Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9405 del 17/04/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9405 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 22600-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, TRIOLO VINCENZO,
giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente contro
ROTOLO GIOVANNA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell’avvocato
MARGHERITA VALENTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

Data pubblicazione: 17/04/2013

PONZONE GIOVANNI GAETANO, giusta mandato speciale in
calce al controricorso;
– controricorrente avverso la sentenza n. 4846/2010 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/03/2013 dal Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti che si riporta ai
motivi del ricorso;
udito per la controricorrente l’Avvocato Luca Maraglino (per delega
avv. Giovanni Gaetano Ponzone) che si riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ENNIO

ATnuo SEPE che si riporta alla relazione scritta.

Ric. 2011 n. 22600 sez. ML – ud. 14-03-2013
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BARI del 27.9.2010, depositata il 30/09/2010;

Ric. 2011 n. 22600 sez. ML – ud. 14-03-2013
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FATTO E DIRITTO
È stata depositata relazione ai sensi dell’ art. 380 bis c.p.c., avente il seguente
contenuto:
“Il consigliere relatore osserva quanto segue.
Con ricorso al Tribunale di Bari, Rotolo Giovanna, operaia agricola a tempo
determinato, conveniva in giudizio l’Inps chiedendo venisse accertato il suo
diritto alla differenza dell’indennità di disoccupazione dell’anno 1999; parte
ricorrente – premesso che il trattamento di disoccupazione era stato corrisposto
dall’Istituto sulla base del salario medio convenzionale congelato all’anno 1995
– sosteneva che il medesimo trattamento doveva essere invece calcolato, ai sensi
del d.lgs. n. 146 del 1997, art. 4, sui minimi retributivi previsti dalla
contrattazione collettiva provinciale, con conseguente diritto alle differenze tra
quanto spettante e quanto percepito.
La domanda era rigettata in primo grado. La Corte d’Appello di Bari con la
sentenza n. 4846 del 30 settembre 2010 accoglieva l’impugnazione
dell’assicurata.
Avverso detta sentenza l’Inps, con ricorso notificato il 19 settembre 2011,
ricorre con un motivo di impugnazione.
La parte privata resiste con controricorso, deducendo l’inammissibilità del
ricorso per non aver indicato il ricorrente il valore della controversia e
contrastando l’eccezione di decadenza ex art. 47 del d.PR n. 639 del 1970.
Tanto premesso, si osserva che l’INPS prospetta un solo motivo di ricorso che
non attiene alla decadenza ex art. 47 cit., ma con il quale lamenta la violazione
degli artt. 44, 49 e 53 del CCNL operai agricoli e florovivaisti del 10 luglio
1998 in relazione al d.lgs. n. 314 del 1997, art. 6, comma 4, lett. a), ed all’art. 3
del d.l. n. 318 del 1996, conv. nella legge n. 402 del 1996, nonché in relazione
agli artt. 1362 e 2120 cod. civ., ed alla 1. n. 297 del 1982, art. 4, commi 10 e 11,
censura la sentenza per avere incluso nella retribuzione da prendere a base per
la liquidazione dell’indennità di disoccupazione, anche la voce denominata
“quota di TFR”, la quale invece non dovrebbe esserlo, per avere contrariamente a quanto affermato la Corte territoriale – effettiva natura di
retribuzione differita.
In via preliminare si ritiene non fondata l’eccezione di inammissibilità
prospettata dalla resistente in quanto in ricorso l’INPS indicava il valore della
controversia nella misura inferiore ad uro 1100/00, né la Rotolo indica un
diverso valore.
Il ricorso è manifestamente fondato, alla stregua di quanto deciso dalle
sentenze di questa Corte n. 200 del 2011, n. 11152 del 2011, n. 17832 del 2011,
n. 7118 del 2012 e numerose altre conformi, con le quali si è enunciato il
seguente principio:
“Confermandosi quanto già ritenuto dalla precedente sentenza di questa Corte
n. 10546/2007 per cui ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in
agricoltura, la nozione di retribuzione – definita dalla contrattazione collettiva
provinciale, da porre a confronto con il salario medio convenzionale del d.lgs.
16 aprile 1997, n. 146, ex art. 4 – non è comprensiva del trattamento di fine
rapporto”, va ulteriormente affermato che, sulla base del suddetto principio, la
voce denominata quota di TFR dai contratti collettivi vigenti a partire da quello
del 27.11.1991, va esclusa dal computo della indennità di disoccupazione, in
considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti, che è vietato

Ric. 2011 n. 22600 sez. ML – ud. 14-03-2013
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disattendere in forza della disposizione di cui al D.L. 14 giugno 1996, n. 318,
art. 3, convertito in legge 29 luglio 1996, n. 402, a norma del quale, agli effetti
previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi, non può
essere individuata in difformità rispetto a quanto definito negli accordi stessi.
Dovendo escludersi che detta voce abbia natura diversa rispetto a quella
indicata dalle parti stipulanti, non è ravvisabile alcuna illegittima alterazione
degli istituti legali da parte dell’autonomia collettiva”.
Va considerato, altresì, che recentemente il significato della norma di cui all’art.
4 del d. lgs. n. 146 del 1997, individuato dalla giurisprudenza sopra citata, è
stato esplicitato anche dal legislatore, che al d.l. n. 98 del 2011, art. 18, comma
18, conv. nella legge n. 111 dello stesso anno, ha specificato che “il d.lgs. 16
aprile 1997, n. 146, art. 4 e il d.l. 10 gennaio 2006, n. 2, art. 1, comma 5 conv.
con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, si interpretano nel senso
che la retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore
degli operai agricoli a tempo determinato non è comprensiva della voce del
trattamento di fine rapporto comunque denominato dalla contrattazione
collettiva”.
La parte privata ha depositato memoria
con la quale ha dedotto
l’inammissibilità del ricorso dell’INPS in quanto nello stesso non basta indicare
il valore del processo ai fini del contributo unificato, ma l’INPS avrebbe dovuto
indicare il valore effettivo e preciso della prestazione previdenziale vantata nel
processo, che non coincide con il valore forfettario ai fini della C.U.
Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 152 cpc., novellato dal d.l. n. 98 del 2011, come
convertito in legge: le spese, competenze ed onorari liquidate dal giudice nei
giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della
prestazione dedotta in giudizio.
Ritiene il Collegio che l’eccezione di inammissibilità, così proposta, deve
essere disattesa.
La previsione normativa alla quale la resistente fa riferimento (art. 152 disp. att.
cpc, in particolare penultimo ed ultimo periodo), infatti, non pone oneri
processuali a carico dell’Ente previdenziale, come si evince, peraltro dal tenore
letterale e dalla ratio complessiva dell’art. 152 citato.
Occorre ricordare, come oggetto principale dell’art. 152 disp. att. cpc, è il
beneficio dell’esonero dalle spese giudiziali in favore del lavoratore
soccombente nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o
assistenziali.
La previsione di tale beneficio rinviene la sua ratio, desumibile anche dalle
sentenze n 85 del 1979 e n. 207 del 1994 della Corte costituzionale, nell’evitare
che il timore della soccombenza sulle spese impedisca l’esercizio di diritti
garantiti dalla Costituzione, fermo il limite della manifesta infondatezza e
temerarietà della lite (cfr., Cass., n. 9207 del 2012).
La ratio della disposizione è rimasta inalterata anche in seguito alla sostituzione
– applicabile ai procedimenti incardinati successivamente al 2 ottobre 2003
(Cass. 1 marzo 2004, n. 4165) – introdotta dal d.l. 30 settembre 2003, n. 269,
art. 42, comma 11, convertito con modificazioni, dalla 1. 24 novembre 2003, n.
326, nonché in seguito all’aggiunta del penultimo periodo, richiamato nella
memoria, disposta – con decorrenza dal 4 luglio 2009 – dalla 1. 18 giugno 2009,
n. 69, art. 52.

17 APR:z0ii

È poi intervenuto l’art. 38, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. nella legge n. 111
del 2011 che ha aggiunto un ulteriore periodo al citato art. 152, stabilendo la
sanzione di inammissibilità.
In particolare, per effetto della sostituzione introdotta dal d.l. 269 del 2003, è
stato posto a carico della parte ricorrente nei giudizi per prestazioni
previdenziali o assistenziali l’onere di effettuare fin dalle conclusioni dell’atto
introduttivo — un’apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante il
possesso delle condizioni reddituali previste dalla norma stessa per ottenere
l’esenzione dal pagamento delle spese processuali.
Alla luce della osservazioni svolte, si può rilevare come il penultimo periodo
dell’alt 152 disp. att. cpc., invocato dalla resistente, risponda all’esigenza di
non vanificare la ratio di fondo della disposizione, nel momento in cui si è
passati dall’esonero totale delle spese di giudizio (salvo pretesa temeraria o
infondata) ad un esonero correlato al reddito.
La peculiarità dell’oggetto del giudizio — prestazioni previdenziali assistenzialiassume, quindi rilievo, nel governo delle spese di lite, traducendosi in un tetto
alla liquidazione giudiziale, che dovrà tenere come punto di riferimento il
valore della prestazione dedotta in giudizio.
Il legislatore, in proposito, con la modifica del 2011, ha espressamente chiarito
che “a tal fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula
apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio,
quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo”.
È evidente, quindi, che con l’espressione “parte ricorrente”, in ragione del
tenore complessivo della norma, si intende fare riferimento alla parte che ha
promosso il giudizio per ottenere la prestazione previdenziale e assistenziale e
non all’Ente, quale l’INPS evocato in giudizio con il ricorso introduttivo.
Con riguardo al ricorso dell’INPS, il Collegio condivide e fa proprie le
considerazioni che precedono (cfr. Cass. n. 200 del 5 gennaio 2011, id n.
11152 del 20 maggio 2011, n. 17832 del 30 agosto 2011, n. 7118 del 10 maggio
2012 e numerose altre conformi), considerato, altresì, che, come dedotto nella
relazione, recentemente il significato della norma di cui all’art. 4 del d. 1gs. n.
146 del 1997, individuato dalla giurisprudenza sopra citata, è stato esplicitato
anche dal legislatore. Pertanto, il ricorso dell’I.N.P.S. va accolto e la sentenza
della Corte di appello di Bari va cassata nella parte impugnata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere
decisa nel merito, col rigetto della domanda iniziale con riferimento alla
inclusione del T.F.R. nella base di calcolo dell’indennità di disoccupazione.
L’esito complessivo della lite e la considerazione relativa alla
sopravvenienza della norma di legge interpretativa citata inducono all’integrale
compensazione tra le parti delle spese dell’intero processo.
P . Q .M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel
merito, rigetta la domanda quanto alla inclusione del T.F.R. nella base di
zione agricola; s wildell’intero giudizio
calcolo dell’indennità di disoccutweGa
ITAM111
compensate.
Roma, 14 marzo 2013
Il Presidente

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