Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9400 del 27/04/2011

Cassazione civile sez. III, 27/04/2011, (ud. 04/02/2011, dep. 27/04/2011), n.9400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10316/2006 proposto da:

P.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZALE CLODIO 13, presso lo studio dell’avvocato PORFIDIA

Vincenzo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PORFIDIA DOMENICO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIEMONTE

32, presso lo studio dell’avvocato SPADA GIUSEPPE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FORMATO Cesare giusta delega in calce al ricorso

notificato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 523/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

Sezione Terza Civile, emessa il 17/2/2005, depositata il 25/02/2005,

R.G.N. 991/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/02/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato VINCENZO PORFIDIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 25/2/2005 la Corte d’Appello di Napoli respingeva il gravame interposto dal sig. P.D. nei confronti della pronunzia Trib. S. Maria Capua Vetere 30/3/2001 di accoglimento della domanda spiegata dal sig. D.P.A. di restituzione della somma di L. 10.000.000 detenuta senza alcun titolo.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il P. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il D.P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 2033 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che dalla “risultanze processuali” emerge come “nell’intero procedimento di prime cure” non sia stata dalle parti formulata “alcuna domanda” nè sollevate �eccezioni sul petitum (deciso ex art. 2033 c.c.)”, e che “in sede di gravame lo stesso petitum ha costituito oggetto di vera e propria domanda nuova, specie sotto il profilo della causa petendi, rispetto a quella formulata nel libello introduttivo”.

Si duole che “la Corte non si è accorta che il Tribunale, in effetti, ha esaminato una fattispecie del tutto diversa ed, anzi, antitetica a quella pacificamente prospettata dalle parti e (per tabulas) attestata agli atti di causa da cui risulta la piena legittimità (ed, in ogni caso le ragioni) del pagamento dell’importo della somma di L. 62.000.000 effettuato nelle mani dell’avv. P., il quale (nella prefata dichiarazione) ha assunto precise obbligazioni esclusivamente nella qualità di procuratore dei germani N. ed, in particolare, di consegnare a questi ultimi l’importo e di riservare la custodia limitata alla somma di L. 10.000.000 (Euro 5.164,57) per un tempo limitato alla definitiva transazione della causa in corso tra il D.P. ed i germani N.)”.

Lamenta che il giudice dell’appello erroneamente ha escluso che “nella fattispecie in esame … vi sia stata da parte del giudice un’arbitraria integrazione della prospettazione dei fatti stessi, non essendovi alcun dubbio sul fatto che la domanda attrice era basata esclusivamente sulla dichiarazione del 06.10.1989, tanto è vero che soltanto in tale direzione si è sviluppato il contraddittorio anche a seguito della posizione processuale assunta dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta”.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente “intravisto, di ufficio, la prova dell’indebito oggettivo su quel documento cui entrambe le parti avevano attribuito valore probatorio a sostegno delle loro opposte richieste circa l’esistenza di un giusto titolo, o meno, a trattenere una parte (L. 10.000.000) della somma (L. 62.000.000) oggetto di un pagamento legittimamente effettuato”.

Con il 2^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1703 c.c., art. 1704 c.c., e segg., artt. 1766 e 1768 c.c., art. 1362 c.c., e segg., artt. 1375 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa e inconferente motivazione” su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che i giudici di merito abbiano erroneamente interpretato la dichiarazione in questione, stravolgendo persino il senso letterale delle parole “custodia” e “consegna”.

Lamenta emergere “per tabulas” che “non si è mai verificata la preventivata definitiva transazione della causa in corso”.

Con il 3^ motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si duole che la corte di merito abbia “sommariamente” ed “elusivamente” rigettato “il motivo di appello sull’ingiusto diniego della richiesta di mezzi di prova”.

Lamenta che “gli elementi addotti dal giudice di secondo grado a sostegno della propria decisione, ovvero la lettura del contratto e in particolare l’intestazione dello stesso … non possono in alcun modo essere considerarsi come idonee ed esaustive argomentazioni sulle quali fondare una così rilevante presa di posizione”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr., Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierno ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come il medesimo faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., alla “dichiarazione … in data 06.10.1989”, alla “comparsa del 28.04.1994”, alla “citazione (07.03.1994)”, alla consegna dal rev. Don R.S., nel contesto del maggiore importo di L. 62.000.000, allo scopo di conseguire la transazione di un giudizio in corso coni germani N., patrocinati dallo stesso avv. P.”, alla richiesta, nella “fase istruttoria di prime cure”, di “provare di aver adempiuto agli obblighi assunti nell’anzidetta sua dichiarazione, a mezzo di interrogatorio formale, di escussione dei testi indicati”, a “documenti idonei a poter dimostrare il successivo sviluppo della vicenda relativa alla prevista definitiva transazione … ved. verbali di udienza del 25.05,1995 e 28.05.1996 del primo grado”, all'”atto di appello”, alle “risultanze processuali” del “procedimento di prime cure”, alla “sentenza di prime cure”, agli “atti di causa da cui risulta la piena legittimità (ed, in ogni caso le ragioni) del pagamento dell’importo della somma di L. 62.000.000 effettuato nelle mani dell’avv. P., il quale (nella prefata dichiarazione) ha assunto precise obbligazioni esclusivamente nella qualità di procuratore dei germani N. ed, in particolare, di consegnare; a questi ultimi l’importo e di riservare la custodia limitata alla somma di 310.000.000 (Euro 5.164,57 ) per un tempo limitato alla definitiva transazione della causa in corso tra il D.P. ed i germani N.”, alla “domanda attrice”, alla “documentazione prodotta dalle parti”, ai “rimanenti due motivi di appello”, al “n. 4 del fol. Prod. Del convenuto in primo grado e riprodotto in appello”, alla “sentenza n. 2345/90 del Tribunale di S. Maria C.V.”, al “terzo motivo di appello”, ai “documenti elencati sotto le lettere a, b, c, d, (ved.

verbale di udienza del 27.03.1997)”, alla reiterazione della “richiesta di deferire all’attore l’interrogatorio formale ed in subordine chiede ammettersi prova per testi sui capi a, b, e quali risultano specificati nell’udienza del 25.05.1885” limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v.

Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., l/2/1995, n. 1161).

Quanto al denunziato vizio ex art. 112 c.p.c., rilevato, da canto, che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità l’omesso esame di una domanda e la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sono deducibili con ricorso per cassazione esclusivamente quali errores in procedendo ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., 23/3/2011, n. 6672; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307) (nullità della sentenza e del procedimento) (v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 8468), e non già come nella specie sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (e a fortiori del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (v. in particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952; Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 26/1/2006, n. 1701); va per altro verso ribadito che anche alla denunzia della relativa violazione quale vizio integrante error in procedendo il principio di autosufficienza va invero osservato, dovendo specificamente indicarsi l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale) ed abbia quindi il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Orbene, il ricorrente, attesa la rilevata violazione del principio di autosufficienza non ha in ogni caso posto questa Corte nella condizione di compiutamente apprezzare quale fosse l’oggetto della domanda originariamente rivolta al giudice di prime cure, quale sia stata la relativa pronunzia, e quali fossero i limiti (oggettivi e soggettivi) del gravame avverso la medesima interposto.

Senza in argomento sottacersi come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato non rimane violato allorquando il giudice esamini una questione non espressamente formulata laddove questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (v. Cass., 26/10/2009, n. 22595); ovvero ricostruisca e qualifichi l’azione diversamente da come prospettato sia di accertare la presenza degli elementi caratterizzanti l’efficacia costitutiva od estintiva della pretesa avanzata, attenendo tale accertamento all’obbligo di esatta applicazione della legge (v. Cass., 28/1/2000, n. 961); o, ancora, pronunzi in base a ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, o in base a norme giuridiche diverse da quelle dalle medesime invocate (v., Cass., 30/8/1997, n. 8258).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, cantra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 700,00 per onorar, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2011

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