l’ultimo dei quali presupponente l’adozione della firma digitale; c) avrebbe erroneamente sostenuto di non poter trarre argomento dal Codice dell’Amministrazione Digitale approvato con D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, sebbene in base all’art. 21, comma 2-bis, di esso fosse stata prevista l’adozione della firma elettronica qualificata o firma digitale per i contratti indicati dall’art. 1350 c.c., ovvero per i contratti per il quali la forma scritta, al pari del contratto di intermediazione finanziaria di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, era richiesta ad substantiam; d) avrebbe erroneamente ritenuto irrilevante la comunicazione Consob 30396/2000 malgrado in essa fosse previsto per la conclusione dei contratti di intermediazione in via telematica l’adozione della firma digitale.

2.2. Le articolate doglianze – pur in disparte dalle ragioni preclusive che vi oppone pregiudizialmente la controricorrente – non incontrano, in ogni caso, il favore del diritto.

Giova ripercorrere a grandi linee il quadro di riferimento ben lumeggiato dall’impugnata decisione di appello.

Il debutto nel nostro ordinamento della possibilità di sottoscrivere elettronicamente in modo vincolante documenti predisposti in formato digitale si lega storicamente al D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513, che, nel dare seguito alla norma programmatoria contenuta nella L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 15, comma 2, all’art. 1, comma 1, lett. b) definiva la firma digitale come “il risultato della procedura informatica (validazione) basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente al sottoscrittore tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici”, mentre all’art. 10, comma 2 e art. 11, comma 1, si dava cura, rispettivamente, di puntualizzare che “l’apposizione o l’associazione della firma digitale al documento informatico equivale alla sottoscrizione prevista per gli atti e documenti in forma scritta su supporto cartaceo” e “i contratti stipulati con strumenti informatici o per via telematica mediante l’uso della firma digitale secondo le disposizioni del presente regolamento sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge”. Queste disposizioni transitavano successivamente nel D.P.R. n. 445 del 2000 (T.U. testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), il cui art. 10, comma 1, da un lato ribadiva il concetto che “il documento informatico sottoscritto con firma digitale… soddisfa il requisito legale della forma scritta” e, dall’altro, stabiliva che il documento così sottoscritto “ha efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2712 c.c.”. Un significativo cambio di passo si realizzava in coincidenza con l’attuazione nell’ordinamento interno delle disposizioni recate dalla Dir CEE 1999/93/CE, relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche e contenente, tra l’altro, la previsione di una firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e creata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura, provvista di efficacia legale rispetto ai dati in forma elettronica corrispondente a quella della firma autografa rispetto ai dati cartacei. Nel dare seguito all’impulso comunitario il legislatore nazionale con il D.Lgs. n. 10 del 2002, procedeva a riordinare il quadro delle sottoscrizioni elettroniche e a differenziarne l’efficacia probatoria, secondo una scala di crescente intensità, in rapporto allo strumento tecnico utilizzato. Novellando perciò il D.P.R. n. 445 del 2000, art. 10, con il D.Lgs. n. 10 del 2002, art. 6, trovava così previsione a) che il documento informatico privo di sottoscrizione ha l’efficacia probatoria dell’art. 2712 (art. 10, comma 1); b) che il documento informatico sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta ed esso è sul piano probatorio liberamente valutabile, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza (art. 10, comma 2); c) che il documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica avanzata, se la firma è basata su di un certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura, fa inoltre piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritto (art. 10, comma 3). In sintesi con la novella del 2002 si è codificata la distinzione tra firma elettronica o firma digitale leggera – vale a dire “l’insieme de dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica” (D.P.R. n. 445 del 2000, art. 1, comma, lett. cc) – e firma digitale avanzata o pesante – vale a dire “la firma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario e la sua univoca identificazione, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati” (D.P.R. n. 445 del 2000, art. 1, comma 1, lett. dd) – distinzione ignota alla legislazione pregressa che contemplava la sola firma digitale avanzata; e si è rafforzata l’efficacia probatoria del documento informatico sottoscritto con firma digitale avanzata. Successive modificazioni, senza tuttavia alterare questo impianto di base, venivano poi introdotte con l’approvazione del Codice dell’Amministrazione digitale ad opera del D.Lgs. n. 82 del 2005.

2.3. Orbene, nell’aver ritenuto sufficiente ai fini dell’integrazione contrattuale abilitante la negoziazione in covered warrant la mera firma elettronica apposta dal G. per mezzo del “point and click” presente nella sua area riservata, la decisione impugnata si è esattamente allineata al quadro di diritto vigente ratione temporis e alla distinzione che esso ha voluto sanzionare nel campo della sottoscrizione dei documenti informatici tra firma elettronica e firma digitale, ritenendo la prima in grado di soddisfare il requisito della forma scritta allorchè ne sia prescritta l’adozione ad substantiam.

2.4. Non è pertanto significativo quanto i ricorrenti obiettano con la prima doglianza svolta del motivo, non tanto e non solo perchè, non essendo stato il dettato dell’art. 11 rimaneggiato a seguito del riordino della disciplina della sottoscrizione elettronica operato dal D.Lgs. n. 10 del 2002, esso rieccheggia, come annota la Corte d’Appello, lo stato dell’arte antecedente alla detta novellazione che annoverava una sola fattispecie di firma elettronica. Ma perchè, piuttosto, la norma contenuta nell’art. 11 deve essere letta tenendo conto delle modificazioni intervenute nell’art. 10, di modo che, inoppugnabile il principio che la firma elettronica “leggera” soddisfi il requisito legale della forma scritta, l’adozione della firma elettronica “pesante” si rende necessaria laddove si voglia conferire al contratto l’efficacia probatoria dell’art. 2702 c.c.. In questo senso, a smentita pure della doglianza sub c), non è infatti privo di rilievo, che nell’approvare il CAD il legislatore abbia avvertito l’obbligo di precisare che solo per i contratti, in relazione ai quali l’art. 1350 c.c., prevede l’adozione della forma scritta a pena di nullità, si impone l’adozione della firma elettronica qualificata o digitale, il che, come bene riflette la Corte d’Appello, vuol dire che “solo questa particolare forma integrerà il requisito dello scritto ad substantiam nella specifica casistica del codice civile, non anche al di fuori di questo, come appunto ad es. nei contratti bancari o di investimento”. Parimenti prive di pregio sono poi le doglianze sub b) e sub d); l’una perchè, come si apprende dal 17 considerando premesso alla dir. 1999/93 CE, dell’avviso che “la presente direttiva non è diretta ad armonizzare le normative nazionali sui contratti, in particolare in materia di conclusione ed esecuzione dei contratto”, scopo di essa è solo di assicurare una disciplina comune della sottoscrizione elettronica in ambito comunitario in armonia con le finalità di garantire parità di condizioni tra gli operatori e di favorire l’espansione uniforme del mercato interno; l’altra perchè la comunicazione Consob è coeva all’epoca in cui era nota una sola forma di sottoscrizione elettronca e, dunque, non si accorda con lo scenario normativo evocato dalla specie in giudizio.

2.5. Le doglianze di cui si rende interprete il normativo non sprigionano dunque alcuna efficacia cassatoria.

3. Il secondo motivo del ricorso principale, al netto ancora delle preclusioni che al suo esame vi oppone la controricorrente, è anch’esso privo di fondamento.

Lamentano i ricorrenti, ma, in particolare, la L. nell’interesse della quale la censura è formulata, che, avendo prestato assenso all’operatività in covered warrant il solo G. per mezzo del ricordato “point and click”, l’integrazione contrattuale così attuata vincolerebbe solo costui e non la L. rimasta estranea a questa operazione.

Di contro alle considerazioni che corroborano la tesi, che non colgono peraltro il nucleo portante del giudizio di gravame, è invero assorbente l’affermazione operata in sentenza, di cui si è dato già conto nel pregressa narrativa di fatto, secondo cui la disciplina negoziale consentiva, in caso di cointestazione del rapporto, a ciascun cointestatario di operare disgiuntamente, onde il “point and click” apposto nella specie dal G. vincolava inesorabilmente anche la L., perimendo, perciò, alla radice la doglianza in disamina.

4.1. Anche il terzo motivo del ricorso principale, emendato ancora delle pregiudiziali controricorrenti, non merita adesione.

Richiamando il disposto dell’art. 30, comma 2, lett. e), del reg. Consob 11522/1998, applicabile alla specie ratione temporis, secondo cui “il contratto con l’investitore deve… e) indicare e disciplinare, nei rapporti di negoziazione e ricezione e trasmissione di ordini, le modalità di costituzione e ricostituzione della provvista o garanzia delle operazioni disposte, specificando separatamente i mezzi costituiti per l’esecuzione delle operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati e warrant”, i ricorrenti G. – L. si dolgono che la Corte d’Appello, violando le predette disposizioni, abbia ritenuto satisfattiva della predetta condizione l’indicazione del capitale di riferimento per mezzo della dizione “il valore di carico complessivo rettificato delle perdite pari o superiori al 50% del valore stesso”, sebbene ciò renda impossibile individuare il limite costituente la provvista a disposizione dell’investitore e non distingua tra derivati e warrant, malgrado la separazione a tal fine imposta dalla norma.

4.2. Quest’ultimo rilievo si svuota da sè, poichè l’integrazione contrattuale a cui hanno dato corso i ricorrenti nella specie concerneva solo le operazioni in covered warrant e non contemplava operazioni in derivati, di modo che l’indicazione del capitale di rischio operata senza distinzione tra l’una e l’altra categoria di prodotti finanziari è nel nostro caso del tutto inconferente.

4.3. Quanto, invece, al primo rilievo, occorre inizialmente osservare che gli strumenti attivati nella specie sono caratterizzati da un’ampia volatilità essendo in grado di esercitare un certo “effetto leva”, tale che dalle dinamiche speculative che la loro negoziazione può innescare possono scaturire guadagni potenzialmente di una certa entità a fronte di investimenti anche modesti. La mutevolezza del quadro finanziario a cui fa capo l’operatività in warrant, non dissimile per vero da quella ricollegabile ad altri strumenti finanziari ad elevata rischiosità, è stata ben fotografata da questa Corte, allorchè nel misurarne le ricadute comportamentali a carico dell’intermediario, ha tra l’altro puntualizzato che il valore dell’investimento originario cui correlare l’insorgenza dell’obbligo previsto dall’art. 28 Reg. Consob 11522/1998 “subisce variazioni sia in occasione della comunicazione all’investitore di una precedente perdita, sia in conseguenza di versamenti o prelievi, con variazioni che possono essere immediate, perchè diretta conseguenza di quanto disposto dall’investitore, oppure mediate, perchè effetto delle operazioni ordinate all’intermediario che abbiano fruttato incrementi o perdite patrimoniali” (Cass., Sez. I, 10/12/2018, n. 31896). Questo, come bene spiega la Comunicazione Consob 69397 del 19.9.2000, ha indotto l’Autorità di vigilanza, in considerazione della particolare natura dello strumento, che comporta la frequente valorizzazione delle posizioni, ad individuare il valore di riferimento, pari di regola al valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e di garanzia per l’esecuzione delle operazioni, nel capitale effettivamente investito, con la conseguenza che l’intermediario sarà obbligato a dare la comunicazione prevista dall’art. 28 nel momento in cui le perdite sul capitale effettivamente investito superino il 50% del suo ammontare iniziale. In tal modo si è inteso differenziare il regime applicabile alle operazioni in warrant da quello previsto per le operazioni in derivati, giustificandosi solo in relazione al fatto che per queste ultime si utilizzi un meccanismo di marginazione capace di generare perdite superiori al capitale investito l’indicazione, a tutela dell’integrità patrimoniale dell’investitore, di un valore di riferimento rappresentato dall’ammontare dei fondi destinati a tali operazioni.

La formulazione adottata nel contratto per indicare nella specie il valore di riferimento richiamandosi al “valore di carico complessivo rettificato delle perdite pari o superiori al 50% del valore stesso”, non è, dunque, affatto indeterminata, ma riflette esattamente l’enunciato di secondo livello, giusta il quale l’indicazione imposta dall’art. 30, comma 2, lett. e) Reg Consob 11522/98, tenuto conto della particolarità dello strumento azionato, ben può essere data facendo riferimento all’ammontare del capitale investito.

4.4. L’impugnata sentenza che di ciò si è fatta fedele interprete è quindi corretta e si sottrae alla spiegata censura.

5.1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la FINECO deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., poichè il giudice d’appello avrebbe disposto la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio in ragione della ravvisata non univocità della questione, e ciò benchè nella specie non fosse ravvisabile soccombenza reciproca nè assoluta novità della questione nè ancora mutamento di giurisprudenza.

5.2. Il motivo è infondato. La motivazione a mezzo della quale la Corte d’Appello ha inteso compensare nel caso di specie le spese del processo non viola affatto il parametro normativo evocato giacchè nella ragione adotta dal decidente a giustificazione della disposta compensazione del spese del giudizio (non univocità della questione) non può a rigore ritenersi estranea la considerazione che la questione sia stata ritenuta non univoca in quanto nuova; la doglianza non coglie, quindi, nel segno e per questo ne va dichiarata l’infondatezza.

6. Vanno dunque respinti entrambi i ricorsi. Le spese seguono la soccombenza sul ricorso principale, ma per l’infondatezza pure del ricorso incidentale possono essere compensate in ragione di un quarto. Doppio contributo, ove dovuto, a carico di entrambi i soccombenti.

P.Q.M.

Respinge entrambi i ricorsi; compensa le spese di lite in ragione di un quarto e condanna parte ricorrente principale al pagamento in solido in favore della parte controricorrente e ricorrente incidentale delle spese residue che liquida nell’intero in Euro 10200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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