Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9384 del 04/04/2019

Cassazione civile sez. II, 04/04/2019, (ud. 20/04/2018, dep. 04/04/2019), n.9384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25394-2014 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in Roma, via a Traversari

55, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Marzano, rappresentato e

difeso dall’avvocato Berardino Ciucci;

– ricorrente –

contro

M.C., D.S.P., elettivamente domiciliati in

Roma, Viale Liegi 42B, presso lo studio dell’avvocato Roberto

Colagrande, rappresentati e difesi dall’avvocato Francesco Saverio

De Nardis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 877/2013 della Corte d’appello de L’Aquila,

depositata il 14/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2018 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso proposto da C.F. per l’annullamento della sentenza n. 877/2013 della Corte d’appello de L’Aquila pubblicata il 14 settembre 2013 con la quale è stato respinto l’appello proposto dall’odierno ricorrente nei confronti di M.C. e D.S.P. ed accolto l’appello incidentale di questi ultimi;

– in particolare, la corte territoriale aveva confermato il rigetto della domanda di accertamento della violazione delle distanze e risarcimento dei danni proposta dal C. nei confronti dei confinanti;

– a tale conclusione era giunta anche sulla scorta della ctu esperita dal giudice di prime cure, ritenendo insussistente la prospettata violazione e dovendosi ritenere conforme agli strumenti urbanistici il muro realizzato dai coniugi M. e D.S. sul terreno confinante con quello del C., attesa la sua funzione di contenimento della scarpata naturale che delimitava i fondi confinanti, e non potendo essere qualificato come “costruzione” agli effetti dell’art. 873 c.c., come invece ipotizzato dall’appellante;

– inoltre, e per quanto di specifico interesse, la corte territoriale aveva accolto l’appello incidentale proposto dai coniugi M. e D.S. e riconosciuto l’insussistenza della violazione della distanza di 5 m. dal confine in relazione al balcone presente sulla facciata est della villa ed aggettante sul fondo dell’appellante statuendo l’applicabilità al caso di specie della disposizione dell’art. 905 c.c., comma 2 che fissava in 1,5 m, la distanza minima fra la linea esteriore del balcone e il confine;

– poichè nel caso in esame la distanza suddetta era stata misurata dal ctu in 4,02 m. e poichè nella ctu si dava atto del richiamo all’art. 905 c.c. contenuto nel regolamento edilizio del Comune di L’Aquila, la corte ne aveva dedotto la legittimità e aveva revocato la condanna alla demolizione dei balconi contenuta nella sentenza di primo grado;

– la cassazione della sentenza impugnata è chiesta con ricorso tempestivamente notificato il 29 ottobre 2014 ed articolato sulla base di tre motivi, illustrato anche da memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., cui resistono i coniugi M. e D.S. con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli art. 872,873 c.c., D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, art. 9 N. T.A. del P.R.G. di L’Aquila, per avere la corte d’appello accolto l’impugnazione incidentale avente ad oggetto la condanna alla demolizione dei balconi posizionati a distanza inferiore a metri 5 dal confine di proprietà, in tal modo disapplicando l’art. 9 NTA il quale prevede espressamente che per i nuovi fabbricati la distanza minima deve essere fissata in 5 m dai confini ed in 10 m. tra pareti finestrate, disposizione che deve essere applicata anche ai balconi di causa, in ragione delle loro caratteristiche;

– ad avviso di parte ricorrente era corretta la conclusione sul punto adottata dal tribunale di prime cure ed assunta in conformità all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale anche uno sporto può rientrare nella nozione di costruzione e costituire il locus a quo per il calcolo delle distanze nei casi di nuovi edifici come previste dall’art. 9 delle NTA del PRG che impone l’osservanza sia delle distanze dal confine che dalle pareti finestrate, richiamando la portata precettiva del D.M. n. 1444 del 1968;

-poichè nella fattispecie concreta il ctu aveva inequivocabilmente accertato che gli sporti costituiti dai balconi e dalla tettoia della proprietà M. sono posti a distanza inferiore a 5 m dal confine, ne andava confermata la riduzione in pristino;

-con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 872,873 e 905 c.c. e D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, art. 9 N. T.A. del P.R.G. de L’Aquila per avere la corte territoriale erroneamente applicato la disciplina dettata per le vedute dall’art. 905 c.c. in luogo di quella regolatrice delle distanze tra fabbricati (art. 873 c.c. e norme integrative) giacchè, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, rientrano nel concetto di “costruzione” le parti dell’edificio quali scale, terrazze e corpi avanzati (cosiddetti “aggettanti”) che, seppure non corrispondenti a volumi abitativi coperti, sono tuttavia destinate ad estendere ad ampliare la consistenza del fabbricato;

-in applicazione di detto orientamento, quindi, non potevano elidersi le inderogabili disposizioni poste a presidio delle distanze tra costruzioni e, pertanto, la corte d’appello avrebbe dovuto confermare la correttezza del riferimento operato dal giudice di prime cure al D.M. n. del 1968. art. 9 anzichè all’art. 905 c.c.;

-con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2043 c.c. per avere la corte errato nel ritenere che la pretesa risarcitoria avanzata da C.F. fosse relativa ai soli danni riguardanti il muretto di sua proprietà e non già tutti i pregiudizi derivati dal complesso degli illeciti contestati ai convenuti M. e D.S.;

– i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè involgono la medesima questione ed appaiono meritevoli di accoglimento;

– dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 2) e dal ricorso si evince che l’attore non lamentava le aperture di vedute a distanza illegale dal confine, ma si doleva della realizzazione di manufatti a distanza illegale (vedi anche ricorso a pag. 2);

-la corte d’appello doveva quindi accertare se vi erano costruzioni a distanza non regolamentare e in caso affermativo individuare la norma applicabile alle costruzioni;

– in particolare, la corte d’appello avrebbe dovuto considerare il principio, ormai acquisito, secondo cui rientrano nella categoria degli sporti, non computabili ai fini delle distanze, soltanto quegli elementi con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria (come le mensole, le lesene, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili), mentre costituiscono corpi di fabbrica, computabili ai predetti fini, le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza (cfr. Cass. 18282/2016; id. 5594/2016; id.17242/2010; id.17089/2006);

– il principio interpretativo in esame non risulta essere stato utilizzato dalla corte d’appello nella ricostruzione della fattispecie concreta, aprioristicamente inquadrata nell’art. 905 c.c. senza prendere in considerazione la possibilità di ricondurla al concetto di costruzione di cui all’art. 873 c.c., come prospettato dal C. ed alla necessità di applicare le disposizioni sulle distanze fra edifici realizzati su fondi finitimi o dai confini;

– così facendo la corte territoriale è incorsa nel vizio denunciato e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello de L’Aquila per nuovo esame circa la violazione delle distanza alla luce del principio espresso dalla costante giurisprudenza di legittimità;

– a ciò consegue che il terzo motivo di ricorso, involgente le conseguenze risarcitorie, dipende dall’accertamento del giudice del rinvio sulla sussistenza o meno della violazione delle disposizioni sulle distanze, sicchè deve essere ritenuto assorbito;

– il giudice del rinvio deciderà anche sulle spese del giudizio in Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo e dichiara assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello de L’Aquila in diversa composizione anche poer le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2019

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