Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 939 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 17/01/2020), n.939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 25795/2015, proposto da:

G.E. e Gi.Gi., rappresentati e difesi dall’avv.

Carlo Amato e dall’avv. Giuseppe Marini, come da mandato in margine

al ricorso, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma,

via di Villa Sacchetti, n. 9;

– Ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate ed Agenzia delle Entrate – Direzione

provinciale di Padova, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Controricorrente –

Avverso la sentenza n. 620/31/2015 della Commissione Tributaria

Regionale del Veneto, depositata il 31/03/2015 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 7 novembre

2019 dal Consigliere Rosita D’Angiolella.

Fatto

RITENUTO

che:

G.E. e Gi.Gi., rispettivamente ex socia accomandataria ed amministratrice ed ex socio accomandante della società “Leader di G.E. & C.”, cancellata dal registro delle imprese in data 24 febbraio 2009, propongono ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, di cui in epigrafe, che, a conferma della sentenza di primo grado, aveva rigettato l’appello dei contribuenti, ritenendo la legittimità della notifica degli avvisi di accertamento agli ex soci effettuata successivamente alla cancellazione della società dal registro delle imprese.

Il ricorso è affidato a quattro motivi.

L’agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la sentenza impugnata considerato che la cancellazione dal registro delle imprese della società contribuente intervenuta in data 24/02/2009, produce l’effetto irreversibile dell’estinzione della società, anche in presenza di crediti insoddisfatti e pur trattandosi di società di persone; evidenzia, sul punto, che tutti gli atti impositivi impugnati erano stati notificati successivamente all’estinzione della società, per cui dovevano considerarsi inesistenti. Col secondo motivo, deducono la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame del fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tar le parti, riguardante l’applicabilità dei limiti alla responsabilità dei soci a seguito della vicenda estintiva dell’ente.

Con il terzo motivo, denunciano la violazione di una serie di norme poste a tutela delle garanzie del contribuente ed in particolare della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, dell’art. 41 della CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; deduce, inoltre, la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver ritenuto provato nel merito il fondamento della pretesa dell’Ufficio pur non essendo stata fornita ai contribuenti la documentazione presupposta agli avvisi notificati alla società estinta.

Con il quarto, deducono, infine, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver i secondi giudici considerato che nel sistema delle sanzioni amministrative tributarie vale il principio di colpevolezza ai fini dell’irrogazione della sanzione, sicchè, non potevano irrogarsi agli ex soci di una società estinta le sanzioni irrogate con riguardo ad una avviso di accertamento afferente tale società.

I motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente in quanto afferenti sostanzialmente ad una stessa censura, sono infondati.

La questione che si pone è facilmente risolvibile in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte che, da tempo, ha enunciato il principio di diritto secondo cui l’atto impositivo emesso nei confronti di una società di persone è validamente notificato, dopo l’estinzione della stessa, ai soci (anche ad uno solo di essi), poichè, analogamente a quanto previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 4, per l’ipotesi di morte del debitore, ciò si correla al fenomeno successorio che si realizza rispetto alle situazioni debitorie gravanti sull’ente e realizza, peraltro, lo scopo della predetta disciplina di rendere edotto almeno uno dei successori della pretesa azionata nei confronti della società (cfr., Sez. U. Sentenza n. 6070 del 12/03/2013, Rv. 625323-01; Sez. 5, Sentenza n. 31037 del 28/12/2017, Rv. 646685-02; Sez. 5, Ordinanza n. 25487 del 12/10/2018, Rv. 650804-01).

In tal caso si realizza, cioè, un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale le obbligazioni facenti capo alla società si trasferiscono ai singoli soci che ne rispondono illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso in seguito alla liquidazione a seconda che, “pendente societate”, fossero illimitatamente o limitatamente responsabili per i debiti sociali, dal che ne consegue che l’avviso di accertamento per redditi imputati per trasparenza al socio, di una società estinta in data antecedente, non è affetto da nullità derivata in conseguenza dell’invalidità della notifica alla società stessa (cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23534 del 20/09/2019, Rv. 655164-01).

Infine, trattandosi, nella specie di accertamento del maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone, ed imputato ai soci ai fini dell’Irpef, giusta il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5, in proporzione della relativa quota di partecipazione, ciò comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 46.

E’ stato chiarito, altresì, che tale principio si applica anche al socio accomandante di società in accomandita semplice, essendo irrilevante l’estraneità di tale specie di soci all’amministrazione della società, in quanto ad essi è sempre consentito di verificare l’effettivo ammontare degli utili conseguiti; la sanzione non viene, quindi, irrogata all’accomandante sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza introdotto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 consistendo, nel suo caso, la colpa nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320 c.c., u.c. (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 16116 del 28/06/2017, Rv. 644702-01; Sez. 65, Ordinanza n. 9637 del 13/04/2017, Rv. 643799-02; cfr. Sez. 5, Sentenza n. 12177 del 26/05/2009, Rv. 608514-01).

Il secondo motivo di gravame, risulta inammissibile, in quanto il parametro di censura evocato (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006) richiede che l’omissione della motivazione faccia riferimento ad un “fatto”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico, il che non può certo indentificarsi con i limiti della responsabilità dei soci a seguito della vicenda estintiva dell’ente; in ogni caso esso è infondato, atteso che dell’accertamento del reddito di partecipazione viene automaticamente imputato al socio, ai sensi del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5 (poi art. 5 TUIR), ai fini Irpef, in relazione alla sua quota di partecipazione.

Il ricorso, va dunque integralmente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore dell’Agenzia dell’entrate che liquida in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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