Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9400 del 12/04/2017

Cassazione civile, sez. lav., 12/04/2017, (ud. 31/01/2017, dep.12/04/2017),  n. 9400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12087-2011 proposto da:

STUDIO TRE TECNOLOGIA E RESTAURO DI TIZIANA CONTI E TOMMASO SENSINI

S.N.C., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAMERINO 15,

presso lo studio dell’avvocato ROMOLO GIUSEPPE CIPRIANI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BORRI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, ENRICO MITTONI, LELIO MARITATO, CARLA

D’ALOISIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 207/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 10/02/2011 R.G.N. 33/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARCELLO MATERA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRA VICINANZA per delega verbale Avvocato

PAOLO BORRI;

udito l’Avvocato CARLA D’AOLISIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata in data 10 febbraio 2011, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto dalla Studio Tre s.n.c. Tecnologia e Restauro di C.T. e S.T. contro la sentenza resa dal giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda di accertamento negativo proposta dall’appellante nei confronti dell’Inps e avente ad oggetto le obbligazioni per contributi e somme aggiuntive risultanti dal verbale di accertamento n. (OMISSIS), con cui l’Inps aveva contestato la validità di alcuni contratti di lavoro a progetto e aveva considerato subordinati i lavoratori interessati, relativamente al periodo gennaio 2006-marzo 2007.

2. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha ritenuto che i progetti sottoscritti dai lavoratori difettassero del carattere della specificità, non essendo stato individuato un progetto o programma al quale i collaboratori avessero dato un proprio apporto con reale autonomia.

3. Contro la sentenza la società propone ricorso per cassazione e articola quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., al quale si oppone l’Inps con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 61. Assume che ai lavoratori erano stati affidati lavori specificamente individuati, consistenti nel restauro di materiale lapideo e architettonico, di pittura e decorazioni murali, di dipinti su tela e tavola, sculture e altro; che ciascuno provvedeva anche all’allestimento del cantiere e del laboratorio, alla preparazione del materiale più idoneo e agli eventuali spostamenti delle opere oggetto della lavorazione. Assume altresì che la specificità era rilevabile anche dalla temporaneità dell’incarico e che essa può configurarsi anche quando l’attività affidata al lavoratore a progetto rientri in quella principale dell’impresa.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dello stesso art. 61 D.Lgs. cit., dell’art. 2094 c.c.: si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la subordinazione senza compiere alcun accertamento circa l’elemento tipico della subordinazione, costituito dalla sottoposizione del lavoratore al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro.

3. Con il terzo motivo la società censura l’omessa valutazione delle istanze istruttorie, in particolare della prova testimoniale articolata fin dal giudizio di primo grado, tesa a dimostrare le concrete modalità con le quali le prestazioni dei collaboratori erano state eseguite.

4. Infine, con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2697 e 2222 c.c. con riguardo al valore probatorio attribuito alle dichiarazioni allegate ai verbali ispettivi dell’Inps. Si censura la sentenza nella parte in cui ha attribuito ai detti verbali un valore probatorio non previsto dalla legge.

5. Preliminarmente deve darsi atto che non si ravvisano profili di inammissibilità dei motivi di ricorso, dal momento che la parte ha trascritto il contenuto dei contratti di lavoro a progetto e ha altresì provveduto a depositarli unitamente al ricorso per cassazione.

6. Nel merito, i motivi, che si affrontano congiuntamente per la connessione che li lega, sono infondati.

7. il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 1, nel testo vigente ratione temporis (gli accertamenti riguardano contributi relativi al periodo gennaio 2006-marzo 2007, sicchè deve ritenersi che i contratti siano stati stipulati prima delle modifiche apportate al testo originario dalla L. 4 novembre 2010, n. 183 e dai successivi interventi normativi), così disponeva: “1. Ferma restando la disciplina per gli agenti e rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409 c.p.c., n. 2, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”.

7.1. La norma introduce un nuovo tipo contrattuale, il lavoro a progetto, volto a disciplinare le collaborazioni coordinate e continuative previste nell’art. 409 c.p.c., n. 3, prevedendone la stipulazione con un atto scritto, dal quale devono emergere la durata, determinata o determinabile, della collaborazione e la sua riconducibilità a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale, determinati dal committente ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione (Cass. 25/6/2013, n. 15922 e 29/5/2013, n. 13394).

7.2. La finalità del legislatore, come emerge anche dalla Legge Delega 14 febbraio 2003, n. 30, è quello(di delimitare la categoria dei rapporti riconducibili nell’ampia dizione dell’art. 409 c.p.c., n. 3, in modo da evitare l’uso abnorme di contratti ad essa riconducibili “in funzione elusiva o frodatoria della legislazione poste a tutela del lavoro subordinato” (così si esprime la Relazione di accompagnamento al D.D.L. n. 848 del 2001).

7.3. Il successivo art. 62 disciplina la forma che il contratto di lavoro a progetto deve rivestire. In particolare, la norma prevede che il contratto deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere “ai fini della prova” tutta una serie di elementi, quali l’indicazione della durata (lett. a), la indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto (lett. b); il corrispettivo (lett. c); le forme di coordinamento del lavoratore al committente (lett. d); le eventuali misure per la tutela della salute (lett. e).

7.4. Tanto la dottrina quanto la giurisprudenza hanno avanzato diverse ipotesi interpretative sull’uso dei due diversi termini “progetto” e “programma o fase”, e si è sostenuto che il primo sarebbe caratterizzato per la sua funzionalità ad un risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione, ed i secondi per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali.

Per altra parte della dottrina e della giurisprudenza (quest’ultima prevalente), invece, i due termini costituiscono una endiadi, ossia un unico concetto espresso attraverso due diversi sostantivi, da interpretarsi nel senso di una specifica indicazione “di ciò che il committente intende realizzare”. La L. 28 giugno 2012, n. 92sembra aver recepito tali indicazioni interpretative, nella parte in cui ha eliminato ogni riferimento al “programma” di lavoro tanto nell’art. 61 quanto nel successivo art. 62, lasciando che il contratto si caratterizzi per la determinazione (o determinabilità) di uno specifico “progetto”.

In altri termini, le due parole hanno la funzione di indicare segmenti specifici dell’attività organizzata dal committente, definiti sia sotto il profilo strutturale sia sotto quello temporale. Ciò che viene essenzialmente in rilievo è che l’attività affidata con il lavoro a progetto si svolga in piena autonomia, in funzione di un risultato determinato ed in coordinazione con l’organizzazione predisposta dal committente, anche sotto il profilo temporale.

7.5. Il risultato diventa così un fattore chiave che giustifica l’autonomia gestionale del progetto o del programma di lavoro, sia nei tempi sia nelle modalità di realizzazione, e ciò perchè l’interesse del creditore è relativo al perfezionamento del risultato convenuto che, pur non necessariamente identificandosi in uno specifico opus, deve in ogni caso assumere una sua precisa connotazione, differenziandosi dalla mera disponibilità, da parte del committente, di una prestazione di lavoro eterodiretta, tipica del rapporto di lavoro subordinato.

7.6. Conseguentemente, al committente viene richiesto di esplicitare ex ante, in forma scritta (su cui cfr. Cass., 19 aprile 2016, n. 7716), l’obiettivo che il contratto si prefigge di raggiungere ed il risultato della prestazione richiesta al collaboratore, che deve essere necessariamente rivolta a quell’obiettivo; non viene, invece, richiesto che il progetto abbia ad oggetto un’attività altamente specialistica o di particolare contenuto professionale, e tanto meno che sia unica e irripetibile.

7.8. In questa chiave interpretativa, la “specificità del progetto, programma o fase” diviene l’elemento caratterizzante della differenza fra un genuino rapporto di lavoro a progetto e un contratto a progetto stipulato solo per celare un rapporto di lavoro subordinato.

8. Alla luce di queste considerazioni, non si ravvisa nell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale alcuna violazione di legge, essendo la stessa conforme al dato testuale e alla ratio della disposizione.

La Corte di merito ha osservato, sulla scorta dei documenti contrattuali, che il progetto non coincideva con un lavoro a termine a contenuto qualificato, il quale non può essere confuso genericamente con il bagaglio di esperienze professionalità del lavoratore; ha accertato che i lavoratori avevano il trattamento assimilabile ad un operaio edile in trasferta, senza alcuna disponibilità e gestione dei mezzi necessari alla realizzazione dell’opera secondo un programma autonomo; ha valorizzato le dichiarazioni rese dagli stessi lavoratori agli ispettori verbalizzanti, nella parte in cui costoro hanno dichiarato di aver rispettato un orario di quaranta ore settimanali, con riposo il sabato e la domenica, di aver percepito una somma mensile, dì aver ricevuto direttive generali da uno dei soci della s.n.c. Ha quindi escluso l’esistenza di uno specifico progetto o programma di lavoro idoneo a qualificare i rapporti come rapporti di lavoro a progetto sulla base di un complesso motivazionale articolato e non già in forza della mera constatazione che l’attività affidata ai lavoratori rientrava nell’attività tipica della società, specializzata nel restauro di edifici d’epoca. Il procedimento logico seguito dalla Corte territoriale è dunque pienamente condivisibile.

8. Del resto, il problema posto dalla controversia non è quello di accertare quale sia stato il lavoro svolto dal lavoratore in difformità rispetto a quello indicato nel contratto, ma, più a monte, di valutare se l’attività specificata nel contratto di lavoro a progetto fosse inquadrabile nello schema legislativo del lavoro a progetto o fosse un lavoro di natura subordinata.

8.1. In questa prospettiva, è evidente la mancanza di decisività della prova testimoniale richiesta dalla parte, in quanto diretta a dimostrare le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, giacchè ciò che rileva è il giudizio della Corte territoriale circa la mancata previsione nel contratto di uno specifico progetto o programma di lavoro. Sul punto, la motivazione è congrua ed esaustiva, sicchè non si ravvisano i denunciati vizi motivazionali.

8.2. Come è stato già affermato da questa Corte (Cass. 10/5/2016, n. 9471), l’art. 69 D.Lgs. cit., prevede due distinte ipotesi: la prima ricorre allorchè un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa venga instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso; la seconda si verifica qualora venga accertato dal giudice che il rapporto, instaurato ai sensi dell’art. 61, si è venuto concretamente a configurare come un rapporto di lavoro subordinato.

8.3. Benchè entrambe siano sanzionate con l’applicazione della disciplina propria dei rapporti di lavoro subordinato, si tratta però di fattispecie strutturalmente differenti, giacchè nella prima rileva il dato formale della mancanza di uno specifico progetto a fronte di una prestazione lavorativa che, in punto di fatto, rientra nello schema generale del lavoro autonomo (sulla riconducibilità della collaborazione coordinata e continuativa nell’alveo del lavoro autonomo cfr., fra le tante, Cass. n. 6053 del 1986), laddove nella seconda rilevano le modalità di tipo subordinato con cui, nonostante l’esistenza di uno specifico progetto, è stata di fatto resa la prestazione lavorativa.

8.4. Ne consegue che, in mancanza di progetto, programma di lavoro o fase di esso, la conversione automatica dei rapporti di lavoro subordinato non può essere evitata dal committente-datore di lavoro neppure provando che la prestazione lavorativa sia stata caratterizzata da una piena autonomia organizzativa ed esecutiva. A fronte della chiarezza del testo normativo nessun rilievo può assumere la circolare ministeriale n. 1 del 2004, che ha configurato la previsione di cui all’art. 69, comma 1 come presunzione relativa, anzichè assoluta, e ponendo a carico del committente che intenda evitare la conversione del rapporto di lavoro a progetto in rapporto di lavoro subordinato l’onere di provare in giudizio l’autonomia del collaboratore. Va invero ricordato che la interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o in risoluzioni, non vincola nè le parti nè i giudici, nè infine costituisce fonte di diritto (Cass., Sez. Un, 21 maggio 1973, n. 1457).

8.5. In definitiva, è corretta la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha fatto discendere dall’accertamento della mancanza di un programma di lavoro specifico la trasformazione ope legis del lavoro (nominalmente) a progetto in rapporto di lavoro subordinato sin dalla data della sua costituzione, a nulla rilevando le concrete modalità di svolgimento del rapporto (in tal senso, Cass. 21/6/2016, n. 12820).

9. Infine, non sussiste alcuna violazione degli artt. 2697 e 2222 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. dal momento che non si rinvengono nella sentenza affermazioni in contrasto con le regole di ripartizione degli oneri probatori di cui all’art. 2697 c.c., nel senso che non è stato posto l’onere della prova a carico di una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate in materia. Nè la Corte ha giudicato sulla base di prove non prodotte o richieste dalle parti, attribuendo valore diverso da quello legale: al contrario, la Corte ha congruamente e esaustivamente fondato il suo giudizio su una valutazione complessiva degli elementi probatori acquisiti in giudizio, esaminando sia i documenti contrattuali sia le dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori verbalizzanti, le quali sono state liberamente apprezzate dal giudice, secondo gli insegnamenti di questa Corte (Cass. 6/09/2012, n. 14965).

10. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del principio della soccombenza, le spese del presente giudizio devono essere poste a carico della ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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