Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9386 del 21/05/2020

Cassazione civile sez. II, 21/05/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 21/05/2020), n.9386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3250/2016 proposto da:

EDS INFRASTRUTTURE S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato UGO

COLONNA e dall’Avvocato CHIARA GARIGLIO ed elettivamente domiciliata

a Roma, via Salaria 400, presso lo studio dell’Avvocato UGO COLONNA,

per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato IGNAZIO

CARDILLO ed elettivamente domiciliata a Roma, via Spallanzani 2,

presso lo studio dell’Avvocato VALERIO PESCATORE, per procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè

TELLABS DENMARK A/S (già DSC COMMUNICATION A/S TELLABS), oggi

CORIANT DENMARK A/S;

– resistente –

avverso la sentenza n. 868/2014 della CORTE D’APPELLO DI MESSINA,

depositata ill7/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

20/11/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto

Procuratore Generale della Repubblica Dott. CAPASSO Lucio, il quale

ha concluso per il rigetto del primo e del quarto motivo, per

l’accoglimento del secondo e per l’inammissibilità del terzo;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato UGO COLONNA;

sentito, per la controricorrente, l’Avvocato DOMENICO TALARICO, per

delega dell’Avvocato IGNAZIO CARDILLO;

sentiti, per la resistente, l’Avvocato ALFREDO LUCENTE e l’Avvocato

MATTEO BORDONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con decreto pronunciato nel 1999, ha ingiunto alla TELECOM ITALIA s.r.l., alla DSC Communications A/S e alla TELI s.p.a. il pagamento, in favore della EDIL SCAVI s.p.a. (già EDIL SCAVI di B.S. & C. s.r.l. ed, ancora prima, s.n.c.), della somma di Lire 2.167.556.228, oltre interessi e spese, quale residuo corrispettivo per i lavori, dalla stessa regolarmente eseguiti, previsti dal contratto di subappalto stipulato il 3/7/1997 con la TELECOM ITALIA s.r.l., associata dell’A.T.I. costituita, oltre che dalla stessa TELECOM ITALIA s.r.l., dalla DSC Communications A/S, quale capogruppo, e dalla TELI s.p.a.: A.T.I. che, risultata aggiudicataria a seguito di gara, aveva stipulato, in data 25/3/1997, con la s.p.a. TELECOM ITALIA un accordo quadro, integrato con contratto applicativo del 28/4/1997, per la realizzazione di una piattaforma di rete a banda larga.

Il tribunale, con sentenza del 2006, nella contumacia dei fallimenti della TELECOM ITALIA s.r.l. e della ELETTRA s.r.l. (già TELI s.p.a.), pronunciando sulle opposizioni al decreto ingiuntivo proposte dagli ingiunti nonchè sulle domande proposte dall’opposta EDIL SCAVI nei confronti tanto delle società opponenti, quanto – a mezzo di chiamata in causa di terzo – della TELECOM ITALIA s.p.a., ha, tra l’altro, dichiarato l’inammissibilità delle domande riconvenzionali spiegate dalla società opposta ed, in ragione del difetto di legittimazione passiva della Tellabs Denmark A/S (già DSC Communications A/S Tellabs), ha revocato il decreto ingiuntivo opposto.

La EDIL SCAVI s.p.a. ha proposto appello avverso tale decisione, articolando sette motivi di censura e chiedendo la riforma della sentenza impugnata.

La Tellabs Denmark A/S e la TELECOM ITALIA s.p.a. hanno resistito al gravame, contestando i motivi d’appello e chiedendo la conferma della decisione appellata.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello ed ha, per l’effetto, confermato la decisione impugnata.

La corte, in particolare, ha ritenuto l’infondatezza del primo e del secondo motivo d’appello, con i quali la società appellante aveva dedotto, per un verso, che il tribunale non poteva dichiarare d’ufficio l’inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta dall’opposta e, per altro verso, che non si trattava di domanda riconvenzionale ma di domanda integrativa di quella avanzata in via ingiuntiva.

La corte, al riguardo, ha evidenziato che, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, l’opposto, convenuto formale ma attore in senso sostanziale, non può proporre domanda riconvenzionale, salvo che nel caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, la parte opposta si venga a trovare, a sua volta, in una posizione processuale di convenuto, al quale non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante l’eventuale proposizione di una reconventio reconventionis. Nel caso di specie, però, ha osservato la corte, gli opponenti si sono limitati a chiedere unicamente l’annullamento del decreto ingiuntivo e l’opposto, in conseguenza, non è stato messo nella necessità di difendersi rispetto ad una nuova e diversa pretesa degli opponenti. Nè la domanda di ristoro dei danni, ha aggiunto la corte, può essere in alcun modo considerata come domanda integrativa di quella originaria: con la richiesta monitoria, infatti, la EDIL SCAVI aveva preteso il pagamento del saldo dei lavori svolti ed è, quindi, evidente che la domanda di risarcimento dei danni da ritardato pagamento è del tutto autonoma e diversa. Neppure è fondato, ha proseguito la corte, il rilievo per cui la sentenza è nulla per essere stata dichiarata d’ufficio l’inammissibilità della domanda riconvenzionale: l’inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, correlata all’obbligo del giudice di non esaminarla nel merito, è, infatti, rilevabile anche d’ufficio.

La corte, inoltre, per ciò che riguarda il quarto ed il quinto motivo d’appello, con i quali è stato contestato il rigetto della domanda riconvenzionale proposta nei confronti della TELECOM ITALIA s.p.a.), ha ritenuto che valessero le stesse considerazioni in precedenza formulate.

La corte, poi, ha ritenuto l’infondatezza del terzo motivo d’appello, con il quale la società appellante ha contestato la declaratoria di carenza di legittimazione passiva della Tellabs Denmark sul rilievo che il tribunale aveva erroneamente considerato che il contratto intervenuto tra la committente TELECOM ITALIA s.p.a. e l’A.T.I. avrebbe dovuto rimanere distinto da quello derivante dal subappalto intervenuto tra la TELECOM ITALIA s.r.l., e cioè una delle associate, e la EDIL SCAVI, nei confronti della quale, pertanto, non operava la responsabilità solidale delle imprese associate. Secondo la corte, il legame tra la EDIL SCAVI e la TELECOM ITALIA s.r.l. non comporta alcun rapporto associativo in quanto, nei rapporti tra l’appaltatore ed il subappaltatore, spiega l’efficacia di un appalto e subisce le vicende del negozio originario. La corte, inoltre, nel richiamare quanto argomentato dal primo giudice in merito alla carenza di legittimazione dell’appellata, che ha dichiarato di condividere pienamente, ha aggiunto che il richiamo effettuato dall’appellante alla L. n. 109 del 1994, art. 13, non era pertinente: nel caso del subappalto intervenuto tra la EDIL SCAVI e la TELECOM ITALIA s.r.l., infatti, quest’ultima, al di fuori del complesso procedimento previsto dall’art. 118 della predetta legge, ha agito, quale singola impresa partecipante, in proprio nome e per proprio conto, nell’esercizio dell’autonomia patrimoniale che, del resto, era garantita dall’atto costitutivo dell’ATI. Viceversa, ha aggiunto la corte, “solo l’offerta dei concorrenti raggruppati avrebbe determinato la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante nonchè dei confronti del subappaltatore dei fornitori”.

Quanto, infine, al sesto (esigibilità e quantum del credito), al settimo (indebita applicazione della riduzione sui prezzi del subappalto), all’ottavo ed al nono motivo, il rigetto dell’appello, ha concluso la corte, determina l’automatico assorbimento degli stessi.

La EDS INFRASTRUTTURE s.p.a., con ricorso notificato in data 13/1/2016, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

Ha resistito, con controricorso notificato in data 17/2/2016, la TELECOM ITALIA s.p.a..

La società ricorrente ha depositato memoria e documenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte prende atto che la società ricorrente, con Delib. Assemblea Straordinaria 12 settembre 2017 (v. la copia allegata alla memoria depositata l’8/11/2019), ha mutato la propria denominazione da EDIL SCAVI s.p.a. in EDS INFRASTRUTTURE s.p.a..

2.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di riconoscere la nullità della sentenza del tribunale per aver rilevato d’ufficio l’inammissibilità di asserite domande riconvenzionali nonostante che la loro inammissibilità non era stata in alcun modo eccepita dalle parti le quali, al contrario, avevano accettato il contraddittorio sulle stesse trattandone in modo specifico il merito.

2.2. L’appellante, in effetti, aveva lamentato la violazione del principio, che trova fondamento negli artt. 24 e 111 Cost., oltre che nell’art. 101 c.p.c., secondo il quale il giudice non può decidere la lite sulla base di una questione rilevata d’ufficio senza averla preventivamente sottoposta alle parti, al fine di provocare sulla stessa il contraddittorio, con la conseguente nullità della sentenza del tribunale posto che, nel giudizio di primo grado, non è mai stata discussa la questione dell’ammissibilità o meno delle domande.

2.3. La corte d’appello, invece, anzichè pronunciare la nullità della sentenza, si è dilungata sulla possibilità per il convenuto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo di proporre domande riconvenzionali, dando a tale questione risposta negativa, ma omettendo del tutto di pronunciarsi sulla nullità così come eccepita, vale a dire per essere stata emessa una pronuncia su questione rilevata d’ufficio senza che fosse stata data alle parti alcuna possibilità di contraddire su essa.

3. Il motivo è infondato. Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è idoneo a dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se ed in quanto si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. n. 321 del 2016; Cass. n. 4191 del 2006; Cass. n. 22860 del 2004). Nel caso di specie, la ricorrente si è limitata a denunciare il vizio di omessa pronuncia sull’eccezione di nullità della sentenza per aver pronunciato d’ufficio l’inammissibilità delle (asserite) domande riconvenzionali ma non ha proposto uno specifico motivo di censura relativamente alla questione processuale sulla quale, a suo dire, vi sarebbe stata l’omissione di pronuncia ma che, invece, deve ritenersi essere stato oggetto di una implicita statuizione di rigetto.

4.1. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, nel pronunciarsi sul quarto ed il quinto motivo d’appello proposti dalla EDIL SCAVI avverso la sentenza di primo grado, con riguardo alle domande proposte nei confronti della TELECOM ITALIA s.p.a., ha ritenuto che per tali censure valessero le considerazioni già formulate.

4.2. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello ha omesso di pronunciarsi sulle predette censure, non avendo detto nulla in ordine alle domande che l’opposta aveva proposto nei confronti della TELECOM ITALIA s.p.a. che, in quanto dirette, sono diverse rispetto a quelle avanzate nei confronti delle opponenti principali (e cioè TELECOM ITALIA s.r.l., TELI e DCS), nè sulle doglianze specificatamente mosse al riguardo con riferimento alla pronuncia di primo grado.

4.3. La TELECOM ITALIA s.r.l., infatti, aveva attribuito il mancato pagamento alla condotta della mandante TELECOM ITALIA s.p.a., che aveva sospeso il programma e contabilizzato solo in parte i lavori eseguiti dalla EDIL SCAVI, e ciò aveva fatto emergere l’interesse dell’opposto a chiamare in causa, in base alle norme di cui all’art. 183 c.p.c., comma 4 e art. 269 c.p.c., comma 3, il terzo TELECOM ITALIA s.p.a., estendendo alla stessa le pretese già azionate nei confronti delle opponenti e proponendo nei suoi confronti domanda di arricchimento senza causa e di risarcimento dei danni.

5. Il motivo è fondato. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, per effetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l’opponente quella di convenuto. Ciò esplica, evidentemente, i suoi effetti anche in ordine ai poteri e alle preclusioni di ordine processuale rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti. Nel richiamo alle norme del procedimento ordinario di cognizione resta applicabile, pertanto, anche l’art. 183 c.p.c., comma 5, a mente del quale l’attore (vale a dire, in ragione dell’evidenziata inversione dei ruoli processuali che si realizza nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto) può non solo proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza delle domande riconvenzionali e delle eccezioni del convenuto (e cioè l’opponente) ma anche chiamare in giudizio un terzo nei termini di cui all’art. 106 c.p.c. e art. 269 c.p.c., comma 3, ove l’esigenza sia effettivamente sorta dalle difese dell’opponente, convenuto in senso sostanziale (Cass. n. 16868 del 2018; Cass. n. 10218 del 2019). La corte d’appello, pertanto, lì dove si è limitata a riscontrare l’insussistenza, nel caso di specie, dei presupposti che legittimano l’opposto alla proposizione, a fronte della riconvenzionale dell’opponente, della cd. reconventio reconventionis, non si è avveduta del fatto che le norme prima ricordate abilitano l’opposto a chiedere la chiamata in giudizio di terzi nel caso in cui tale esigenza, come la ricorrente ha esposto, sia sorta in forza delle difese dell’opponente, e dev’essere, in parte qua, cassata.

6.1. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1419 c.c. e alla L. n. 55 del 1990, art. 18, comma 3 bis, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha corte d’appello non ha condannatola Telecom s.p.a., in qualità di mandante, al pagamento diretto del valore del subappalto.

6.2. Quest’ultima norma, infatti, ha osservato la ricorrente, ha previsto la possibilità, per l’amministrazione (o l’ente) aggiudicatrice di opere in appalto con possibilità di subappalto, di indicare nel bando di gara se intenda provvedere a pagare direttamente al subappaltatore l’importo dovuto per le prestazioni eseguite o se pagare al subappaltatore tramite l’appaltatore, purchè tale opzione sia svolta al momento dell’indizione del bando di gara.

6.3. Nel caso di specie, nulla viene specificato nel bando di gara nè nel successivo accodo quadro tra la Telecom s.p.a. e l’A.T.I.. La scelta viene inserita, in modo illegittimo, solo nel contratto applicativo, nemmeno richiamato nel contratto di subappalto del 3/7/1997 tra la TELECOM ITALIA s.r.l. e la EDIL SCAVI. Tale contratto viene trasmesso alla Telecom s.p.a., la quale accetta e consente che il contratto avesse esecuzione.

6.4. Risulta, quindi, evidente, alla luce dei fatti predetti, ha osservato la ricorrente, che la clausola del contratto applicativo, che la Telecom s.p.a. ha invocato per non pagare, non è opponibile alla EDIL SCAVI, la quale, in mancanza di qualsivoglia previsione nel bando di gara, ha il diritto di far valere l’ipotesi a sè più favorevole tra quelle contemplate dall’art. 18, comma 3 bis, cit., ossia il pagamento diretto del subappaltatore.

6.5. La nullità parziale del bando di gara, ha evidenziato la ricorrente, per la mancanza di qualsiasi indicazione sulla modalità di pagamento delle opere in subappalto, non può che determinare la nullità derivata si tutte le clausole con le quali si è preteso di effettuare successivamente e contra legem la scelta in questione.

6.6. La corte d’appello, quindi, riconosciuta la portata imperativa dell’art. 18, comma 3 bis cit., avrebbe dovuto sostituire di diritto, a norma dell’art. 1419 c.c., le clausole ad essa contrarie con la previsione normativa ed, in particolare, tra le due opzioni contenute nella norma, con l’ipotesi più favorevole all’appaltatore, ossia il pagamento diretto.

7. Il motivo è assorbito dall’accoglimento di quello precedente.

8.1. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 109 del 1994, art. 13, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha corte d’appello ha confermato la carenza della legittimazione passiva della capogruppo DSC Tellabs Denmark con riferimento (non alle domande riconvenzionali proposte nei confronti della società dell’A.T.I., ma) alla domanda principale, ossia il pagamento del prezzo delle opere del subappalto, oggetto del decreto ingiuntivo.

8.2. La corte d’appello, infatti, dopo aver evidenziato che nella stipulazione del contratto di subappalto con la EDIL SCAVI, la TELECOM ITALIA s.r.l. ha agito in proprio nome e per propri conto, ha, sia pur implicitamente, affermato l’inesistenza di un’obbligazione solidale a carico della capogruppo e, in tal modo, negato la sua legittimazione passiva.

8.3. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello ha immotivatamente violato la norma prevista dall’art. 13 cit. che, al comma 2, espressamente prevede come l’offerta dei concorrenti associati determina la loro responsabilità solidale nei confronti dell’amministrazione nonchè delle imprese subappaltati e dei fornitori.

8.4. I subappaltatori, quindi, ha aggiunto la ricorrente, ha azione diretta, in via solidale, nei confronti di tutte le imprese associate, laddove il subappalto sia stato stipulato da una sola di esse, non importa se mandante o mandataria, tanto più se si considera che il contratto di subappalto stipulato dalla EDIL SCAVI aveva ad oggetto opere civili diverse dal servizio di telecomunicazioni e, come tali, sottratte all’applicabilità del D.Lgs. n. 158 del 1995, art. 23, che disciplina le procedure d’appalto nel cd. settori esclusi, tra i quali, peraltro, non rientra quello delle telecomunicazioni.

8.5. La capogruppo Tellabs Denmark, quindi, ha concluso la ricorrente, era ed è tenuta a garantire l’adempimento dei crediti della EDIL SCAVI, essendo stata essa stessa a richiedere l’autorizzazione al subappalto alla Telecom ed a ricevere tutti i pagamenti effettuati dalla committente, dei quali avrebbe dovuto controllare l’effettiva ed ultima destinazione, nell’interesse dell’A.T.I.. La capogruppo, al contrario, non ha svolto minimamente tale funzione, lasciando che le somme versate alla TELECOM ITALIA s.r.l. restassero nelle casse di quest’ultima anzichè fluire, per la parte di competenza, in quelle di EDIL SCAVI.

9. Il motivo è fondato. Questa Corte, infatti, ha avuto modo di affermare che l’Associazione temporanea tra imprese (A.T.I.) costituisce una formula negoziale che si manifesta in forme di aggregazione tra imprese, aventi natura occasionali, temporanee e limitate, finalizzate alla partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, e che si caratterizza per la loro cooperazione, al fine di integrare le rispettive capacità economico-finanziarie e tecnico-organizzative, in vista dell’aggiudicazione o della esecuzione di un’opera pubblica. Il regime della responsabilità intercorrente fra l’A.T.I. e le singole imprese raggruppate nei confronti della stazione appaltante e dei terzi (nella specie l’impresa subappaltatrice), è stato risolto (sulla base di una espressa previsione di legge: della L. n. 109 del 1994, art. 13, applicabile ratione temporis) nel senso della responsabilità solidale in capo all’A.T.I. per atti o fatti inerenti la gestione ed esecuzione dell’appalto da parte della singola impresa raggruppata. E’ stato, in effetti, espressamente stabilito il principio per cui, in tema di Associazione temporanea d’imprese in un rapporto contrattuale di pubblico appalto, ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 13 e successive modificazioni o integrazioni, la posizione della impresa mandataria è quella di responsabile, secondo lo schema della fideiussione ex lege, con obbligazione di natura prestazionale, con la conseguenza che la mandataria – salvo casi particolari in ordine alla natura tecnica peculiare di alcune delle opere – deve sostituirsi alla mandante nella prestazione rimasta ineseguita e rispondere dell’inadempimento di questa anche nei confronti dei subappaltatori o fornitori (Cass. n. 2963 del 2017). La sentenza impugnata, nella parte in cui ha negato la responsabilità solidale tra la capogruppo e la mandante-committente delle specifiche opere eseguite dalla subappaltante, non s’è, dunque, attenuta a questo principio e dev’essere, pertanto, in parte qua, cassata: ferma restando, però, la necessità che il giudice del rinvio provveda al previo e positivo accertamento dell’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione della norma prevista dall’art. 13 cit. alla vicenda negoziale in questione.

10. La sentenza impugnata, in definitiva, in relazione al secondo ed al quarto motivo, dev’essere cassata con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Messina anche ai fini delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: accoglie il secondo ed il quarto motivo; rigetta il primo, assorbito il terzo; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Messina anche ai fini delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2020

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