Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9381 del 08/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 9381 Anno 2015
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 14230-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015.
213

contro

BELLUCCI CARLO C.F. BLLCRL67A30G478A, elettivamente
q

domiciliato in ROMA, PIAZZA TARQUINIA 5/D, (studio

4

Avvocato MARIA LUISA FALLA TRELLA) presso lo studio

Data pubblicazione: 08/05/2015

degli avvocati MAURIZIO RIOMMI, CARLO MICHELI, che lo
rappresentano e difendono, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 711/2008 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, depositata il 06/12/2008 R.G.N. 888/2006;

udienza del 15/01/2015 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega verbale
PESSI ROBERTO
udito l’Avvocato RIOMMI MAURIZIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Perugia, con sentenza in data 6/12/08
confermava la pronuncia del giudice di primo grado con la quale
era stata accolta la domanda proposta da Bellucci Carlo nei
confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la
declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di
lavoro intercorso tra le parti dal 4/11/99 al 29/2/00 per

degli assetti occupazionali in

Corso

e in ragione della

graduale introduzione di nuovi processi produttivi ed in attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul
territorio delle risorse umane”. Confermava altresì la
statuizione di condanna della società alla riammissione in
servizio della lavoratrice oltre al risarcimento del danno con
decorrenza dall’epoca di messa in mora, detratto

raliunde

perceptum.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto
ricorso affidato a due motivi illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Bellucci.
Infine la Corte ha autorizzato la stesura di motivazione
semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società censura (per violazione di legge
e vizio di motivazione) la sentenza impugnata nella parte in
cui ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de
quo in quanto stipulato oltre la scadenza ultima fissata dagli
accordi collettivi attuativi dell’acc. az. 25-9-1997 ed
all’uopo sostiene la insussistenza di tale scadenza e la natura
meramente ricognitiva dei detti accordi.
Il motivo è infondato in base all’indirizzo ormai consolidato
in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema
vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al d.lgs. n.368 del
2001).
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato
precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva,
1

/-../

“esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione

ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire
nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti
dalla legge n.230 del 1962, discende dall’intento del
legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti
sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia
per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti
(con l’unico limite della predeterminazione della percentuale
a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità
di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti
ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di
lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-42006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a
favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione
di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma
dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.”
(v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n.
18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con
accordi integrativi del contratto collettivo) la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione
del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass.
14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di
assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del
c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo
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di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati

attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente
ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione
degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla
data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la
legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30

con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art.1 della
legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007
n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n.21062;
Cass. 27-3-2008 n. 7979 1 Cass. 18378/2006 cit.).
In applicazione di tale principio va quindi respinto il detto
primo motivo.
Con il secondo mezzo di impugnazione la società ricorrente
deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di
diritto, in relazione agli artt. 1372, I comma, c. c., ai
sensi dell’art. 360 n.3 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art.360 n.5 c.p.c. e
nullità del procedimento ex art.360 n.4 c.p.c., assumendo
l’erroneità della decisione in ordine all’eccezione di
risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
Deve rilevarsi come questa Corte abbia più volte affermato che
“nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa
configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso,
è necessario che sia accertata — sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali
circostanze significative — una chiara e certa comune volontà
delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni
3

/

aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio,

rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al
giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in
sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di
diritto” (v. Cass. 13-8-14 n.17940, Cass. 10-11-2008 n. 26935,
Cass. 28-9-2007 n. 20390).
Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando,
lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso,
l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi
la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 212-2002 n. 17070).
Nella specie la Corte d’Appello ha osservato, con motivazione
immune da vizi logico giuridici, che nella specie non vi era
stato alcun comportamento della lavoratrice che potesse far
presumere una sua acquiescenza alla risoluzione del rapporto e
che il solo decorrere del tempo tra la cessazione di
quest’ultimo e la contestazione e messa in mora (peraltro non
particolarmente significativo), non potesse essere in alcun
modo interpretato come volontà di accettazione della
risoluzione per mutuo consenso.
In tali sensi, quindi, va respinto il ricorso e, non essendo
stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi
in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione
di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo
relativo al risarcimento del danno, neppure potrebbe incidere
in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5 0 , 6 ° e 7 0 della legge 4
novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte
affermato, in via di principio, costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo
ius superveniens

che abbia introdotto,

con efficacia

retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il
4

inoltre che, come pure è stato precisato, “grava sul datore di

fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto
alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione
della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è
limitato dagli specifici motivi di ricorso

(cfr.

Cass. 8

maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Orbene tale
condizione non sussiste nella fattispecie.
In definitiva, il ricorso va respinto e la ricorrente, in

spese in favore del Bellucci nella misura in dispositivo
liquidata
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Poste Italiane s.p.a. al
pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in euro
100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compenso professionale,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2015.

ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle

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