Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9387 del 08/04/2021

Cassazione civile sez. III, 08/04/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 08/04/2021), n.9387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35743 -2019proposto da:

ABDUL SALEEM, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO TACCHI

VENTURI;

– ricorrenti –

nonchè contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 4075/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 01/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente A.S. è cittadino (OMISSIS), della regione del (OMISSIS).

Ha raccontato di essere fuggito in quanto, essendo in cerca di lavoro, era stato da un amico presentato ad un gruppo di persone che si erano offerte di fornirglielo e che lui invece ha subito sospettato di essere dei terroristi, ed è per questo che ha rifiutato l’offerta ed è andato via.

Ha appreso poi non solo che le forze dell’ordine avevano arrestato quelle persone, ma che sospettavano che anche lui facesse parte del gruppo.

Il ricorrente ha pertanto deciso di fuggire dal suo Paese. La Commissione territoriale non ha creduto al suo racconto ed ha rigettato la richiesta di protezione internazionale e quella di protezione umanitaria.

Il Tribunale, adito dal ricorrente a seguito di tale rigetto, ha ritenuto poco specifici i motivi di ricorso, ed ha ribadito il rigetto, decisione quest’ultima, poi confermata pienamente dalla Corte di Appello.

A.S. ricorre con tre motivi. V’è costituzione del Ministero.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

p..- La ratio della decisione impugnata.

La corte di appello intanto ritiene non credibile il racconto, per la sua genericità – il ricorrente non avrebbe specificato circostanze di luogo e di tempo- e per la sua incoerenza; alla corte di appello è apparso inverosimile che il ricorrente, pur minacciato di morte, sia fuggito solo lui abbandonando l’intera sua famiglia e lasciandola priva di mezzi di sostentamento; inoltre la corte ritiene, alla luce di alcune COI di riferimento, che la situazione del (OMISSIS), ma anche quella del (OMISSIS) in generale non sia di conflitto armato generalizzato; quanto infine alla protezione umanitaria ritiene che l’inverosimiglianza del racconto sia ostativa ad un permesso di soggiorno, ai fini del quale in realtà non conta il lavoro svolto in Italia.

p.. Queste rationes sono contestate con tre motivi.

p..- Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 25 del 2007, art. 14, lett. c.

Secondo il ricorrente la corte avrebbe compiuto una valutazione della situazione generale del (OMISSIS) in astratto, senza “un reale approfondimento delle condizioni di vita nella zona specifica del ricorrente” e senza tenere in conto “lo specifico episodio che l’istante ha riferito e che si lega in modo inscindibile alla situazione politica (OMISSIS)”.

Il motivo è infondato.

Non coglie la ratio della decisione impugnata, che parte dal presupposto della inverosimiglianza del racconto del ricorrente e dunque coerentemente non valuta la situazione politica alla luce di quel racconto.

Per il resto, la decisione contiene riferimento, come imposto dalla legge, a fonti aggiornate ed attendibili.

p..- Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c. e L. n. 251 del 2007, art. 5 e della L. n. 25 del 2008, art. 3.

La tesi del ricorrente è che il giudizio sulla sua credibilità è infondato, in quanto privo di riscontri esterni, motivato peraltro per relationem a quello della Commissione territoriale, senza alcuna considerazione degli ulteriori sviluppi istruttori successivi al primo grado.

Il motivo è infondato.

Il giudizio di credibilità è il risultato di un procedimento che la legge impone di seguire al giudice e può essere censurato solo se i criteri imposti dalla legge (L. n. 25 del 2007, art. 3) sono stati violati (Cass. 14674/2020). La corte non ha disatteso le indicazioni in questione dando conto sia della intrinseca contraddizione del ricorrente sia della genericità del racconto.

Del resto, la contestazione della credibilità non è specifica, salvo la censura che essa è motivata per relationem e che non tiene conto di elementi emersi dopo la motivazione di riferimento.

Ma anche questi due rilievi sono privi di fondamento in quanto, per quanto attiene alla motivazione per relazione, essa è consentita a giustificazione di una decisione giudiziaria, e peraltro nel caso presente non è affatto una motivazione di tale guisa, in quanto la corte adduce proprie ed autonome ragioni a sostegno del giudizio di inverosimiglianza.

Nè il ricorrente, ritenendo che la decisione non tiene conto di sviluppi istruttori successivi al primo grado, indica quali siano.

p..- Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c. e L. n. 286 del 1998, art. 5.

La censura attiene alla protezione umanitaria.

La corte ha ritenuto di non doverla riconoscere per via della inverosimiglianza del racconto. Inoltre ha escluso che, di per sè, la condizione lavorativa e l’integrazione in Italia abbiano rilievo.

Il ricorrente censura questa ratio in modo specifico contestando alla corte di non avere effettuato alcuna comparazione tra la situazione soggettiva del ricorrente e quella in cui si verrebbe a trovare in caso di rimpatrio.

Il motivo è fondato.

La ratio della decisione è duplice.

Da un lato, la corte ritiene che l’inverosimiglianza del racconto impedisce di valutare la situazione personale alla luce del quadro politico del paese, ma questa ratio si risolve nella tesi che il giudizio sulla protezione umanitaria ripete quello sulla sussidiaria di cui all’art. 14 citato, lett. c.

Invece non è cosi: la situazione del paese di origine da valutare ai fini della protezione umanitaria è diversa da quella che si valuta ai fini della protezione sussidiaria. In quest’ultimo caso, data l’inverosimiglianza del racconto, non resta che verificare se vi sia una situazione di conflitto armato, mentre nel caso della umanitaria non è necessario che nel paese di origine vi sia una situazione di conflitto armato per ritenere vulnerabile il ricorrente in caso di rimpatrio, essendo sufficienti condizioni diverse (violazione dei diritti fondamentali in primis).

La ratio, pertanto, consiste nel pretendere che ai fini della protezione umanitaria rilevi una situazione di generalizzato conflitto armato, ed in questi termini è infondata.

Inoltre, secondo la corte, l’integrazione in Italia e segnatamente quella lavorativa non ha rilievo o comunque non è decisiva ai fini della protezione in questione, ed anche questa ratio, in tali termini espressa è infondata, in quanto se è vero che l’integrazione lavorativa non ha da sola rilevanza è vero che però ce l’ha in comparazione con la situazione del paese di origine, al fine di verificare se quest’ultima, anche alla luce del livello di vita assunto in Italia dal ricorrente presenti condizioni ostative al rimpatrio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta gli altri. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2021

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