Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9391 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/04/2017, (ud. 11/01/2017, dep.12/04/2017),  n. 9391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 267/2015 proposto da:

L.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CARLO CONTI ROSSINI 95, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

RUFFINI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CREDITO EMILIANO S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MAZZINI, 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati SALVATORE

TRIFIRO’, GIORGIO MOLTENI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2708/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/06/2014 R.G.N. 6951/11;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2017 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato GIUSEPPE RUFFINI;

udito l’Avvocato GUIDO CHIODETTI per delega orale Avvocato SALVATORE

TRIFIRO’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 24 giugno 2014, la Corte d’Appello di Roma, confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma e rigettava la domanda proposta da L.G. nei confronti del Credito Emiliano S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli per aver gestito, nonostante l’ammonizione seguita ad un precedente rilievo ispettivo, clientela di dubbia moralità e solvibilità e comunque non rispondente agli standard qualitativi dell’Istituto, oltre ad aver effettuato o consentito di effettuare a familiari o a terzi ritenuti clientela marginale o indesiderata sui conti correnti a lui intestati o cointestati con la madre operazioni irregolari o addirittura contra legem ed aver dato corso a procedure anomale nella gestioni di operazioni in relazione alle quali aveva verificato forma e poteri dei clienti firmatari, cui sommava una richiesta di risarcimento danni in relazione al carattere pretestuoso ed ingiurioso del licenziamento medesimo.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione proposta dalla Banca di improcedibilità dell’appello per non essere stato il ricorso notificato nel termine di dieci giorni dall’emanazione del decreto di fissazione di udienza; inammissibile per novità della questione le deduzioni in ordine alla carenza di potere del sottoscrittore della contestazione e del successivo licenziamento; irrilevante il disconoscimento della firma sui documenti attestanti gli addebiti per essere i fatti a questi sottesi non contestati e perciò suscettibili di valutazione ai fini del giudizio nel merito, infondata l’eccezione di tardività della contestazione per aver il primo giudice congruamente motivato in relazione alla complessità delle verifiche legittimanti il protrarsi dei tempi ed in relazione all’articolazione del comportamento in una pluralità di episodi alcuni dei quali contestuali allo svolgersi delle verifiche stesse; provati gli addebiti e proporzionata la sanzione, stante l’idoneità della complessiva condotta del ricorrente a ledere l’affidamento tanto del datore di lavoro che del pubblico.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il L., affidando l’impugnazione a sei motivi cui resiste, con controricorso, la Società.

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la nullità della sentenza per non aver pronunciato su un motivo di appello in violazione degli artt. 112 e 434 c.p.c., lamenta da parte della Corte territoriale l’omessa pronuncia in ordine alla rilevanza esimente di ogni responsabilità del ricorrente con riguardo a due ed in parte alla terza delle tipologie di addebiti contestategli delle autorizzazioni ricevute dai propri superiori all’effettuazione delle operazioni poi qualificate come irregolari.

L’esistenza di espresse autorizzazioni al compimento delle operazioni contestate è poi con il secondo motivo dedotta a fondamento del denunciato vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 416 e 436 c.p.c., è inteso ad imputare alla Corte territoriale la mancata valutazione delle predette autorizzazioni alla luce del principio di non contestazione per non aver la Banca, con la memoria di costituzione in primo grado, specificatamente contestato la ricorrenza delle stesse.

La mancata considerazione della dedotta ricorrenza delle predette autorizzazioni è ancora richiamata nel quarto motivo per imputare alla Corte territoriale, in relazione alla mancata prova dell’insussistenza di tale circostanza esimente, l’erroneità del maturato convincimento circa l’assolvimento da parte della Banca datrice dell’onere della prova dell’invocata giusta causa di recesso, in violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2119 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5.

Con il quinto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, il ricorrente deduce un difetto assoluto di motivazione, con conseguente nullità della sentenza, in ordine alla questione relativa alla tardività della contestazione, stante la contraddittorietà dell’affermazione della compatibilità del ritardo nella contestazione dovuto alla lungaggine degli accertamenti con quella dell’acquisita piena consapevolezza dei fatti poi addebitati già un anno prima della contestazione.

Con il sesto motivo, il ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, lamenta da parte della Corte territoriale la mancata considerazione della circostanza per cui i comportamenti addebitati sarebbero stati già fatti oggetto da parte della Banca di sanzione conservativa con violazione del principio di consumazione del potere disciplinare.

I primi quattro motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati.

Va considerato che l’obiezione concernente l’essere state le operazioni irregolari addebitate preventivamente autorizzate dai superiori gerarchici è riconducibile alle giustificazioni addotte dal ricorrente a contestazione dell’illiceità della condotta già espressamente valutate in termini negativi in primo grado e riproposte in sede di gravame nell’ambito del motivo inteso a confutare la pronunzia del giudice di prime cure circa la ricorrenza nella specie dell’invocata giusta causa di recesso, motivo che la Corte territoriale ha puntualmente esaminato, dandone ampio riscontro in motivazione, con riferimento ad ogni singolo addebito, pervenendo al medesimo giudizio negativo reso dal primo giudice, ma esprimendolo con l’esplicitare le ragioni confermative dell’illiceità della condotta del ricorrente, piuttosto che quelle concernenti l’inconsistenza delle giustificazioni addotte, risultando pertanto implicito il rigetto delle stesse, anche con riferimento al rilievo relativo all’essere state quelle operazioni preventivamente autorizzate.

Parimenti infondato risulta il quinto motivo, atteso che la generica censura avanzata dal ricorrente con riferimento alla ritenuta tempestività della contestazione (questi si limita a sostenere la contraddittorietà delle due proposizioni con cui la Corte territoriale, da un lato, afferma la compatibilità dei tempi di accertamento con la complessità delle verifiche, dall’altro, giunge a ritenere acquisita da parte della Banca datrice la piena conoscenza dei fatti già dall’aprile 2007) non vale ad inficiare la congruità logica e giuridica della motivazione resa dalla Corte territoriale che di quelle affermazioni (del resto, in particolare la seconda, strumentalmente stralciate dal loro contesto nella citazione di cui al ricorso) dà ampiamente conto, non senza aggiungere come la reazione disciplinare della Banca datrice. avesse riguardato anche condotte successive all’aprile 2007.

Palesemente infondato risulta infine il sesto motivo, in cui solo un artificio retorico consente al ricorrente di assimilare, sfruttando l’identità dei termini, il richiamo verbale, concretatosi nel mero ammonimento del ricorrente da parte del proprio responsabile a non più incorrere per il futuro nelle rilevate irregolarità che non sarebbero più state tollerate, al richiamo verbale quale denominazione identificativa di una specifica sanzione disciplinare, comminabile solo all’esito del relativo procedimento definito per legge, al fine di sostenere in relazione a ciò la consumazione del potere disciplinare da parte del soggetto datore, evidentemente non predicabile nella specie attesa l’ informalità del richiamo.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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