Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9385 del 12/04/2017

Cassazione civile, sez. lav., 12/04/2017, (ud. 21/12/2016, dep.12/04/2017),  n. 9385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7959-2012 proposto da:

I.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GAGGTANO 3, presse lo studio dell’avvocato MARIA FONTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCO BRACCIALE, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE LATINA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1924/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/04/2011 R.G.N. 130/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA;

udito l’Avvocato BRACCIALE FRANCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Latina che aveva accolto il ricorso, ha respinto la domanda proposta da I.A., tecnico di laboratorio presso il servizio di patologia clinica del Presidio Ospedaliero di Fondi, la quale aveva domandato la condanna della Azienda Unità Sanitaria Locale di Latina al pagamento delle prestazioni rese in regime di attività libero professionale intramuraria dal marzo 1999 al giugno 2005.

2. La Corte territoriale ha evidenziato, per quel che qui rileva, che la originaria autorizzazione era stata sospesa dal direttore generale con lettera del 22 febbraio 1999, sicchè la prestazione lavorativa, anche se eseguita, non poteva dare luogo a compenso, in quanto il rapporto di corrispettività era stato “spezzato alla manifestazione del divieto da parte del creditore”. Ha aggiunto che la I. avrebbe al più potuto esperire l’azione sussidiaria di ingiustificato arricchimento, nella specie non proposta. Infine la Corte territoriale ha ritenuto fondato anche il motivo di gravame relativo alla mancanza di prova della attività libero professionale ed ha evidenziato che la documentazione era stata prodotta dalla I. solo all’udienza del 14 marzo 2007, in violazione del disposto dell’art. 414 c.p.c..

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso I.A. sulla base di due motivi. La Azienda Unità Sanitaria Locale di Latina è rimasta intimata;

4. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente del 14.9.2016, la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo Angela I. denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5 “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento all’esercizio dell’attività libero professionale intramoenia da parte del ricorrente”. Evidenzia che la Corte territoriale non poteva limitarsi a rilevare che l’autorizzazione, in quanto atto di gestione del rapporto, poteva essere modificata o revocata anche in assenza di specifica delibera, dovendo invece considerare che la prosecuzione della attività era avvenuta perchè imposta dalla direttiva del Responsabile dei Servizi di Polo Centro, ossia del diretto superiore gerarchico della ricorrente. Richiama la missiva del 3 marzo 1999 con la quale era stato comunicato alla direzione aziendale che la attività intramuraria sarebbe proseguita al fine di evitare disservizi per l’utenza e danni ai dipendenti che avevano optato per l’attività libero professionale. Aggiunge che la istruttoria aveva consentito di accertare l’effettivo svolgimento della attività, della quale la Azienda si era avvantaggiata, incamerando i relativi introiti e senza riconoscere alcunchè alla equipe che aveva reso la prestazione. Invoca l’applicazione dell’art. 2126 c.c., che obbliga l’amministrazione pubblica al pagamento delle prestazioni rese di fatto, anche se in violazione di norma imperativa.

2. Il secondo motivo denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5); violazione dell’art. 420 c.p.c., (art. 360 c.p.c., n. 3)”. Premette la ricorrente che nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto di ordinare alla Azienda Sanitaria di “esibire l’elenco di tutte le somme introitate per l’attività libero professionale intramuraria esercitata dal personale del servizio di patologia clinica del presidio ospedaliero di Fondi”. La resistente si era costituita tardivamente in giudizio negando che fossero state emesse fatture, sicchè la produzione effettuata alla udienza del 14 marzo 2007 doveva essere ritenuta senz’altro ammissibile in quanto occorreva replicare alle difese avversarie. Aggiunge che in ogni caso, anche a prescindere da detta produzione, la prova dello svolgimento dell’attività era stata fornita attraverso le deposizioni testimoniali.

3. Il primo motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (fra le più recenti in tal senso Cass. 22/4/2016 n. 8206).

Nel caso di specie la sentenza impugnata, che respinge la domanda della I. per difetto della necessaria autorizzazione, non fa menzione alcuna del preteso obbligo che alla ricorrente sarebbe stato imposto dal diretto superiore gerarchico, nè affronta la questione della applicabilità alle prestazioni professionali rese in regime di intramoenia della disciplina dettata dall’art. 2126 c.c. e, quanto al tenore delle difese formulate dalla appellata, evidenzia che quest’ultima per resistere al gravame della ASL aveva sostenuto solo che la autorizzazione non poteva essere sospesa in modo informale, senza una previa deliberazione degli organi competenti.

Rispetto alla motivazione della sentenza impugnata gli argomenti prospettati nel primo motivo di gravame presentano aspetti di assoluta novità, sicchè la ricorrente aveva l’onere di precisare che la domanda era stata fondata anche sul titolo oggi fatto valere, ossia sull’asserito adempimento di un obbligo imposto dal superiore gerarchico, ed era tenuta a trascrivere nel ricorso le parti salienti degli scritti difensivi di primo e secondo grado con i quali la questione stessa era stata posta in detti termini.

Il ricorso, sia nella esposizione dei fatti di causa che nel corpo del motivo, richiama solo il contenuto della nota del 3.3.1999 a firma del Responsabile dei Laboratori, ma tace sul tenore dell’atto introduttivo di primo grado e della memoria difensiva di appello, facendo unicamente leva sulla produzione del documento, di per sè non sufficiente a dimostrare che la questione giuridica fosse stata prospettata al Tribunale ed alla Corte territoriale nei termini indicati nel motivo, che va, di conseguenza, dichiarato inammissibile.

La ricorrente, inoltre, insiste sul vantaggio che la Azienda avrebbe ricavato dalle prestazioni, ma non censura la sentenza impugnata nella parte in cui evidenzia che l’azione di ingiustificato arricchimento non era stata proposta in via subordinata.

4. Dalla ritenuta inammissibilità dell’unico motivo formulato per sostenere la sussistenza del diritto al compenso, deriva anche la inammissibilità del secondo motivo, poichè una volta escluso che la prestazione dovesse essere compensata, diviene irrilevante stabilire se la ricorrente avesse assolto l’onere della prova sulla stessa gravante in merito alla quantità ed alla qualità delle prestazioni rese.

La Corte territoriale, infatti, ha fondato la decisione su una duplice ratio sicchè trova applicazione nella fattispecie il principio secondo cui, “qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa.” (Cass. 14/2/2012 n. 2108).

5. La mancata costituzione della intimata esime dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2017

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