Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9394 del 21/05/2020

Cassazione civile sez. II, 21/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 21/05/2020), n.9394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20353/2019 proposto da:

M.R., rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA MAESTRI e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

22/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.R., cittadino del (OMISSIS), impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Forlì – Cesena con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di aver lasciato il Bangladesh a causa di una denuncia falsamente sporta a suo carico per l’omicidio di una cugina di circa 6-7 anni, delle minacce ricevute da un usurario con cui egli aveva contratto un prestito che non era riuscito a restituire nei tempi previsti e del pericolo derivante dal fatto che egli, durante una colluttazione con il fratello di detto usuraio, gli aveva causato la perdita di un occhio.

Si costituiva il Ministero resistendo al ricorso ed invocandone il rigetto.

Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Bologna rigettava il ricorso ritenendo insussistenti i requisiti previsti per il riconoscimento di una delle forme di tutela invocate.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto M.R. affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 35 bis, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5, 6 e 19 e art. 10 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale felsineo non avrebbe adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria, in particolare dando atto delle fonti consultate per la verifica della condizione esistente in Bangladesh nè avrebbe condotto la valutazione comparativa tra le condizioni di vita del richiedente, in Italia e nel Paese di provenienza, necessaria per apprezzare la sussistenza di profili di vulnerabilità ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 35 bis, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè il giudice emiliano avrebbe erroneamente ritenuto inattendibili le dichiarazioni del richiedente valorizzando incongruenze riguardanti elementi secondari della storia.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono fondate.

Il decreto impugnato infatti dà conto dell’articolata narrazione fornita dal ricorrente (cfr. pagg. 3-4-5), dalla quale si ricava che lo stesso ha fornito diversi elementi di dettaglio idonei a circostanziare la storia. Elenca poi i documenti prodotti dal ricorrente (pag. 5, in fondo) tra cui un mandato di arresto spiccato nei suoi confronti. Evidenzia però alcune discrasie relative al racconto e soprattutto al contenuto di tale ultimo documento (cfr. pagg. 7 e ss.) e, sulla base di detti rilievi, ritiene quest’ultimo non idoneo a corroborare la narrazione del richiedente e quest’ultimo in generale inattendibile (cfr. pag. 9). Passa quindi ad esaminare la condizione interna del Bangladesh, elencando numerose fonti e concludendo per l’insussistenza di un grado di violenza indiscriminata idoneo ad integrare gli estremi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. pag. 10). Infine, rigetta la domanda tesa ad ottenere la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari perchè il ricorrente manterrebbe solidi legami affettivi nel proprio Paese e non avrebbe allegato un radicamento in Italia idoneo a dimostrare una posizione di vulnerabilità in caso di rientro in patria.

La valutazione di inattendibilità del M. risulta in sostanza fondata su due elementi: alcune contraddizioni nella storia riferita, rispettivamente, in sede amministrativa e giudiziale; le discrasie riscontrate dal Tribunale in relazione al contenuto del mandato di arresto depositato dal ricorrente predetto nel corso del giudizio di merito.

In relazione al primo aspetto, si osserva che in realtà le contraddizioni valorizzate dal giudice bolognese o non sono tali o cadono su elementi secondari della storia. Il fatto che il ricorrente abbia prima dichiarato di aver subito minacce dal fratello dell’usuraio e poi aggiunto, in sede giudiziaria, l’episodio della colluttazione e del ferimento del predetto soggetto non può essere considerata, in effetti, una contraddizione, ma soltanto una specificazione del racconto, avendo il richiedente soltanto aggiunto un particolare alla storia, che è rimasta inalterata nei suoi elementi fondamentali. Irrilevante è invece il fatto che il M. abbia indicato la data del suo arrivo a (OMISSIS) prima nel (OMISSIS) e poi nel (OMISSIS), come pure la circostanza che l’età della cugina deceduta sia stata indicata dapprima in 5 e poi in 6-7 anni, o ancora l’indicazione della data della morte della predetta cugina, indicata come avvenuta dapprima il (OMISSIS) e poi invece il (OMISSIS): trattasi invero di dettagli secondari, dai quali non è possibile inferire alcun giudizio di inattendibilità posto che il Tribunale non evidenzia che essi si collochino in aperto e frontale contrasto con altri dettagli della stessa storia.

Con riferimento invece al secondo aspetto – relativo alle incongruenze riscontrate nel mandato di arresto – il giudice di merito sembra dar rilievo a meri errori materiali, quali ad esempio l’indicazione della data dell’evento (rappresentato dalla morte della bambina) come avvenuta in orario ante o post meridiano: si consideri, sul punto, che il Bangladesh adotta, in quanto ex-colonia inglese, la numerazione oraria inglese, nella quale le ore del mattino e del pomeriggio sono distinte soltanto dall’indicazione “a.m.” e “p.m.”, per cui è ipotizzabile l’errore materiale; d’altronde, il fatto che comunque l’orario dell’evento fosse sempre lo stesso (in particolare, tra le ore 4.45 e le 6.30) rende plausibile che le discrasie relative a detto elemento siano spiegabili sub specie di meri errori di compilazione.

Del pari non rilevante appare la circostanza che nelle diverse parti del documento l’evento sia descritto in termini diversi: la prima parte, infatti, è quella del “First Information Report” ed evidentemente contiene la narrazione fornita dal soggetto che sporge la denuncia; la seconda parte, invece, è quella del “Charge Sheet” (letteralmente: il documento di accusa) e contiene invece la ricostruzione dei fatti conseguente alle indagini svolte dagli organi di polizia, sulla cui base è stato poi formulato il capo di accusa ed emesso il mandato di arresto. La divergenza tra le versioni del fatto contenute nelle due parti, dunque, si può spiegare facendo riferimento alla normale dialettica esistente tra notizia criminis e capo di accusa, tipica anche del sistema processuale italiano.

Infine, gli errori e le incongruenze sintattiche evidenziate a pag. 8 della decisione impugnata potrebbero essere dovute, analogamente alle discrasie relative all’indicazione dell’orario del fatto, a meri errori materiali, che possono dipendere anche da un certo livello di trascuratezza ed imprecisione terminologico noto anche all’esperienza nazionale italiana.

In ogni caso, anche volendosi ammettere la rilevanza dei vari elementi evidenziati dal Tribunale (tra i quali, ad avviso del Collegio, soprattutto la carenza della sottoscrizione in calce al documento: cfr. pag. 9 del decreto), il giudice di merito avrebbe potuto e dovuto attivare i propri poteri istruttori ufficiosi e richiedere le opportune informazioni al fine di verificare l’autenticità del documento prodotto dal richiedente e la sua effettiva riferibilità alla storia personale del predetto.

Ritenere, al contrario, inattendibile il ricorrente, in assenza della prova certa della sua reticenza o (peggio) della produzione, da parte sua, di documenti non conferenti alla storia riferita, non può essere ritenuto coerente con il dovere di cooperazione istruttoria previsto a carico del giudice di merito nei procedimenti di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria.

Con riferimento invece alla valutazione relativa alla condizione interna del Bangladesh, deve affermarsi che la mera elencazione delle fonti consultate dal giudice di merito non è sufficiente a dar conto della specifica informazione tratta dalle predette fonti e ritenuta rilevante ai fini della decisione. Sul punto, va ribadito che “Il riferimento, operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle cd. fonti informative privilegiate, va interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione”(Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv. 653887; negli stessi termini, Cass. Sez. 1, Ordinanze n. 13450, 13451 e 13452, tutte del 17/05/2019, non massimate; nonchè Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11312 del 26.4.2019, essa pure non massimata). Nel caso di specie, la decisione impugnata non soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa, pur indicando le fonti in concreto utilizzare dal giudice di merito, non specifica i contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti e non consente quindi alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione.

L’accoglimento delle censure, nei sensi di cui in motivazione, comporta la cassazione della decisione impugnata ed il rinvio della causa al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2020

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