Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 940 del 20/01/2010

Cassazione civile sez. II, 20/01/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 20/01/2010), n.940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 512-2005 proposto da;

GA.CA., (OMISSIS) elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA F DATINI 8, presso lo studio dell’avvocato GRANDE

NICOLETTA, rappresentata e difesa dagli avvocati MILANO GAETANO,

PINTO FERDINANDO;

– ricorrente –

contro

G.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. G. BELLI 39, presso lo studio dell’avvocato ANNECCHINO

MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato DELLA PIETRA LELIO;

– controricorrente –

e contro

GA.GI.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3430/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Sorrento in data 20.12.1980, G. G., premesso di essere proprietario di un immobile sito in (OMISSIS), posto a quota inferiore rispetto a confinante fabbricato di proprietà di Ga.Gi. e F., lamentava che quest’ultimi a causa di alcuni lavori di scavo di un canalone eseguiti sul loro fondo, avevano cagionato delle infiltrazioni di acqua nella proprietà di esso i ricorrente;

chiedeva pertanto i provvedimenti interdettali idonei ad eliminare tali inconvenienti. Dopo l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio la causa veniva rimessa al Tribunale di Napoli competente per valore ed ivi riassunta dal G.G., con atto in data (OMISSIS), con cui conveniva in giudizio Ga.Gi. e F. al fine di sentirli condannare al ripristino dello stato dei luoghi, all’eliminazione delle infiltrazioni ed al risarcimento dei danni, nonchè alla rimozione della recinzione metallica che occludeva il cancello di proprietà di esso attore, così impedendogli l’accesso sulla strada comunale. Si costituivano in giudizio Ga.Gi. e F., contestando la domanda avversaria di cui chiedevano il rigetto. Nel corso di causai interveniva Ga.Ca. in quanto avente causa di Ga.

G., da cui aveva acquistato il fabbricato di sua proprietà, ed aderiva a tutte le difese svolte dai convenuti.

Espletate due c.t.u. il tribunale di Napoli, con sentenza non definitiva n. 5589/89, accoglieva parzialmente la domanda del G.G., e condannava Ga.Ca. ad eseguire le opere indicate dal CTU geom. A. per l’eliminazione delle infiltrazioni nel fabbricato dell’attore, nonchè al risarcimento dei danni da liquidarsi in prosieguo d’istruttoria; rigettava infine la domanda attrice per quanto riguardava il ripristino del passaggio attraverso il cancello chiuso con rete metallica da Ga.Gi.. Detta pronuncia era appellata dal G.G. per quanto riguarda tale ultimo profilo, cioè la chiusura del cancello; ed in via incidentale da Ga.Ca., che riteneva di non essere responsabile dei danni connessi con le lamentate infiltrazioni.

Nel frattempo lo stesso Tribunale pronunciava sentenza definitiva n. 9040/91 del 28.06.2001 con cui condannava la Ga.C. al pagamento della somma di L. 28.580.000, oltre interessi per i danni arrecati alla proprietà G.G. in conseguenza delle indicate infiltrazioni. Avverso detta pronuncia proponeva appello Ga.

C. ed entrambi i giudizi venivano riuniti per essere poi decisi dall’adita Corte d’Appello di Napoli, che, con la pronuncia n. 3430/2003, depos. in data 28.11.2003, accoglieva l’appello proposto dal G.G. avverso la sentenza non definitiva n. 5589/89, e per l’effetto, dichiarava che il suo fondo godeva di un diritto di passaggio su tracciato nella via poderale nella proprietà Ga.; ordinava ai convenuti di rimuovere la rete metallica ostruente lo stesso passaggio; rigettava l’appello incidentale proposto da Ga.Ca. contro la stessa sentenza non definitiva; rigettava infine anche l’appello da quest’ultima proposto avverso la pronuncia definitiva n. 9040/91.

Per la cassazione della sentenza della Corte territoriale Ga.

C. ricorre sulla base di 3 mezzi, con riguardo all’affermata responsabilità per i danni cagionati dalle infiltrazioni d’acqua e con riferimento al diritto di passaggio rivendicato dal G.;

resiste quest’ultimo con controricorso; la ricorrente ha inoltre depositato memoria ex art 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare la Corte ritiene infondata l’eccezione d’inammissibilità dei ricorso, sollevata dal controricorrente, in quanto nella copia notificata dello stesso, non era stata trascritta la procura speciale al difensore, che si assume rilasciata a margine dell’originale.

Invero secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in sede di verifica del requisito dell’anteriorità della procura speciale, necessario, ai sensi dell’art. 365 c.p.c. ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, la mancata trascrizione della procura nella copia notificata determina l’inammissibilità del ricorso soltanto se la copia stessa non contenga elementi idonei a dimostrare la provenienza dell’atto dai difensore munito di mandato speciale (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile il ricorso, reputando sufficienti, ai fini della prova dell’anteriorità della procura, l’espressa menzione nella copia dell’esistenza della procura sull’originale e la attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita su istanza dei ricorrenti e del loro procuratore)” (Cass. n. 4619 del 29/03/2002; Cass. n. 5548 del 19.3.2004; 1526 del 1.2.2003; Cass. n. 12488 del 26.02.2002).

Passando all’esame del ricorso, con il 1 motivo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5; l’omessa valutazione delle prove acquisite; e la motivazione contraddittoria ed incongruente. Lamenta che il convincimento de giudice a quo in sostanza si fondava soltanto sulle conclusioni dell’ultimo consulente tecnico, senza che fossero tenute nel dovuto conto anche le risultanze delle precedenti perizie al fine di stabilire la causa delle infiltrazioni e le connesse responsabilità, che comunque non erano attribuibili al solo Ga., ma dovevano essere in qualche misura riconducibili anche allo stesso G..

invero dalle precedenti perizie era stato fatto cenno alla natura carsica del terreno ed anche all’ipotetica esistenza di una falda freatica come possibili cause o concause delle infiltrazioni stesse, eventi questi non ascrivibile evidentemente al comportamento dei Ga.. Peraltro le quattro c.t.u. eseguite nel corso dei giudizio apparivano ” … in netto contrasto tra loro e perciò inidonee a configurare un quadro di riferimento probatorio cui il giudice potesse fare riferimento per arrivare alla statuizione oggetto di impugnativa”. Dopo aver preceduto ad un sommario esame delle conclusioni dei vari C.T.U. ( M., S., e A.) ritiene la ricorrente che la Corte d’appello non aveva saputo “congruamente motivare il credito conferito ad alcune di quelle consulenze e non ad altre”, nè era comprensibile perchè essa non avesse dato alcuna rilevanza “alle nuove fabbriche realizzate dal G. se non nell’ultimo elaborato dell’arch. S.G. che poneva a carico del G. l’esecuzione di talune opere proprio perchè le stesse andavano ad incidere sul percorso delle acque”.

La doglianza non ha pregio.

Intanto non v’è dubbio che la ricorrente, avrebbe dovuto enunciare in modo specifico – anche se in forma sintetica – in base al principio dell’autosufficienza di ricorso per cassazione le risultanze e gli elementi di causa di cui lamenta la mancata o insufficiente valutazione, evidenziando in specie le eventuali contraddizioni o incongruenze in modo da consentire al giudice di legittimità di esercitare il controllo sulla loro decisività.

D’altra parte come ha osservato questa Corte …” quando il giudice di merito ritenga di aderire alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad una particolareggiata motivazione, ben potendo il relativo obbligo ritenersi assolto con l’indicazione, come fonte del proprio convincimento, della relazione di consulenza, anche nel caso in cui le valutazioni contenute in una prima relazione peritale siano state oggetto di esame critico in una successiva consulenza tecnica d’ufficio, alle cui conclusioni il giudice di merito ritenga di aderire. Anche in questo caso, infatti, è sufficiente la ragionata accettazione dei risultati della nuova consulenza per ritenere implicitamente disattesi, senza necessità di specifica ed analitica confutazione, le argomentazioni e i conclusivi rilievi esposti nella precedente consulenza. (Cass. n. 125 del 09/01/2003).

Si rileva inoltre che il controllo del giudice del merito sui risultati dell’indagine svolta dal consulente tecnico d’ufficio costituisce un tipico apprezzamento di fatto, in ordine al quale il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della sufficienza e correttezza logico-giuridica della motivazione (Cass. n. 19661 del 13/09/2006), che nel caso di specie indubbiamente sussiste avendo il giudice d’appello proceduto all’esame critico e comparativo delle conclusioni dei vari consulenti.

Giova infine rilevare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5 sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. S.U. n. 5802 del 11/06/1998; n. 16459 del 20/08/2004; (Cass. n. 15489 del 11/07/2007) n. 5797 del 17/03/2005;

n. 1380 del 25/01/2006; n. 11126 del 11/06/2004; n. 23929 del 19/11/2007; n. 18119 del 02/07/2008).

Con il 2^ motivo la ricorrente denunzia testualmente: “l’affermazione del diritto di passaggio sulla tracciato della zona poderale in proprietà Ga. a favore di G.G.; violazione di legge; insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto;

violazione ex art. 360 c.p.c., punto 5”.

Viene lamentato che il tribunale aveva rigettato la domanda del G. in quanto questi non aveva dato la prova della dedotta servitù di passaggio sul fondo Ga., mentre invece la Corte d’Appello, sovvertendo le conclusioni del 1^ giudice, aveva erroneamente ritenuto che lo stesso G. fosse titolare di un diritto di servitù per destinazione de padre di famiglia, ritenendo erroneamente che ne ricorressero i presupposti.

In realtà la Corte “incappando” in un “clamoroso errore”, aveva affermato che la strada in questione fosse l’unico accesso alla proprietà G., come peraltro era escluso nell’atto di vendita, che non contemplava alcun passaggio a favore dei fondo de quo. Il G. in effetti aveva acquistato il fienile “… con il confine lato sud e ovest del tutto demolito e ricostruito secondo un nuovo confine tracciato sulla piantina sub/A allegata all’atto di compravendita che escludeva l’esistenza di accesso sul viale privato”.

Il motivo è privo di pregio oltre che generico e non autosufficiente. Invero la Corte territoriale ha correttamente apprezzato le risultanze istruttorie, ritenendo sussistere i presupposti di legge per la costituzione della servitù in parola;

non è incorsa poi in alcun vizio di ultrapetizione per avere riconosciuto in capo al G. un titolo costitutivo della servitù diverso da quello da lui fatto valere in prime cure. Il giudice a quo ha invero fatto legittimo riferimento alla natura del diritto di servitù quale “diritto autodeterminato”, che si identifica in se in base alla sola indicazione de suo contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, come del resto è comunemente ammesso dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15915 del 17.07.2007; Cass. n. 24446 del 23.11.2007). Con il 3^ motivo infine l’esponente deduce il vizio di ultrapetizione “in quanto la costituzione della servitù non era stato oggetto di domanda da parte del G., nè nel primo, nè nel 2^ grado del giudizio”. Il motivo è inammissibile attesa la sua estrema genericità ed è comunque infondato non sussistendo alcun vizio di ultrapetizione, richiamate le considerazioni di cui sopra.

In conclusione il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.800,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2010

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