Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9390 del 12/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 12/04/2017, (ud. 10/01/2017, dep.12/04/2017),  n. 9390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20875/2015 proposto da:

I.A., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MIRCO MINARDI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 90/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/03/2015 r.g.n. 624/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato MIRCO MINARDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza n. 90 del 2015, depositata il 4 marzo 2015, accoglieva in parte l’impugnazione proposta da I.A. nei confronti del MIUR avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Macerata n. 4 del 6 giugno 2014, e riduceva la sanzione disciplinare irrogata con provvedimento del 20 luglio 2010, alla misura di 30 giorni di insegnamento.

2. Nella sentenza si espone che il Tribunale aveva rigettato l’impugnazione proposta dal prof. I., insegnante in servizio presso l’IPSIA (OMISSIS), delle seguenti sanzioni disciplinari:

1) sospensione dall’insegnamento per undici giorni, irrogata il 17 marzo 2010; 2) sospensione dal servizio per mesi due, irrogata il 20 luglio 2010 (a pag. 3 del ricorso la sanzione della sospensione per mesi 2 è riferita alla data del 29 settembre 2010); 3) sospensione dall’insegnamento per mesi sei, irrogata il 31 marzo 2011; 4) licenziamento con preavviso, irrogata il 13 marzo 2012 (recte: 13 febbraio 2012, atteso che a pag. 3 del ricorso, nonchè a pag. 21 il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è riferito irrogata alla data del 13 febbraio 2012; così anche nel controricorso a pag. 1).

3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il docente prospettando cinque motivi di ricorso

4. Il MIUR resiste con controcorso.

5. In prossimità dell’udienza pubblica il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver ritenuto che il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare decorresse dalla intimazione, effettuata il 27 ottobre 2011, di riprendere servizio e non dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, avvenuta in data 3 ottobre 2011, da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavorava, o al più tardi il 10 ottobre 2011, data di conoscenza dell’infrazione da parte dell’Ufficio scolastico regionale.

Il ricorrente contesta la statuizione della Corte d’Appello secondo cui l’assenza ingiustificata si sarebbe perfezionata il 27 ottobre 2011, quando veniva inviata una seconda missiva volta ad indurre il lavoratore a riprendere il lavoro.

Assume che la diffida a riprendere il lavoro non condiziona il perfezionamento dell’illecito dell’assenza ingiustificata. Nè la seconda missiva poteva intendersi a sanatoria della prima, con la quale si invitava esso docente a riprendere servizio entro il 7 ottobre.

Nella seconda missiva del 27 ottobre si confutavano solo le argomentazioni inviate dal docente a mezzo fax il 1 ottobre 2011 – con cui lo stesso aveva dedotto di differire il rientro in servizio in ragione di un presunto errore dell’Amministrazione nel calcolo dei periodi di sospensione – affermando che la sospensione dal servizio del docente era terminata il 30 settembre 2011, e pertanto lo stesso avrebbe dovuto riprendere servizio. Pertanto detta missiva non poteva essere considerata come dies a quo.

Nella contestazione del 6 dicembre 2011, riportata a pag. 38 e 39 del ricorso, si leggeva, tra l’altro: (…) “vista la nota n. 459 ris del 3 ottobre 2011 – inviata con raccomandata r.r. la cui ricevuta è stata sottoscritta dall’interessato in data 5 ottobre 2011 – con cui il dirigente dell’IPSIA (OMISSIS) invita il prof. I.A. a “riprendere immediatamente servizio e comunque non oltre il giorno 7 ottobre presso la sua sede di titolarità di (OMISSIS)”; vista la nota 463 ris del 27 ottobre 2001 con la quale il dirigente dell’IPSIA (OMISSIS) invita il prof. I.A. “di riassumere immediato servizio presso la sua sede di titolarità di (OMISSIS)”, visto l’avviso di ricevimento inviato da Poste italiane in data 5 dicembre 2011 dal quale risulta che l’intimazione a riassumere servizio immediato servizio (di cui alla nota n. 463 ris del 27 ottobre 2011) è stata ritirata in data 3 dicembre 2011, per conto dell’interessato; vista la nota prot. n. 6181 del 29 novembre 2011 con cui il dirigente dell’IPSIA (OMISSIS) fa pervenire a questa direzione generale copia della citata nota 459/ris del 3 ottobre 2011 e n. 463 ris del 27 ottobre 2011 congiuntamente alla stampa del tracciato reperito presso Poste italiane dal quale risulta che alla data del 28 novembre 2011 l’intimazione in data 27 ottobre 2011 sopra risulta in giacenza presso il centro postale di Loreto dal 4 novembre 2011; copia del telegramma in data 8 novembre 2011 con il quale il prof. I. viene invitato a ritirare la raccomandata in giacenza presso l’Ufficio postale di (OMISSIS), copia del telegramma inviato da Poste italiane in data 30 novembre 2011 dal quale risulta che il telegramma di cui sopra è “stato postalizzato dal portalettere per assenza del destinatario”; constatata la protratta inottemperanza del prof. I. alle intimazioni a riprendere servizio” (…).

La contestazione prosegue ricordando le diverse istanze prodotte dal docente, senza riprendere servizio – che assumevano motivi di salute dal 30 novembre 2011 e il riconoscimento di grave patologia dal 30 novembre 2011 al 23 dicembre 2011 – e rilevando come ciò non facesse venir meno l’illecita ingiustificata assenza protratta dal 3 ottobre al 30 ottobre 2011. Si conclude con la contestazione di aver posto in essere un comportamento disciplinarmente rilevante consistito nell’essersi ingiustificatamente assentato dal servizio a decorre dal 3 ottobre e di non avere ottemperato alle intimazioni rivoltegli dal dirigente scolastico in data 3 ottobre 2011 e 27 ottobre 2011.

Il licenziamento disciplinare, come riportato in ricorso, veniva poi irrogato il 13 febbraio 2012, per essersi ingiustificatamente assentato dal servizio e per non aver ottemperato all’invito a riassumere immediatamente servizio e comunque non oltre il giorno 7 ottobre 2011, rivoltogli dal dirigente scolastico con lettera del 3 ottobre 2011, reiterato con il provvedimento 463 del 27 ottobre 2011, seguito dalla nota n. 464 del 1 dicembre 2011.

Quindi, ad avviso del ricorrente, l’irrogazione della sanzione disciplinare era intervenuta tardivamente in ragione della prima acquisizione della notizia dell’infrazione il 3 ottobre 2011 o al più il 10 ottobre 2011.

2. Il motivo non è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. n. 20733 del 2015) “In tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4, secondo e terzo periodo, la data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione – dalla quale decorre il termine entro il quale deve concludersi, a pena di decadenza dall’azione disciplinare, il relativo procedimento – coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all’ufficio per i procedimenti disciplinari o, se anteriore, con la data in cui la notizia medesima è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora”.

La Corte d’Appello ha ritenuto rispettati i termini di cui all’art. 55-bis, comma 4, atteso che occorreva fare riferimento alla seconda intimazione, quale momento perfezionativo dell’illecito.

Tale statuizione ha operato la corretta sussunzione degli elementi di fatto nello schema giuridico di cui alla disciplina sopra richiamata, atteso che, come si rileva dalla contestazione e dagli atti nella stessa richiamati, nonchè dall’atto di irrogazione della sanzione espulsiva, la mancata reiterata ripresa del servizio, una volta chiarito che non vi erano ragioni ostative (perduranza della sospensione dal servizio), integrava l’illecito disciplinare.

La fattispecie concreta, risulta, infatti composta da una pluralità di fatti, di analogo contenuto – mancata ripresa del servizio – che proprio nell’attuarsi e reiterarsi senza giustificazione, sono stati ritenuti dalla Corte d’Appello, nel giudizio di sussunzione, prima acquisizione della notizia dell’infrazione atta a determinare l’avvio del procedimento disciplinare, senza che, quindi, possa rilevare la comunicazione all’USR in data 10 ottobre 2011.

3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere individuato nella lettera del 27 ottobre 2011 di invito alla ripresa del servizio il dies a quo per la contestazione dell’addebito e non invece dalla data di ricezione il 10 ottobre 2011 da parte dell’USR, con conseguente violazione del termine di giorni 40.

Assume il ricorrente che la sussistenza dell’illecito disciplinare al 3 ottobre 2011 (in data 10 ottobre 2011, l’USR veniva a conoscenza dell’infrazione), atteso che nella comunicazione del 27 ottobre 2011 si ribadiva che il prof. I. era assente ingiustificato dal 1 ottobre 2011, rilevava anche in relazione al termine per l’adozione della contestazione, intervenuta il 6 dicembre 2012, nè occorreva atto di diffida per la declaratoria di decadenza dal pubblico impiego.

4. Il motivo non è fondato.

Per gli illeciti disciplinari di maggiore gravità, imputabili al pubblico impiegato, come quelli che comportano il licenziamento, l’art. 55-bis contiene due previsioni: con la prima (comma 3), è imposto al dirigente della struttura amministrativa in cui presta servizio l’impiegato la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare “entro cinque giorni dalla notizia del fatto” e la contestuale comunicazione all’interessato; con la seconda (comma 4) si prescrive all’ufficio disciplinare la contestazione dell’ addebito al dipendente “con l’applicazione di un termine” pari al doppio di quello stabilito nel comma 2 (ossia quaranta giorni). Questa Corte ha ritenuto perentorio il suddetto termine di 40 giorni.

Come si è osservato anche nel vagliare il primo motivo di ricorso, la Corte d’Appello ha correttamente sussunto gli elementi di fatto nello schema giuridico di cui alla disciplina da ultimo richiamata, atteso che la fattispecie concreta ha un contenuto complesso (comprensivo del mancato adempimento dell’invito del 27 ottobre 2011) che alla data del 10 ottobre 2011 non risultava compiuto, non potendo, pertanto, decorrere il termine di 40 giorni previsto a pena di decadenza.

Ed infatti, come posto già in evidenza da questa Corte (Cass., n. 18517 del 2016) ciò che conta, ai fini della decorrenza del termine per la contestazione disciplinare, è la conoscenza effettiva delle condotte disciplinarmente rilevanti da parte degli uffici competenti.

L’effetto impeditivo della decadenza dall’azione disciplinare, prevista dal quarto comma dell’art. 55-bis, si produce, peraltro, con l’adozione dell’atto che dà impulso alla azione disciplinare, a prescindere dalla sua successiva comunicazione al lavoratore (Cass., n. 16900 del 2016), atteso che il momento in cui la contestazione è effettuata coincide con il momento in cui l’Amministrazione datrice di lavoro esprime la propria valutazione in ordine alla rilevanza ed alla consistenza disciplinare della notizia e la consolida nell’atto di contestazione, la cui comunicazione al lavoratore risulta, nel dettato della legge, estranea al potere dell’Amministrazione di adottare l’atto di contestazione entro il termine previsto, ed è stata collocata al di fuori della fase subprocedimentale che culmina, appunto, nella contestazione degli addebiti.

Vertendosi in ipotesi di licenziamento disciplinare, si osserva, inoltre, che non possono assumere rilievo le prospettate argomentazioni relative alla diversa fattispecie della decadenza.

5. Con il terzo motivo è prospettata violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 4, art. 115 c.p.c., comma 1 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere dichiarato non violato il diritto di difesa del prof. I. stante il mancato rispetto del termine di 20 giorni per l’esercizio del diritto di difesa.

Il ricorrente censura la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha ritenuto che il ritiro della raccomandata contenente la contestazione e la convocazione per il contraddittorio del 14 gennaio 2012 (si assume in ricorso: 13 gennaio 2012) in data 14 gennaio 2012 non poteva rilevare atteso che la raccomandata era in giacenza in termine utile per il rispetto del termine di contestazione e dilazione del contraddittorio.

Il giudice di secondo grado, inoltre, osservava che se anche l’esibizione della stampa dal sito on line delle Poste non dava prova della data della giacenza, non era meno vero che la contestazione dell’appellante non poteva limitarsi alla deduzione del ritiro della raccomandata ma avrebbe dovuto accompagnarsi all’allegazione della data di incontestata giacenza.

Ad avviso del ricorrente erroneamente la Corte d’Appello, da un lato, aveva ritenuto incontestata la giacenza, mentre ciò era stato solo dedotto nella memoria di costituzione di primo grado senza produrre nè ricevuta di spedizione nè di ritorno, ma la stampa dal sito Poste, dall’altro aveva ritenuto che a proprio carico vi fosse un onere di allegazione sulla data di giacenza.

6. Il motivo non è fondato.

Occorre premettere che in materia di procedimento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 2, prevede un termine, di carattere meramente endoprocedimentale, per la convocazione a difesa dell’incolpato, di dieci o, nel caso di provvedimenti più gravi (comma 4), venti giorni, sicchè la contrazione di esso può dare luogo a nullità del procedimento, e della conseguente sanzione, solo ove sia dimostrato, dall’interessato, un pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa (Cass., n. 17245 del 2016).

Inoltre, come si è sopra osservato, ai sensi de D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4, ai fini della decadenza dall’azione disciplinare occorre avere riguardo alla data in cui l’amministrazione datrice di lavoro esprime la propria valutazione in ordine alla rilevanza e consistenza disciplinare della notizia dei fatti rilevanti disciplinarmente e la consolida nell’atto di contestazione, assumendo rilievo l’eventuale ritardo nella comunicazione solo allorchè sia di entità tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’incolpato (Cass. 16900 del 2016).

Tanto premesso si rileva che, da un lato il ricorrente pur deducendo il mancato rispetto del termine per il contraddittorio, non deduce la lesione in concreto del diritto di difesa; dall’altro, non censura adeguatamente che la contestazione adottata il 6 dicembre 2011 con l’invito a comparire per il 13 gennaio 2012, spedita con lettera raccomandata, ha costituito oggetto di giacenza, atteso che come riferisce proprio il ricorrente la raccomandata veniva ritirata, e non consegnata, il 14 gennaio 2012.

Come questa Corte ha da ultimo ribadito (Cass., n. 22311 del 2016, si cfr. Cass. n. 6527 del 2003, richiamata nella sentenza di appello) per ritenere sussistente, secondo l’art. 1335 c.c., la presunzione di conoscenza, da parte del destinatario, dalla dichiarazione a questo diretta, occorre la prova, il cui onere incombe al dichiarante, che la dichiarazione sia pervenuta all’indirizzo del destinatario, e tale momento, nel caso in cui la dichiarazione sia stata inviata mediante lettera raccomandata non consegnata per l’assenza del destinatario (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, e non già con il momento in cui la missiva fu consegnata. Pertanto, in applicazione della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., la raccomandata, nel caso di momentanea assenza del destinatario (e di altra persona abilitata a riceverla), deve ritenersi entrata nella sfera di conoscibilità del destinatario nel momento in cui viene rilasciato l’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale.

La statuizione della Corte d’Appello impugnata, che fa applicazione dei suddetti principi, non è adeguatamente contestata dal ricorrente che mentre afferma di aver ricevuto la raccomandata il 14 gennaio 2012 (in particolare, pagg. 58 e 63 del ricorso), senza ulteriori precisazioni, deduce (a pag. 23, 47, 59 del ricorso con riguardo alla data del 14 gennaio 2012) il ritiro della raccomandata, utilizzando l’espressione usata dalla Corte d’Appello proprio in relazione alla giacenza (si v. penultima pagina della sentenza, secondo capoverso).

Come correttamente ritenuto dalla Corte d’Appello era onere del ricorrente, che assumeva la mancanza di termine a difesa, provare che la giacenza era iniziata a decorrere in tempo non utile, trattandosi di fatto impeditivo che, come affermato dalla Corte d’Appello, ricadeva negli oneri probatori dello stesso.

7. Con il quarto motivo di ricorso, relativo alla sanzione della sospensione per giorni 11, è prospettata la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere dichiarato non violato il diritto di difesa del prof. I. stante il mancato rispetto di giorni 20 per l’esercizio del diritto di difesa.

Prospetta il ricorrente che la normativa richiamata stabilisce che alla inosservanza di detto termine consegua la decadenza dall’azione disciplinare. Il ricorrente, quindi, dopo aver affermato che si tratta di verificare se l’esercizio del diritto di difesa possa sanare tale violazione, esclude tale possibilità, atteso che si tratta di un termine dilatorio non derogabile in pejus neppure in presenza di difesa scritta del lavoratore.

8. Il motivo non è fondato.

Questa Corte ha già affermato In materia di procedimento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 2, prevede un termine, di carattere meramente endoprocedimentale, per la convocazione a difesa dell’incolpato, di dieci o, nel caso di provvedimenti più gravi, venti giorni, sicchè la contrazione di esso può dare luogo a nullità del procedimento, e della conseguente sanzione, solo ove sia dimostrato, dall’interessato, un pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa (Cass. 17245 del 2016).

Si è, altresì, affermato che il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato non è illegittimo del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55 bis, qualora il lavoratore incolpato, sebbene non convocato dal datore di lavoro al fine di esporre le proprie difese, abbia comunque, in un congruo termine decorrente dalla conoscenza dell’addebito, esercitato il proprio diritto di difesa mediante l’invio di memoria scritta, dovendosi ritenere che la suddetta norma preveda la difesa scritta quale forma alternativa rispetto all’audizione persona (Cass., n. 14106 del 2016).

Correttamente, quindi la Corte d’Appello ha ritenuto non perentorio tale termine e non leso il diritto di difesa nel caso in cui il lavoratore abbia fatto pervenire memoria scritta, o il provvedimento sanzionatorio sopravvenga, nel termine di conclusione del procedimento dopo il regolare rinnovo dell’invito al contraddittorio.

9. Con il quinto motivo di ricorso (relativo alla sanzione della sospensione per 6 mesi) è prospettata la nullità della sentenza per violazione dei principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere omesso di pronunciare sulla illegittimità della sanzione disciplinare per inesistenza del fatto presupposto, stante il legittimo rifiuto del prof. I. di sottoporsi a visita medico collegiale.

Assume il ricorrente che in appello aveva contestato la legittimità della richiesta di sottoposizione a visita collegiale medica, con conseguente nullità della sanzione conseguente alla mancata sottoposizione alla stessa.

10. Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza, atteso che il ricorrente non specifica alcun profilo di illegittimità della disposta visita collegiale (istituto connesso alla inidoneità), non essendo a ciò sufficiente il prospettare la sussistenza di condizione per la cd. visita fiscale (istituto connesso alla infermità, malattia), in ragione della diversa natura e funzione dei due istituti, come peraltro si rileva dalla L. n. 300 del 1970, art. 5, commi 2 e 3 (applicabile ai rapporti di impiego pubblico del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 2, comma 2), e posto in evidenza dalla giurisprudenza di legittimità (si cfr. Cass. 22410 del 2015, secondo cui la malattia del lavoratore costituisce situazione diversa dalla sua inidoneità al lavoro. Invero, pur essendo entrambe cause di impossibilità della prestazione lavorativa, esse hanno natura e disciplina diverse, poichè mentre la prima ha carattere temporaneo e implica la totale impossibilità della prestazione, che determina la legittimità del licenziamento, ex art. 2110 c.c., quando abbia causato l’astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, la seconda ha carattere permanente o, quantomeno, durata indeterminata o indeterminabile e non implica necessariamente la impossibilità totale della prestazione; si v. anche Cass. 1404 del 2012).

11. Il ricorso deve essere rigettato.

12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

13. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro tremila per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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