Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9411 del 27/04/2011

Cassazione civile sez. III, 27/04/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 27/04/2011), n.9411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11359/2006 proposto da:

S.I.A.L.P. DI BELLAGUARDIA RENZO & C. S.A.S. (OMISSIS) in persona

del socio accomandatario e legale rappresentante Sig. B.

R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA B. TORTOLINI 34,

presso lo studio dell’avvocato PAOLETTI Nicolò, che la raPPresenta e

difende unitamente agli avvocati DIBITONTO EDMONDO, COMOGLIO LUIGI

PAOLO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO-COMUNICAZIONI AMMINISTRAZIONE

POSTE (OMISSIS) in persona del Ministro in carica, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 701/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Sezione Seconda Civile, emessa il 21/1/2005, depositata il

27/04/2005, R.G.N. 1302/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/03/2011 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato NICOLO’ PAOLETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società S.I.A.L.P. di Bellaguardia Renzo & C. sas proponeva appello avverso la sentenza del tribunale di Torino del 20.5.2002, che aveva rigettato la domanda dalla stessa proposta nei confronti dell’Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni, relativa al maggiore compenso dovuto per l’esecuzione di prestazioni aggiuntive, non indicate nel capitolato d’oneri.

Rilevava, in particolare, il primo giudice, che tali prestazioni dovevano considerarsi straordinarie, perchè non previste dal capitolato d’appalto, e non riconducibili ad autorizzazioni scritte rilasciate dalla committente.

Tali prestazioni, quindi, a prescindere dalla prova del loro espletamento, non potevano condurre alla previsione di alcun corrispettivo, neppure a titolo di indebito arricchimento; domanda, questa proposta in via subordinata.

La Corte d’Appello, con sentenza del 27.4.2005, rigettava l’impugnazione proposta.

Osservava, in particolare, che le eventuali variazioni od aggiunte ai lavori ed alle opere oggetto di appalto – non precedute da una valida e preventiva autorizzazione scritta dell’appaltante, dovevano ritenersi illegalmente eseguite, restando a carico ed onere del soggetto che tale autorizzazione non avesse richiesto; aggiungendo che tale illegalità era tale da escludere, in ogni caso, a favore del soggetto che tali opere e lavori avesse compiuto senza autorizzazione scritta, il diritto ad un compenso aggiuntivo od indennità, neppure a titolo di arricchimento senza causa.

Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi illustrati da memoria, la società S.I.A.L.P. di Bellaguardia Renzo & C. sas.

Resiste con controricorso il Ministero dello Sviluppo Economico – Comunicazioni.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dal resistente.

In tema di ricorso per cassazione proposto nei confronti della P.A., la nullità della notificazione, in quanto eseguita presso l’avvocatura distrettuale anzichè presso l’avvocatura generale dello Stato, infatti, resta sanata, con effetto ex tunc, non soltanto dalla costituzione in giudizio, anche dopo il decorso del termine dell’art. 370 c.p.c., dell’amministrazione rappresentata dall’avvocatura generale, ma anche dalla rinnovazione della notificazione presso la stessa avvocatura generale, anche se posteriore alla scadenza del termine per impugnare; sia quando il ricorrente a ciò provveda di propria iniziativa, anticipando l’ordine previsto dall’art. 291 c.p.c., sia quando agisca in esecuzione di tale ordine (Cass. 3.3.1999 n.. 1774; Cass. 13.2.2003 n. 2148; Cass. ord. interi.

30.6.2003 n. 15062).

La rinnovazione spontanea della notificazione presso l’avvocatura generale dello Stato, effettuata nella specie dall’odierna ricorrente, ha, pertanto, sanato l’originaria nullità della notificazione presso l’avvocatura distrettuale.

Il ricorso per cassazione, poi, è stato proposto per impugnare una sentenza depositata in data anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, che ha introdotto la norma dell’art. 366 bis c.p.c., inapplicabile, quindi, nella specie.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la erronea e/o falsa applicazione delle norme sulla contabilità generale dello Stato e sugli appalti di opere pubbliche ( in particolare, della L. n. 2248 del 1865, art. 342, All. F; del D.M. 19 aprile 2000, n. 145, artt. 10 e 12; del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 134), invocate dal giudice di appello a fondamento della reiezione del primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Motivazione incongrua, insufficiente e contraddittoria, sul corrispondente punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo non è fondato per le ragioni che seguono.

In tema di appalto di servizi in cui committente sia la pubblica amministrazione od un Ente pubblico alla stessa equiparato, i contratti da tali organi conclusi devono rivestire la forma scritta a pena di nullità, con la conseguente forma scritta delle pattuizioni negli stessi contenute.

Ne deriva che anche le eventuali variazioni delle prestazioni oggetto del contratto debbano rivestire la medesima forma.

E ciò anche a prescindere dalla contestata applicabilità del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 11, commi 1 e 3 e R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art. 119, in ordine ad un preventiva autorizzazione scritta da parte dell’ente appaltante in ordine alle eventuali variazioni od aggiunte ai lavori ed alle opere di appalto.

Ora, nella specie, la ricorrente contesta – al di là del richiamo, da parte della Corte di merito, al Capitolato generale di appalto approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, inapplicabile, secondo la tesi della ricorrente, per riferirsi esclusivamente agli appalti di opere pubbliche di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici – che erroneamente la Corte di merito abbia ritenuto che le prestazioni aggiuntive fossero frutto di unilaterale iniziativa dell’appaltatore (senza preventiva autorizzazione scritta dell’Ente appaltante), essendo, viceversa conseguite a “diffide e contestazioni di inadempimento (p. 14 del ricorso)” “ad eseguire lavori specifici di pulitura, che l’uno riteneva estranei a l’altra reputava invece inclusi nell’ oggetto dell’appalto”.

La ricorrente, a tal fine, menziona la documentazione probatoria prodotta (“doc. 8-12 prodotti in appello”) dalla quale si desumerebbe quanto sostenuto, e richiama l’art. 1 del contratto concluso inter partes.

Ma il contenuto ed il tenore di tali documenti non è per nulla riportato in ricorso, così violando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Neppure il tenore dell’art. 1 del contratto – che pare essere di fondamentale importanza nell’interpretazione della volontà contrattuale – è riprodotto nel ricorso per cassazione, così il contenuto contrattuale complessivo; con le medesime conseguenze sopra indicate.

Anche a volere seguire la tesi della ricorrente, infatti, nessun ausilio è dato alla Corte di legittimità per scrutinare l’eventuale ricorrenza della fattispecie concreta prospettata e dell’eventuale errore in cui sarebbe incorsa la Corte di merito.

Quanto, poi, al richiamo della forma scritta necessitata per i contratti conclusi dalla pubblica amministrazione, la ricorrente ne sostiene il pieno rispetto nel contratto di appalto concluso fra le parti, sottolineando, però (pag. 15 del ricorso), che “nell’art. 7, u.c., peraltro, non è stata più ribadita l’esigenza della stessa forma per la facoltà dell’Amministrazione P.T. di chiedere alla Ditta l’esecuzione di altre prestazioni in relazione alla necessità……”.

Anche in questo caso, la mancata riproduzione in ricorso della clausola contrattuale, in violazione del principio di autosufficienza, non consente neppure di esaminarne l’eventuale fondamento.

Con il secondo motivo denuncia la erronea e/o falsa applicazione delle norme giuridiche attinenti all’azione generale di arricchimento nei confronti della Pubblica amministrazione (artt. 2041 e 2042 c.c.), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Motivazione erronea, insufficiente e/o contraddittoria, sul corrispondente punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo non è fondato.

A tacere di ogni altro argomento, va, infatti, rilevato che l’azione generale di arricchimento senza causa nei confronti della P.A. presuppone, oltre al fatto materiale dell’esecuzione di una prestazione economicamente vantaggiosa per l’ente pubblico, anche il riconoscimento dell’utilità della stessa da parte dell’Ente.

Tale riconoscimento può avvenire anche in modo implicito, cioè mediante l’utilizzazione dell’opera o della prestazione secondo una destinazione oggettivamente rilevabile ed equivalente nel risultato ad un esplicito riconoscimento di utilità, posta in essere senza il rispetto delle prescritte formalità da parte di detto organo, ovvero in comportamenti di quest’ultimo dai quali si desuma inequivocabilmente un giudizio positivo circa il vantaggio dell’opera o della prestazione ricevuta dall’Ente (Cass. 12.2.2010 n. 3322;

Cass. 3.12.2010 n. 24646).

Nella specie – a prescindere dall’applicabilità o meno della normativa di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 342, comma 2 – l’Ente non soltanto non ha riconosciuto, in ordine alle supposte prestazioni aggiuntive, una tale utilità – nè esplicitamente, nè implicitamente -, ma ne ha disconosciuto addirittura l’esecuzione, così come risulta dalla sentenza impugnata (pag. 3); prestazioni, peraltro, neppure provate nella loro materialità e nella loro imposizione, da parte dell’attuale ricorrente.

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 4.200,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2011

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