Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 939 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2021, (ud. 25/06/2020, dep. 20/01/2021), n.939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 59-2020 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II

4, presso lo studio dell’avvocato MARIO ANTONIO ANGELELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI ROMA;

– intimata –

nonchè contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3138/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/05/2019 r.g.n. 6057/2017;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– N.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma emessa in data 13 maggio 2019 di reiezione dell’impugnazione avanzata nei confronti della decisione del locale Tribunale che aveva respinto il ricorso avverso il provvedimento della Commissione Territoriale di rigetto della sua domanda per il riconoscimento della protezione internazionale ovvero di quella sussidiaria e umanitaria;

– dall’esame della sentenza impugnata emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato di essere stato costretto a subire un rapporto omosessuale con un uomo più adulto, negando di essere omosessuale e temendo, anzi, di essere considerato tale pur avendo riferito, dinanzi al giudice di primo grado, di essere confuso in ordine alla propria sessualità;

– la Corte d’Appello ha disatteso l’impugnazione, condividendo il giudizio del Tribunale, secondo cui non sussistevano le condizioni per il riconoscimento delle protezioni internazionale e umanitaria richieste;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– il Ministero dell’Interno non ha spiegato alcuna attività difensiva;

– il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 violazione del D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 8, comma 3 nonchè la violazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 in ordine all’onere della prova gravante sul richiedente;

– con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione apparente e la violazione del TU n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per essere stata negata anche la protezione umanitaria;

– il primo motivo è infondato;

– la Corte d’Appello, invero, ha approfonditamente argomentato circa la propria condivisione delle conclusioni della Commissione e del Tribunale, escludendo la sussistenza, in fatto, di elementi, addotti dal richiedente, da cui potesse evincersi la ricorrenza dei presupposti della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 in ordine al fondato timore di essere perseguitato per la propria omosessualità atteso che, secondo la Corte, le sue dichiarazioni erano state estremamente confuse proprio in ordine allo stesso aspetto della sessualità;

– afferma la Corte d’appello di reputare condivisibili le considerazioni del Tribunale, che ha ritenuto correttamente la scarsa verosimiglianza delle allegazioni, del tutto generiche ed incoerenti, escludendo che la vicenda potesse ricondursi ad una persecuzione proveniente dallo Stato o comunque da forze governative e quindi i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato atteso che, pur essendo comprovato che nel (OMISSIS) l’omosessualità costituisce reato, nel caso di specie “la narrazione non può ritenersi credibile e restano, quindi, forti dubbi circa la condizione sessuale dell’appellante e il fatto di aver subito, nel suo Paese, persecuzioni per tale motivo”.

– non potendo ritenersi quindi provata la condizione di omosessualità del ricorrente e conseguentemente che il medesimo ove rientrato nel proprio Paese d’origine potesse essere sottoposto a procedimento penale o correre rischi relativi a persecuzioni minacce anche da parte di concittadini per effetto delle proprie condizioni personali, la Corte ha ritenuto di confermare la decisione del Tribunale in ordine all’esclusione dei requisiti per ottenere la protezione internazionale;

– al contempo, sempre sulla base della esclusione della credibilità delle dichiarazioni del ricorrente e quindi non reputando veritiero il racconto dello stesso, che in astratto avrebbe reso possibile la concessione della protezione richiesta, è stato escluso anche il riconoscimento della protezione sussidiaria, consentita com’è noto esclusivamente in presenza di un danno grave nelle ipotesi tassativamente previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

– orbene, in tema di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (cfr. Cass., ord., 12 giugno 2019, n. 15794);

– tale impostazione, riferita alla protezione internazionale nel suo complesso, si attaglia come tale tanto alla domanda volta al conseguimento dello status di rifugiato, quanto a quella diretta ad ottenere la protezione sussidiaria in ciascuna delle tre ipotesi contemplate dall’art. 14 stesso D.Lgs.;

– ne consegue che, anche in relazione alla protezione sussidiaria, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (così, Cass., ord., 20 dicembre 2018, n. 33096);

– infondato è anche il secondo motivo avendo la Corte approfonditamente argomentato ed escluso anche la ricorrenza dei motivi di carattere umanitario complementare di cui al D.Lgs. n. 287 del 1998, art. 5, comma 6 per la concessione di un permesso di soggiorno;

– va richiamato, al riguardo, l’orientamento di legittimità (cfr., sul punto, Cass. n. 8020 del 21/04/20209) secondo cui il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno di una domanda di protezione internazionale, non preclude al giudice di valutare altre circostanze che integrino una situazione di “vulnerabilità” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, poichè la statuizione su questa domanda è frutto di una valutazione autonoma e non può conseguire automaticamente al rigetto di quella concernente la protezione internazionale;

– nondimeno, nel caso di specie, il giudice di merito ha evidenziato come nulla avesse addotto il richiedente con riferimento alla propria condizione, alla necessità di effettuare cure mediche ovvero in ordine al percorso di integrazione, ed ha altresì escluso che potesse reputarsi sufficiente la circostanza che l’interessato avesse avuto, sino al giugno 2018, un contratto di lavoro a tempo parziale e determinato per valutarne la vulnerabilità in caso di ritorno in (OMISSIS), in rapporto alla situazione in Italia;

– sul punto, va rilevato che, se è vero che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr., sul punto, Cass. n. 13088/2019) nell’ottica atipica e residuale della protezione umanitaria, rilevano tutte quelle situazioni di vulnerabilità dello straniero da proteggere, nondimeno, nel caso di specie, con valutazione di fatto, sottratta al sindacato di legittimità, il Collegio ha escluso che fossero stati addirittura allegati minimi elementi a sostegno della peculiare vulnerabilità ed ha ritenuto, quindi, insufficiente l’allegazione del contratto;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pa lo ri a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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