Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9405 del 12/04/2017

Cassazione civile, sez. I, 12/04/2017, (ud. 13/10/2016, dep.12/04/2017),  n. 9405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10829-2012 proposto da:

P.M., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CRESCENZIO 42, presso l’avvocato PAOLO PAGLIARA, rappresentata e

difesa dagli avvocati ANTONIO MALERBA, MARIA ROSARIA FAGGIANO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., già BANCO DI NAPOLI S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA SANT’ANDREA DELLA VALLE 6, presso l’avvocato NICOLA

PALOMBI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MASSIMILIANO BIANCHI, GINO CAVALLI, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 198/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 10/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato A. MELERBA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato N. PALOMBI che ha chiesto

l’inammissibilità del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.M. ha chiesto l’accertamento dell’illegittimità ed illiceità per usurarietà del pattuito tasso d’interessi corrispettivi relativi alla quota di mutuo che si era accollata con l’acquisto di una porzione immobiliare, facente parte di un più ampio complesso gravato di mutuo ipotecario, frazionato in proporzione delle singole unità immobiliari destinate alla vendita. Aveva, altresì, richiesto la restituzione delle somme indebitamente versate a tale titolo. Rigettata la domanda in primo grado, il giudice d’appello ha sostanzialmente confermato la pronuncia di primo grado osservando, per quel che interessa:

– la L. n. 108 del 1996 non è retroattiva e, a seguito dell’intervento del D.L. n. 394 del 2000 convertito nella L. n. 24 del 2001, è stato definitivamente stabilito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento. Nella specie, il mutuo è stato stipulato nel 1994, con conseguente non usurarietà del tasso annuo degli interessi corrispettivi così come pattuiti. La norma d’interpretazione autentica, precisa la corte territoriale ha superato il vaglio della Corte Costituzionale (Corte Cost. 29/2002). Ne consegue l’inapplicabilità dei criteri fissati dalla L. n. 108 del 1996 con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della legge, anche se riferite alla parte di rapporto ancora in essere dopo l’entrata in vigore della legge predetta. In tale ultima ipotesi non può procedersi alla riconduzione del tasso d’interesse al tasso soglia.

– il piano di ammortamento ha natura negoziale e forza di legge dal momento che sono chiaramente pattuite tutte le indicazioni necessarie per quantificare il tasso d’interesse ultralegale applicato al contratto di mutuo.

– Il contratto di erogazione e quietanza contiene la specifica pattuizione degli interessi di mora (art. 14 condizioni generali).

In ordine all’applicazione effettiva, nel corso del rapporto, di un tasso superiore a quello nominale pattuito, dovuto sia al meccanismo di calcolo del piano di ammortamento sia all’applicazione dell’anatocismo, la Corte d’Appello ha rilevato che, all’esito della consulenza tecnica d’ufficio espletata, è emersa la sostanziale infondatezza della censura salvo una differenza marginale tra la somma indicata dalla banca e quella accertata (Euro 1.375,26), risultando pagati dalla appellante solo i primi dieci ratei (ultimo con scadenza 1/5/2000) ed essendo stato rinegoziato, come richiesto dalla legge, il mutuo con riduzione del tasso, inizialmente pattuito nel 13,75%, in quello inferiore del 9,96 a partire dalla 13 esima rata fino alla trentesima.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione P.M.. Ha resistito con controricorso l’istituto bancario. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione della L. n. 108 del 1996; del D.L. n. 394 del 2000, degli artt. 1339, 1367, 1418, 1419, 1424 e 1815 c.c. in correlazione con l’art. 3 Cost. per non aver applicato il seguente corretto principio di diritto alla fattispecie dedotta in giudizio: quando gli interessi originariamente pattuiti sono al di sotto del tasso soglia oppure sono determinati in epoca antecedente all’emanazione della normativa, ma nel corso del rapporto superino il tasso soglia, deve procedersi alla riduzione del tasso a quello legale. Nella specie ciò si è verificato dal 1/4 al 30/6 1998. Anche se la norma si riferisce al momento genetico del contratto è del tutto irragionevole che non possa applicarsi nell’ipotesi di nullità sopravvenuta della clausola che spiega i suoi effetti solo da quando la nullità opera.

Anche se il contratto dovesse ritenersi valido al momento genetico perchè stipulato anteriormente all’entrata in vigore della normativa antiusura, la nullità sarà applicabile in caso di sopravvenuta illiceità del tasso. Ne consegue che ex art. 1339 e 1419 c.c. il contratto deve adeguarsi al tasso soglia.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1346 e 1418 c.c. dovendosi ritenere il contratto di mutuo nullo per impossibilità dell’oggetto,per essere ratei di mutuo del tutto sproporzionati rispetto al reddito (da pensione) della mutuataria e del suo stato di bisogno (acquisto prima casa), al di là del profilo dell’usurarietà.

Nel terzo motivo viene denunciato il vizio di motivazione in ordine all’omessa risposta da parte del consulente tecnico d’ufficio ai quesiti, volti ad accertare l’applicazione della capitalizzazione vietata degli interessi moratori. Il consulente ha proceduto a rielaborare il piano di ammortamento secondo il sistema alla francese senza tuttavia precisare che l’adozione di tale sistema importa violazione del divieto di anatocismo. Il procuratore della ricorrente ha richiesto inutilmente, al riguardo, la riconvocazione del consulente d’ufficio per colmare tale lacuna, nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado.

Nel quarto motivo viene dedotta ex art. 350 c.p.c., n. 5, la nullità della clausola contrattuale relativa alla penale o mora, relativa all’estinzione anticipata o risoluzione del mutuo. Il mero esame della clausola ne evidenzia l’illegittimità. Essa porta ad una penale pari alla metà del capitale nonchè al rilievo della sua indeterminabilità se riferita al momento genetico del contratto.

Nel quinto motivo viene dedotta, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la nullità delle norme contrattuali sulla pattuizione degli interessi ultralegali per il divieto di anatocismo e per inosservanza del TEG. In particolare viene rilevato che nel contratto è indicato solo il tasso nominale e non quello effettivo degli interessi ultralegali applicati. Peraltro il piano di ammortamento non è stato approvato dal mutuatario per iscritto. Vi è stata palese violazione del principio di buona fede sia nella fase di conclusione del contratto che in corso di esecuzione per aver conteggiato gli interessi composti illegittimamente sulla base di un piano di ammortamento unilateralmente predisposto.

Si ritiene di affrontare preliminarmente i motivi dal secondo al quinto in quanto non riguardanti specificamente il profilo dell’usurarietà del tasso applicato in corso di contratto.

Il secondo motivo è inammissibile per radicale genericità. Non è del tutto comprensibile quali siano i rilievi di nullità riferiti all’intero contratto, essendo sovrapposti il profilo della “sproporzione” e dello stato di bisogno, peraltro, astrattamente produttivi, ove concretamente prospettati, della risoluzione e non della dichiarazione di nullità e quello dell’indeterminabilità dell’oggetto solo apoditticamente indicata, come riferibile all’intero testo negoziale e non solo alla clausola determinativa degli interessi moratori.

Ugualmente inammissibile il terzo motivo in quanto rivolto ad un’integrazione degli accertamenti di fatto e delle valutazioni tecniche eseguiti nel giudizio di merito. In particolare circa l’omissione ascritta alla consulenza tecnica d’ufficio, deve preliminarmente rilevarsi la mancata prova delle tempestiva contestazione, non essendo sufficiente l’indicazione temporale del rilievo in comparsa conclusionale senza precisare se si trattasse della prima difesa successiva al deposito della consulenza. Inoltre deve osservarsi che la parte ricorrente indica come omissione la non condivisione del criterio di calcolo adottato dal consulente per la valutazione della legittimità del piano di ammortamento. Tale valutazione è stata svolta ed ha avuto la condivisione, insindacabile perchè largamente argomentata, del giudice di merito.

Quanto al quarto motivo, se ne deve dichiarare l’inammissibilità per la novità della censura. La parte ricorrente al riguardo non formula una censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa pronuncia e nulla obietta, in memoria, al rilievo contenuto in controricorso secondo il quale la questione dell’illegittimità per eccessività della penale in caso di omesso o ritardato pagamento sarebbe stata sollevata tardivamente solo in appello e per questa ragione non trattata dal giudice di secondo grado.

Il quinto motivo, infine, deve ritenersi manifestamente infondato dal momento che nel giudizio d’appello è stata svolta, accogliendo la richiesta istruttoria dell’appellante, l’indagine tecnica sul dedotto netto superamento del tasso effettivo globale (TEG) calcolato in concreto rispetto a quello nominale. La verifica, da ascriversi agli accertamenti di fatto insindacabili eseguiti nel giudizio di merito, ha escluso la fondatezza di tale rilievo. Il consulente d’ufficio ha, inoltre rielaborato il piano d’ammortamento “con rata costante” tenendo conto anche della censura relativa al divieto di anatocismo e non ha riscontrato l’applicazione della capitalizzazione trimestrale. Tali accertamenti complessivi, ampiamente argomentati a pag. 11 e 12 della sentenza impugnata non sono sindacabili nel giudizio di legittimità. Peraltro non può non sottolinearsi la genericità della contestazione rivolta al criterio di calcolo “alla francese” adottato dal consulente d’ufficio. Non sono precisati nè il metodo contestato nè le ragioni per cui consentirebbe la quantificazione d’interessi composti.

Il primo motivo è invece fondato alla luce dei più recenti orientamenti di questa Corte, successivi a quelli contrari, dedotti dalla parte controricorrente. La diversità delle opzioni interpretative si è formata, anche successivamente all’entrata in vigore della norma d’interpretazione autentica introdotta dal D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1 convertito nella L. n. 241 del 2001, ritenuta costituzionalmente legittima dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 2002. Nell’art. l sopra citato è affermato che s’intendono usurari gl’interessi che superano il limite legale nel momento in cui sono promessi o convenuti, indipendentemente dal momento del pagamento. Tale scelta legislativa secondo la quale “le sanzioni penali e civili stabilite nell’art. 644 c.p. e art. 1815 c.c. trovano applicazione con riguardo alle sole ipotesi di pattuizioni originariamente usurarie, costituisce tra le tante astrattamente possibili – un’interpretazione chiara e lineare delle suddette norme codicistiche e non determina alcuna efficacia irrazionalmente sanante della natura usuraria di tassi d’interesse corrispettivo contenuti in contratti preesistenti”.(sent. Corte Cost. 29 del 2002).

Una delle opzioni interpretative esclude che, all’esito dell’interpretazione autentica intervenuta D.L. n. 394 del 2000, ex art. 1 convertito nella L. n. 241 del 2001, il superamento del tasso soglia degli interessi corrispettivi originariamente convenuti in modo legittimo, in corso di esecuzione del rapporto possa determinare ex art. 1339 e 1418 c.c. la riduzione entro i limiti stabiliti dalla legge così come integrata dai D.M. periodicamente emanati e contenenti la determinazione del tasso predetto per le diverse tipologie contrattuali cui esso è applicabile. Viene valorizzato il dato testuale dell’art. 1 ed in particolare la locuzione “indipendentemente dal loro pagamento”. La legittimità iniziale del tasso convenzionalmente pattuito spiega la sua efficacia per tutta la durata del contratto nonostante l’eventuale sopravvenuta disposizione imperativa che per una frazione o per tutta la durata del contratto, successiva alla sua instaurazione, ne indichi la natura usuraria a partire da quel momento in poi.

Questo orientamento, formatosi su fattispecie consistenti in contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 ha trovato conferma nel 2016 con la sentenza n. 801 (preceduta da Cass. n. 480 del 2003; 6514 del 2007; 26499 del 2009).

Successivamente a tale pronuncia tuttavia, sostenuto da un rilevante numero di precedenti anche recenti (Cass. 2140 del 2006, con espresso riferimento alla norma d’interpretazione autentica, 17854 del 2007; 602 del 2013 e 6550 del 2013) si è affermato un orientamento contrario che merita adesione, con la pronuncia n. 17150 del 2016, secondo la quale “Le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura (introdotte con la L. n. 108 del 1996, art. 4), pur non essendo retroattive, comportano l’inefficacia “ex nunc” delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore sulla base del semplice rilievo, operabile anche d’ufficio dal giudice, che il rapporto giuridico, a tale momento, non si era ancora esaurito.

Alla luce di questo orientamento la norma d’interpretazione autentica contenuta nel citato D.L. n. 394 del 2000, art. 1 convertito nella L. n. 241 del 2001, secondo la quale la valutazione dell’usurarietà del tasso d’interesse deve essere svolta sulla base di quello pattuito originariamente, non elimina l’efficacia del rilievo dell’illiceità dovuta al sopravvenuto superamento del tasso soglia ma esclude che possano essere applicate le sanzioni civili e penali (come specificamente indicato da Corte Cost. n. 29 del 2002) stabilite all’art. 644 c.p. e art. 1815 c.c.. Questa costituisce l’unica opzione ermeneutica compatibile con la natura inderogabile ed imperativa della determinazione normativa periodica dei tassi soglia per ciascuna tipologia contrattuale ivi prevista.

Pertanto ove, come nella specie, il rilievo dell’usurarietà sopravvenuta sia stato tempestivamente eccepito, il giudice del merito è tenuto ad accertarlo per la frazione temporale nella quale il superamento del tasso soglia sia effettivamente intervenuto ed applicare per quel segmento del rapporto contrattuale il tasso soglia previsto in via normativa secondo la rilevazione trimestrale eseguita L. n. 108 del 1996, ex art. 2.

L’accoglimento del primo motivo determina la cassazione con rinvio della sentenza impugnata alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione perchè si uniformi ai principi di diritto sopra enunciati.

PQM

Accoglie il primo motivo. Dichiara inammissibili i primi tre motivi e rigetta il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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