Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9409 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. I, 09/04/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 09/04/2021), n.9409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

H.O., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli

avv.ti Tiziana Aresi, e Massimo Carlo Seregni, ed elettivamente

domiciliato presso il loro studio in Milano, via Lorenteggio 24;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, ((OMISSIS)), rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato nei suoi uffici

di Roma, via dei Portoghesi 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, depositata il

19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. Alessandro M.

Andronio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano ha confermato l’ordinanza del Tribunale di Milano, con cui era stato rigettato il ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Avverso la sentenza l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo: 1) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, sul rilievo che il giudice non avrebbe proceduto all’istruttoria di ufficio sulla situazione della Nigeria, paese di provenienza, e della Libia, paese di transito; 2) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per l’omessa valutazione della credibilità del ricorrente quanto al periodo di detenzione che avrebbe patito in Libia e alla situazione del paese di provenienza.

3. L’amministrazione intimata si è costituita al solo scopo di partecipare all’eventuale discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile, perchè è basato su doglianze del tutto generiche, non essendo le stesse parametrate nè alla motivazione del provvedimento impugnato, che non viene presa in considerazione neanche a fini di critica, nè alla concreta situazione del soggetto richiedente, che non viene specificata.

1.1. Quanto al primo motivo di censura, deve rilevarsi, in ogni caso, che la sentenza impugnata contiene adeguati riferimenti alle fonti ufficiali e indipendenti, non confutati dal ricorrente, da cui emerge che l’area di provenienza non è caratterizzata da una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale, non contenibile dagli apparati dello Stato, da qui cui possa farsi derivare una minaccia grave individuale alla vita o alla persona del richiedente in caso di rientro (non ricorrono, pertanto, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c). In relazione alla Libia, paese di transito, il ricorrente non ha dedotto di avere stretto con lo stesso alcun legame significativo, che possa assumere rilevanza ai fini della protezione richiesta.

1.2. Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso.

Anche a prescindere da ogni considerazione sulla sua credibilità, il ricorrente non ha dedotto di avere subito violenze nel paese di transito (Libia), che fossero potenzialmente idonee, quali eventi in grado di generare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla sua vulnerabilità. Dunque non può farsi applicazione, nel caso di specie, del principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018) deve valutarsi la specifica situazione di vulnerabilità del richiedente, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (ex multis, Sez. 1, Ord. n. 13096 del 15/05/2019, Rv. 653885). Più in generale, la situazione concreta è stata compiutamente valutata dalla Corte d’appello, che ha ben evidenziato come le circostanze riportate dal ricorrente, non siano riferibili ad una persecuzione, ma ad una scelta di emigrazione dovuta a motivi puramente economici.

2. Il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile. Nulla è dovuto per le spese dal ricorrente soccombente, non avendo la controparte costituita formulato deduzioni.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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