Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9404 del 09/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 09/04/2021), n.9404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Consigliere –

Dott. NONNO G. M. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 271/2014 R.G. proposto da:

A.M. s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona

dei Commissari straordinari pro tempore, elettivamente domiciliata

in Roma, via Panama n. 68, presso lo studio dell’avv. Giovanni

Puoti, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Marche n. 56/02/13, depositata il 23 settembre 2013 e notificata il

17 ottobre 2013.

Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto

procuratore generale Dott. Visonà Stefano, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 gennaio

2021 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 56/02/13 del 23/09/2013 la Commissione tributaria regionale delle Marche (di seguito CTR) ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Ancona (di seguito CTP) n. 275/04/07, la quale aveva a sua volta accolto il ricorso di A.M. s.p.a. in amministrazione straordinaria (di seguito Merloni) nei confronti di un avviso di accertamento a fini IVA relativa all’anno d’imposta 2001;

1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento nei confronti di Merloni era stato emesso in ragione della violazione delle disposizioni concernenti le cessioni intracomunitarie in sospensione d’imposta, essendo stati indicati, nelle fatture e nei modelli intrastat, codici identificativi IVA cessati anteriormente alla cessione;

1.2. la CTR accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate evidenziando, per quanto ancora interessa in questa sede, che Merloni non aveva fornito la prova della circostanza che, nonostante l’indicazione di codici identificativi errati, l’IVA sia stata assolta dal cessionario nel Paese di destinazione della merce;

2. avverso la sentenza della CTR Merloni proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.;

3. l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso Merloni deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione della normativa inerente l’armonizzazione della disciplina IVA interna con le direttive unionali e, in particolare, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, artt. 41,46 e 50, conv. con modif. nella L. 29 ottobre 1993, n. 427;

1.1. nella prospettazione della società contribuente gli elementi caratterizzanti l’operazione intracomunitaria non imponibile dovrebbero essere unicamente individuati: a) nel trasferimento all’acquirente del potere di disporre dei beni come proprietario; b) nella spedizione o trasporto del bene in un altro Stato membro; c) nell’effettiva fuoriuscita della merce dal territorio dello Stato membro del soggetto cedente;

1.2. in questo contesto, avrebbe errato la sentenza nell’affermare che la non imponibilità della cessione intracomunitaria sia condizionata dalla corretta indicazione del codice identificativo IVA del cessionario comunitario, errore che integrerebbe una mera irregolarità formale in presenza degli altri requisiti sostanziali;

2. con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione o la falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41 e dell’art. 23 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che la prova dell’assolvimento dell’IVA da parte del cessionario comunitario non sarebbe requisito essenziale per il riconoscimento della non imponibilità (interna) dell’imposta;

3. con il terzo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla affermata mancanza di prova dell’assolvimento dell’IVA da parte della società cessionaria;

4. i primi due motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati e sono fondati, con conseguente assorbimento del terzo motivo;

4.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema d’IVA, le cessioni intracomunitarie, a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 50, commi 1 e 2, conv. in L. n. 427 del 1993, sono effettuate senza applicazione d’imposta nei confronti dei cessionari e dei committenti che abbiano comunicato il numero d’identificazione attribuito dallo Stato di appartenenza a condizione che il soggetto attivo dello scambio dia impulso ad una apposita procedura di verifica, richiedendo al Ministero la conferma della validità attuale del numero d’identificazione attribuito al cessionario; in assenza di tali adempimenti, legittimamente l’Ufficio finanziario può ritenere che lo scambio abbia carattere nazionale e procedere al recupero dell’IVA, restando onere del contribuente provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo” (Cass. n. 15871 del 29/07/2016; Cass. n. 3603 del 13/02/2009);

4.1.1. il cedente ha, dunque, l’onere di dimostrare, oltre alla qualità di soggetto passivo IVA del cessionario comunitario, non solo la consegna della merce al vettore, ma anche l’effettività del trasporto della merce nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario o, in mancanza, di fornire adeguata prova della propria buona fede, cioè di non sapere o di non aver potuto sapere che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente e di avere adottato tutte le misure ragionevoli per evitare di partecipare alla frode, così come stabilito da CGUE 6 settembre 2012, in C-273/11, Mecsek (Cass. n. 4045 del 12/02/2019; Cass. n. 26062 del 30/12/2015; Cass. n. 4636 del 26/02/2014. Si veda, da ultimo, anche CGUE 17 ottobre 2019, in causa C-653/18, Unitel);

4.1.2. pertanto, la semplice indicazione di un codice identificativo erroneo o la sua omissione così come la mancata attivazione della procedura di verifica, se possono legittimare l’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, non sono sanzionate dalla legge e non giustificano, di per sè, il diniego della non imponibilità, che è legata al mancato assolvimento, da parte della società contribuente, della prova della sussistenza dei requisiti sostanziali dell’operazione intracomunitaria, salva l’esistenza di una frode (cfr. Cass. n. 22127 del 27/09/2013; Cass. n. 16328 del 17/07/2014; Cass. n. 17254 del 29/07/2014; Cass. n. 21183 del 08/10/2014; Cass. n. 23763 del 20/11/2015; Cass. n. 16756 del 09/08/2016; Cass. n. 10006 del 24/04/2018; Cass. n. 25651 del 15/10/2018);

4.2. nel caso di specie, la CTR ha attribuito rilevanza determinante alla erronea indicazione del codice identificativo IVA, che costituisce una semplice violazione formale, nonchè alla mancata prova, da parte della società contribuente, dell’effettivo assolvimento dell’IVA da parte del cessionario comunitario, che non ha alcun rilievo ai fini della prova della sussistenza dei requisiti sostanziali per il godimento del regime di non imponibilità;

4.3. posto che non è oggetto di contestazione la soggettività IVA del cessionario, il giudice di appello, invece, avrebbe dovuto concentrare la propria attenzione sulla sussistenza dei menzionati requisiti oggettivi e, in primo luogo, sulla prova della effettività del trasporto della merce nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario ovvero sulla eventuale buona fede del cedente;

5. in conclusione, la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CTR delle Marche, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2021

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