Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9387 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. II, 04/04/2019, (ud. 06/11/2018, dep. 04/04/2019), n.9387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10513-2015 proposto da:

A.S., AL.SA., A.D., AL.ST.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VITTORIO COLONNA 27, presso

lo studio dell’avvocato GIANNI MASSIGNANI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MICHELE MURITI;

– ricorrenti –

contro

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 88, presso lo studio dell’avvocato MARCO FEROCI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA PAVANINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1981/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 20/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso, in

subordine accoglimento parziale per quanto di ragione;

udito l’Avvocato PAVANINI Andrea, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La presente causa trae origine dal testamento olografo di M.B., con il quale la de cuius, deceduta a (OMISSIS), ripartisce porzioni immobiliari in Venezia fra i figli A.M., D. e St. e i nipoti, figli di D., Sa. e A.S..

In favore di A.M. il testamento prevede un conguaglio di Euro 55,000,00 da versarsi dai fratelli.

2. Per quanto interessa in questa sede, A.D., con ricorso ex art. 447 c.p.c., chiedeva il rilascio dell’alloggio di (OMISSIS), a lui assegnato con il testamento, ma occupato da A.M..

A sua volta A.M., con autonoma citazione, conveniva in giudizio i coeredi in base al testamento, chiedendo la riduzione delle disposizioni testamentarie e lo scioglimento della comunione.

Si costituivano i convenuti e chiedevano il rigetto delle domande, ad eccezione della domanda di scioglimento della comunione, alla quale aderivano.

A.D., in proprio e quale legale rappresentante del minore S., e Al.Sa. chiedevano, in via riconvenzionale, il rilascio dell’immobile in (OMISSIS).

Chiedevano inoltre la condanna di A.M. a corrispondere ai fratelli St. e A.D. la propria quota degli esborsi sostenuti per i restauri eseguiti agli immobili oggetto di successione, per il pagamento delle imposte di successione, delle spese funebri e di ogni altra spesa effettuata nell’interesse comune nella misura da accertarsi in corso di causa.

Riuniti i giudizi, nel termine concesso per le deduzioni istruttorie i convenuti depositavano documenti e chiedevano prova per interrogatorio formale e per testimoni sulle spese sostenute nell’interesse comune.

La prova era ammessa e poi revocata in base al rilievo che, sul punto degli esborsi, la causa poteva essere decisa sulla base dei documenti prodotti.

Sul complesso delle domande il Tribunale di Venezia così decideva: accertava che il compendio ereditario era stato diviso dalla testatrice; disponeva, in favore di A.M., la riduzione delle disposizioni testamentarie; condannava A.D. a corrispondere a A.M., a titolo di reintegra, la somma di 77.007,42; condannava S. e Al.Sa. a corrispondere a M., al medesimo titolo, la somma di Euro 144.985,19 ciascuno; condannava A.M. a corrispondere ai fratelli, a titolo di rimborso delle spese sostenute nell’interesse comune, l’importo di Euro 9.986,96.

Contro la sentenza proponevano appello principale Al.St. e A.D. (quest’ultimo anche in nome del figlio S., all’epoca minore di età) e Al.Sa..

Gli appellanti principali denunciavano l’errore in cui era incorso il tribunale nella parte in cui, nel quantificare il debito pro quota di A.M. nei confronti dei fratelli, aveva negato il rimborso delle spese sostenute da costoro per il restauro dell’immobile caduto in successione.

Secondo gli appellanti, inoltre, il tribunale, nel determinare la misura del conguaglio a carico di Sa. e A.S., si era rifatto alla prima stesura della consulenza tecnica, senza considerare che questa era stata poi modificata in sede di stesura definitiva.

A.M. resisteva con appello incidentale.

Nel corso del giudizio chiedeva la condanna di A.D. al rilascio della porzione oggetto dell’attribuzione testamentaria in proprio favore.

La Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello principale e accoglieva la domanda di rilascio di A.M..

3. Contro la sentenza Al.St., A.D., A.S. e Al.Sa. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui A.M. ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 789 c.p.c e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui ha rigettato il motivo di appello con il quale si denunciava l’errore commesso del primo giudice nella liquidazione dei conguagli, in quanto determinati sulla base della prima stesura dalla relazione del consulente tecnico, poi modificata nell’elaborato definitivo.

La corte ha respinto la doglianza ritenendola generica e in ogni caso perchè il progetto era stato accettato dagli appellanti, i quali non avevano riproposto in appello la domanda di adozione del progetto alternativo predisposto dal consulente.

I ricorrenti replicano che il motivo d’appello non era per niente generico, giustificandosi in base a un semplice calcolo matematico; osservano inoltre che la supposta accettazione da essi manifestata si riferiva al progetto divisionale definitivo e non a quello di cui alla prima versione provvisoria poi modificata.

1.2. Il motivo è inammissibile.

Occorre partire dalla considerazione che, nella stesura provvisoria e in quella definitiva della consulenza tecnica, l’importo dovuto dagli attuali ricorrenti in favore di A.M. è il medesimo. Varia solamente la distribuzione interna della somma fra gli obbligati: in base alla prima stesura, recepita dalla Corte d’appello, A.D. avrebbe dovuto pagare a Al.St. Euro 67.977,77 e a A.M. Euro 77.007,42 (in totale quindi D. doveva Euro 144.985,19), mentre Al.Sa. e A.S. avrebbero dovuto pagare l’importo di Euro 144.985,19 ciascuno.

In totale gli attuali ricorretti avrebbero dovuto pagare il complessivo importo di Euro 434.955,57, di cui Euro 366.977,80 in favore di A.M. e Euro 67.977,77 in favore di Al.St..

Nella stesura definitiva il conguaglio a carico di A.D. diventa di Euro 173.982,22, mentre quello a carico di Sa. e A.S. scende a Euro 130.486,67.

L’importo complessivo, però, non cambia: i controricorrenti continuano a dovere il medesimo importo di Euro 434.955,57, perchè alla riduzione in favore di Sa. e S. fa riscontro un aumento di pari misura a carico di D.. Consegue dalla identità del complessivo importo che la decisione andava semmai censurata sotto questo specifico profillo, per violazione del criterio di riparto del conguaglio fra i più obbligati al pagamento (profilo che avrebbe visto gli obbligati portatori di interessi in linea di principio confliggenti), mentre i ricorrenti hanno impostato la questione in termini puramente formali, denunciando l’errore della corte di merito nella scelta del progetto cui fare riferimento.

In questi termini l’errore è privo di incidenza sulla decisione.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.

La sentenza è censurata nella parte in cui ha accolto la richiesta di A.M., volta a ottenere il rilascio della porzione a lui assegnata in proprietà esclusiva con la sentenza di primo grado, benchè tale domanda fosse stata proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio d’appello.

In ordine a tale censura il controricorrente ha depositato scrittura privata, con la quale le parti dell’odierno giudizio hanno definito il contrasto sul rilascio dei beni divisi oggetto delle reciproche attribuzioni.

Il deposito del documento, già prodotto insieme alla memoria, è stato notificato ai ricorrenti ai sensi dell’art. 372 c.p.c.

Il motivo pertanto va dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

3. Il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del principio di non contestazione, l’errata valutazione dei documenti e la mancata ammissione di mezzi di prova decisivo.

La parte della sentenza oggetto di censura è quella relativa alla quantificazione del credito di St. e A.D. nei confronti di A.M..

Si denuncia, in particolare, il mancato riconoscimento degli esborsi sostenuti per il restauro dell’immobile compreso nella successione.

Il motivo è inammissibile.

La corte d’appello ha negato il rimborso della maggiore somma, in primo luogo, perchè ha ritenuto, per un verso, “generica” la domanda relativa a tali pretese, per altro verso, “tardiva” l’allegazione compiuta con la memoria “destinata alla sola formulazione dei mezzi istruttori”.

A tali rilievi di carattere processuale, la corte ha aggiunto una valutazione negativa circa l’idoneità delle prove offerte per la dimostrazione del credito.

Orbene il motivo di ricorso in esame si appunta, sotto una molteplicità di profili, esclusivamente sulla valutazione di inidoneità della prova, soprattutto per la mancata ammissione dei mezzi proposti, mentre non si censurano le preliminari affermazioni della sentenza, di per sè sufficienti a giustificare il rigetto della domanda, sulla genericità iniziale della domanda e sulla tardività dell’allegazione compiuta in un secondo tempo.

A sua volta la mancata impugnazione comporta l’inammissibilità dell’insieme delle censure formulate con il motivo in esame, posto che il loro accoglimento non potrebbe comunque portare alla cassazione della sentenza (Cass. n. 2108/2012; n. 15399/2018).

In conclusione il ricorso va interamente rigettato, con addebito di spese.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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